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venerdì 14 novembre 2014

Lo studio “I Limiti dello Sviluppo” aveva ragione. Una nuova ricerca mostra che ci stiamo avvicinando al collasso


DaThe Guardian”. Traduzione di MR (h/t Emilio Martines)

Quattro decenni dopo la pubblicazione del libro, le previsioni de “I Limiti dello Sviluppo” sono state vendicate da una nuova ricerca australiana. Ci si aspetta che le prime fasi di un collasso globale cominciano a manifestarsi presto 

Di Graham Turner e Cathy Alexander 


Mucchi di automobili rottamate in un sito di riciclaggio dei metalli a Belfast, Irlanda del Nord. Foto: Alamy

Il libro del 1972 “I Limiti dello Sviluppo” (The Limits to Growth), che ha previsto che la nostra civiltà probabilmente collasserà ad un certo punto in questo secolo, è stato criticato come fantasia catastrofista sin dalla sua pubblicazione.

Nel 2002, il sedicente esperto ambientale Bjorn Lomborg lo ha consegnato alla “pattumiera della storia”. Non è quello il suo posto. Una ricerca dell'Università di Melbourne ha scoperto che le previsione del libro sono precise, su 40 anni. Se continuiamo a restare il linea con lo scenario del libro, possiamo aspettarci che le prime fasi del collasso globale comincino presto. I “Limiti dello Sviluppo” è stato commissionato da un think tank chiamato Club di Roma. I ricercatori al lavoro al MIT, compresi i coniugi Donella e Dennis Meadows, hanno costruito un modello computerizzato per tracciare l'economia mondiale e l'ambiente. Chiamato World 3, questo modello computerizzato era all'avanguardia.

L'impresa era molto ambiziosa. La squadra ha tracciato l'industrializzazione, la popolazione, il cibo, l'uso di risorse e l'inquinamento. Hanno modellato i dati fino al 1970 e poi hanno sviluppato una gamma di scenari fino al 2100, a seconda del fatto che l'umanità intraprendesse un'azione seria sui problemi ambientali e di risorse oppure no. Se questo non fosse accaduto, il modello prevedeva un “superamento e collasso” - dell'economia, dell'ambiente e della popolazione – prima del 2070. Questo è stato denominato lo scenario “business-as-usual”. Il punto centrale del libro, da allora molto criticato, è che “la Terra è finita” e la ricerca della crescita infinita di popolazione, beni materiali, ecc. alla fine avrebbe portato ad un collasso.

Allora, avevano ragione?Abbiamo deciso di controllare quegli scenari dopo 40 anni. Il dottor Graham Turner ha raccolto dati dall'ONU (dal suo dipartimento di economia e affari sociali, Unesco, dall'organizzazione dell'alimentazione e dell'agricoltura, FAO e dall'annuario statistico dell'ONU). Ha anche controllato i dati della statunitense NOAA, della revisione statistica della BP ed altro. Quei dati sono stati messi a fianco degli scenari de “I Limiti dello Sviluppo”. I risultati mostrano che il mondo sta viaggiando molto vicino allo scenario “business-as-usual” dei Limiti dello Sviluppo. I dati non corrispondono ad altri scenari. Questi grafici mostrano i dati del mondo reale (prima dal lavoro del MIT, poi dalla nostra ricerca), tracciati in una linea continua. La linea punteggiata mostra lo scenario “business-as-usual” dei Limiti dello Sviluppo fino al 2100. Fino al 2010, i dati sono sorprendentemente simili a quelli delle previsioni del libro.



Linea continua: MIT e ricerca in grassetto. Linea tratteggiata: scenario “Business-as-usual” de “I Limiti dello Sviluppo”.



Linea continua: MIT e ricerca in grassetto. Linea tratteggiata: scenario “business-as-usual” de “I Limiti dello Sviluppo”. Foto in dotazione.


Linea continua: MIT e ricerca in grassetto. Linea tratteggiata: scenario “business-as-usual” de “I Limiti dello Sviluppo”. Foto in dotazione.

Come hanno spiegato i ricercatori del MIT nel 1972, sotto quello scenario, la popolazione in crescita e le richieste di nuova ricchezza materiale avrebbe portato a più produzione industriale e a più inquinamento. I grafici mostrano che questo è in effetti accaduto. Le risorse vengono usate ad un tasso veloce, l'inquinamento aumenta, la produzione industriale e il cibo pro capite stanno aumentando. La popolazione sta aumentando rapidamente. Finora, I Limiti dello Sviluppo collimano con la realtà. Quindi cosa succederà? Secondo il libro, per alimentare la crescita continua dei produzione industriale ci deve essere un uso di risorse sempre in aumento. Ma le risorse diventano più costose da ottenere man mano che vengono usate. Visto che sempre più capitale viene diretto verso l'estrazione, la produzione industriale pro capite comincia a scendere – nel libro, circa dal 2015.

Mentre l'inquinamento aumenta e l'input industriale nell'agricoltura diminuisce, la produzione di cibo pro capite diminuisce. I servizi sanitari ed educativi vengono tagliati e questo si mette insieme portando un aumento nel tasso di morte da circa il 2020. La popolazione globale comincia a diminuire circa dal 2030, di circa mezzo miliardi di persone a decennio. Le condizioni di vita scendono a livelli simili a quelli del primo 900. Sono essenzialmente i limiti delle risorse che portano il collasso globale nel libro. Tuttavia, II Limiti dello Sviluppo tengono conto delle ricadute dell'aumento dell'inquinamento, compreso il cambiamento climatico. Il libro ha avvertito che le emissioni di biossido di carbonio avrebbero avuto un “effetto climatico” attraverso “il riscaldamento dell'atmosfera”. Come mostrano i grafici, la ricerca dell'Università di Melbourne non ha trovato prove di collasso fino al 2010 (anche se la crescita era già in stallo in alcune aree). Ma ne “I Limiti dello Sviluppo” quegli effetti cominciano a farsi sentire solo intorno al 2015-2030. I primi stadi del declino potrebbero essere già cominciati. La Crisi Finanziaria Globale (CFG) del 2007-2008 e l'attuale malessere economico potrebbero essere dei precursori di conseguenze dovute ai limiti delle risorse. La ricerca di ricchezza materiale ha contribuito a livelli di debito insostenibili, con improvvise impennate dei prezzi di cibo e petrolio che hanno contribuito ai default – ed alla CFG.

Il problema del picco del petrolio è cruciale. Molti ricercatori indipendenti concludono che la produzione di petrolio convenzionale “facile” abbia già superato il picco. Anche la prudente IEA ha avvertito riguardo al picco del petrolio. Il picco del petrolio potrebbe essere il catalizzatore del collasso globale. Alcuni vedono le nuove fonti di combustibili fossili come il petrolio di scisto, le sabbie bituminose e il gas dai giacimenti di carbone come i salvatori, ma il problema è la rapidità con la quale possono essere estratte queste risorse, per quanto tempo e a quale costo. Se risucchiano troppo capitale per la loro estrazione, le conseguenze sarebbero diffuse. La nostra ricerca non indica che il collasso dell'economia, dell'ambiente e della popolazione mondiali sia una certezza. Né dichiariamo che in futuro si manifesterà come hanno previsto i ricercatori del MIT nel 1972. Potrebbe scoppiare la guerra, come invece potrebbero sopravvenire delle vere leadership ambientaliste. Entrambe potrebbero condizionarne drammaticamente la traiettoria. Ma le nostre scoperte dovrebbero risuonare come un campanello d'allarme. Sembra improbabile che la ricerca di una crescita sempre in aumento possa continuare senza limiti fino al 2100 senza causare gravi effetti negativi  - e quegli effetti potrebbero arrivare prima di quanto pensiamo. Potrebbe essere troppo tardi per convincere i politici mondiali e le élite ricche di intraprendere un corso diverso. Quindi per il resto di noi è forse tempo di pensare a come proteggerci, dal momento che siamo diretti verso un futuro incerto.

Come concludeva “I Limiti dello Sviluppo” nel 1972:

Se le attuali tendenze di crescita di popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione di cibo ed esaurimento delle risorse continuasse immutata, i limiti della crescita su questo pianeta verrebbero raggiunti ad un certo punto entro i prossimi 100 anni. Il risultato più probabile sarebbe un declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione sia della capacità industriale. 

Finora, poche cose indicano che avessero capito male.



mercoledì 12 ottobre 2011

La maledizione di Cassandra: come sono stati demonizzati “I Limiti dello Sviluppo”

 

Come parte di una mini-serie sui “Limiti dello Sviluppo” (i post precedenti qui , qui e qui ) ripropongo (con qualche lieve modifica) un post che ho pubblicato su “The Oil Drum” nel marzo 2008. Sopra: un'immagine da un vaso rosso di Atene del quinto secolo avanti Cristo dove vediamo la profetessa Cassandra mentre cade vittima del normale destino di coloro che dicono verità scomode. (Traduzione dall'inglese di Massimiliano Rupalti)


Nel 1972, lo studio “I Limiti dello Sviluppo” è arrivato in un mondo che aveva conosciuto più di due decenni di crescita ininterrotta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Era un periodo di ottimismo e fede nel progresso tecnologico che, forse, non è mai stato così forte nella storia dell'umanità. Con l'energia nucleare in espansione, senza nessun segno di scarsità delle risorse minerali e con la popolazione in crescita rapida, sembrava che i limiti dello sviluppo, se mai fossero esistiti, erano così lontani nel futuro che non c'era alcun motivo di preoccuparsene. E, anche se questi limiti erano più vicini di quanto si credesse generalmente, non avevamo forse la tecnologia che ci avrebbe salvati? Se potevamo raggiungere la Luna, come abbiamo fatto nel 1968, quale problema potevano essere inezie come l'esaurimento delle risorse e l'inquinamento? Il futuro non poteva che essere per sempre splendente.

In contrasto con questo sentimento generale, i risultati de “I Limiti dello Sviluppo” sono stati uno shock. Il futuro non era affatto splendente come si riteneva. Gli autori avevano sviluppato un modello che poteva tener conto di un grande numero di variabili e delle loro interazioni quando il sistema cambiava con il tempo. Scoprirono che l'economia mondiale tendeva al collasso per il 21° secolo. Il collasso era causato da una combinazione di esaurimento di risorse, sovrappopolazione e crescente inquinamento (quest'ultimo elemento lo possiamo oggi vedere in relazione al riscaldamento globale). Solo misure specifiche volte ad arginare la crescita e a limitare la popolazione potevano evitare il collasso.

C'è una leggenda persistente sul primo libro dei “Limiti” che vuole che sia stato ridicolizzato come un'ovvia ciarlataneria subito dopo la sua pubblicazione. Non è vero. Lo studio è stato dibattuto e criticato, com'è normale per una nuova teoria o idea. Ma provocò un'enorme interesse e ne sono state vendute milioni di copie. Evidentemente, nonostante il generale ottimismo del tempo, lo studio aveva dato visibilità ad un sentire che non veniva espresso spesso ma che era nella mente di tutti. Possiamo veramente crescere per sempre? E se non possiamo, quanto a lungo durerà la crescita? Lo studio forniva una risposta a queste domande; una risposta non piacevole, ma tuttavia una risposta.

Lo studio I Limiti dello Sviluppo aveva tutto il necessario per diventare un grande passo avanti nella scienza. Proveniva da un'istituzione prestigiosa come l'MIT; era sponsorizzata da un gruppo di intellettuali influenti e brillanti, il Club di Roma; usava le più moderne ed avanzate tecniche di computazione e, infine, gli eventi che hanno avuto luogo pochi anni dopo la pubblicazione, la grande crisi petrolifera degli anni 70, sembravano confermare la visione degli autori. Tuttavia, lo studio non generò ulteriori ricerche e, un paio di decenni dopo la pubblicazione, l'opinione generale sul libro era completamente cambiata. Lontano dall'essere considerato la rivoluzione scientifica del secolo, negli anni 90 i Limiti dello Sviluppo erano diventati lo zimbello di tutti: niente di più che il ruminare di un gruppo di eccentrici (e probabilmente un po' toccati) professori che avevano realmente pensato che la fine del mondo fosse vicina. Per farla breve, dei menagramo con un computer.

Il rovesciarsi delle fortune de “I Limiti dello Sviluppo” è stato graduale ed ha innescato un dibattito durato decenni. All'inizio, i critici reagirono con poco più che una serie di dichiarazioni di discredito. Solo pochi scritti iniziali hanno portato le critiche ad un livello più profondo, in particolare da William Nordhaus e da un gruppo di ricercatori dell'università del Sussex che andava sotto il nome di “Gruppo del Sussex” (Cole, 1973). Entrambi gli studi hanno sollevato un numero di punti interessanti ma hanno fallito nel loro tentativo di dimostrare che lo studio dei Limiti fosse viziato nei suoi presupposti di base. Già questi primi testi di Nordhaus e del Gruppo del Sussex, mostravano una vena di astio che è diventata comune nel dibattito da parte dei critici. Le critiche politiche, gli attacchi personali e gli insulti, così come la rottura delle regole di base del dibattito scientifico. Per esempio, l'editore della rivista che aveva pubblicato il saggio di Nordhaus che attaccava i “Limiti”, rifiutò di pubblicare una smentita.

Col tempo, il dibattito sul libro virava sempre di più su un piano politico, Nel 1997, l'economista italiano Giorgio Nebbia notava che la reazione contro lo studio stava arrivando da almeno quattro fronti diversi. Uno era costituito da coloro che vedevano il libro come una minaccia alla crescita dei loro affari e industrie. Un secondo da economisti professionisti, che lo vedevano come minaccia al loro predominio come consulenti in materie economiche. La Chiesa Cattolica forniva ulteriori munizioni ai critici, essendo colpita dalla conclusione che la sovrappopolazione era una delle maggiori cause dei problemi. Poi la sinistra politica, nel mondo occidentale, vedeva lo studio come una truffa della classe dominante, progettata per fregare i lavoratori facendo loro credere che il paradiso proletario non era un obbiettivo pratico. E questa è chiaramente un lista incompleta; dimentica la destra politica, coloro che credono in una crescita infinita, politici in cerca di soluzioni facili a tutti i problemi e molti altri. Tutti insieme, questi gruppi hanno costituito una coalizione formidabile che ha garantito una forte reazione contro lo studio dei Limiti dello Sviluppo. Questa reazione alla fine è riuscita a demolire lo studio agli occhi della maggioranza del pubblico e degli specialisti allo stesso tempo.

La caduta dei Limiti dello Sviluppo è stata grandemente aiutata da un fattore che inizialmente aveva rafforzato la credibilità dello studio: la crisi petrolifera mondiale degli anni 70. La crisi ha raggiunto il picco nel 1979 ma, negli anni seguenti, nuove risorse petrolifere cominciavano a fluire abbondantemente dal Mare del Nord e dall'Arabia Saudita. Con i prezzi del petrolio che precipitavano, a molti è sembrato che la crisi fosse stata nient'altro che un imbroglio; il tentativo fallito di un gruppo di sceicchi fanatici di dominare il mondo usando il petrolio come arma. Il petrolio, sembrava, era, ed era sempre stato, abbondante ed era destinato a rimanere tale per sempre. Con il collasso dell'Unione Sovietica nel 1991 e l'apparire della “New Economy”, tutte le preoccupazioni sembravano essere finite. La storia era finita, e tutto quello che avevamo bisogno di fare era di rilassarci e di godere i frutti che la nostra scienza e la nostra tecnologia ci stavano fornendo.

A questo punto, un effetto perverso ha cominciato ad operare nella mente della gente. Nei tardi anni 80, tutto ciò che ci si ricordava del libro dei Limiti dello Sviluppo, pubblicato quasi due decenni prima, era che avesse predetto una qualche catastrofe in qualche momento nel futuro. Se la crisi petrolifera mondiale dovesse essere quella catastrofe, come era sembrato a molti, il fatto che questa fosse terminata era la confutazione della predizione stessa. Questo fattore ha avuto un grande effetto nella percezione della gente.

Il cambiamento dell'atteggiamento è stato graduale ed è durato qualche anno, ma possiamo probabilmente identificare una data ed un autore come vero punto di svolta. E' accaduto nel 1989, quando Ronald Bailey, editore scientifico del magazine Forbes, pubblicava un attacco sarcastico (Bailey 1989) contro Jay Forrester, il padre della Dinamica dei Sistemi, il metodo usato nello studio dei Limiti. L'attacco è stato diretto anche al libro che, diceva Bailey, era “tanto pervicace quanto è possibile esserlo”. Per provare il suo punto di vista, Bailey riprese un'osservazione che era già stata fatta da un gruppo di economisti sul “New York Times” (Passel 1972). Bailey diceva che: “I Limiti dello Sviluppo” predicevano che ai tassi di crescita del 1972 il mondo avrebbe finito l'oro nel 1981, il mercurio nel 1985, lo stagno nel 1987, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992il rame, il piombo ed il gas naturale nel 1993”.

Nel 1993 Bailey ha ripetuto le sue accuse nel libro intitolato “Ecoscam” (Ecotruffe). Questa volta era in grado di sostenere che nessuna predizione dello studio dei Limiti è risultata essere corretta.
Naturalmente, le accuse di Bailey sono semplicemente sbagliate. Quello che aveva fatto è stato di estrapolare un frammento dal testo del libro e criticarlo fuori contesto. Nella tavola 4 del secondo capitolo del libro, aveva trovato una serie di dati (colonna 2) sulla durata, espressa in anni, di alcune risorse minerali. Ha presentato quei dati come le sole “predizioni” che lo studio avesse fatto ed ha basato le sue critiche su questo, ignorando completamente il resto del libro.

Ridurre un libro di oltre cento pagine a pochi numeri non è il solo errore delle critiche di Bailey. Il fatto è che nessuno di questi numeri che ha selezionato erano una predizione e da nessuna parte nel libro si sosteneva che questi numeri fossero da leggersi come tali. La tavola 4 era lì solo per illustrare l'effetto di un'ipotetica continua crescita esponenziale nello sfruttamento delle risorse minerali. Anche senza preoccuparsi di leggere l'intero libro, il testo del capitolo 2 affermava chiaramente che una crescita esponenziale continuata non era una cosa che ci si aspettava. Il resto del libro, poi, mostrava vari scenari di collasso economico che in nessun caso si sarebbero verificati prima dei primi decenni del 21° secolo.

Sarebbe bastato un piccolo sforzo per smascherare le dichiarazioni di Bailey. Ma sembrava che, nonostante i milioni di copie vendute, tutti i “Limiti dello Sviluppo” fossero finiti nel bidone della spazzatura. Le critiche di Bailey hanno avuto successo ed hanno cominciato a comportarsi con tutte le caratteristiche proprie a quelle che oggi definiamo “Leggende Metropolitane”.

Tutti sappiamo quanto possano essere persistenti le leggende metropolitane, non importa quanto siano sciocche. Al tempo dell'articolo di Bailey, Internet come la conosciamo non esisteva ancora, ma il passaparola e la stampa sono state sufficienti a diffondere e moltiplicare la storia delle “predizioni sbagliate”. Tanto per fare un esempio, vediamo come il testo di Bailey è persino arrivato alla letteratura scientifica. Nel 1993, William Nordhaus ha pubblicato un saggio intitolato “Modelli Letali” che intendeva rispondere alla seconda versione dei “Limiti”, pubblicata nel 1992 con il titolo “Oltre i Limiti”. Il saggio di Nordhaus era accompagnato da una serie di testi di vari autori raggruppati sotto il titolo di “Commenti e Discussioni”. Una definizione migliore di quella sezione sarebbe stata “alimentare il furore”, come la critica di questo gruppo di economisti accademici chiaramente andati fuori controllo. Fra questi testi, ne troviamo uno di Robert Stavings, un economista dell'Università di Harvard, dove possiamo leggere questo: "Se controlliamo oggi come le predizioni del primo Limiti si sono rivelate, apprendiamo che (secondo le loro stime) oro, argento, mercurio, zinco e piombo dovrebbero essere completamente esauriti ed il gas naturale finire entro i prossimi otto anni. Naturalmente, questo non è accaduto”. Tutto questo, ovviamente, è preso direttamente dal saggio di Bailey su Forbes. Apparentemente, l'eccitazione di una sessione di “Tiro ai Limiti” ha portato Stavings a dimenticare che è dovere di ogni scienziato serio controllare l'affidabilità delle fonti che cita.

Sfortunatamente, con questo saggio di Nordhaus, la leggenda delle “predizioni sbagliate” è stata consacrata anche in una seria rivista scientifica. Con gli anni 90, ed in particolare con lo sviluppo di Internet, la diga è crollata ed una vera alluvione di critiche ha sommerso il libro ed i suoi autori. Uno dopo l'altro scienziati, giornalisti e chiunque si sentisse titolato nel trattare l'argomento, hanno cominciato a ripetere la stessa cosa più e più volte: lo studio dei “Limiti dello Sviluppo” ha predetto una catastrofe che non è avvenuta e per questo tutta l'idea era sbagliata. Dopo un po', il concetto di “predizione sbagliata” è diventato così diffuso che non era più necessario argomentare nei dettagli quali fossero queste predizioni sbagliate. Le critiche potevano anche essere grottesche, come quando gli autori sono stati accusati di far parte di una cospirazione progettata per creare “una sorta di fanatica dittatura militare” (Gloub e Townsens, 1977) o aggressive, come quando qualcuno ha dichiarato che gli autori del libro avrebbero dovuto essere uccisi, fatti a pezzi e i loro organi spediti alle banche degli organi. Oggi possiamo trovare la leggenda di Bailey ripetuta su Internet migliaia di volte in varie forme. A volte è proprio lo stesso testo, copincollato così com'è; altre volte è solo leggermente modificato.

A questo punto, ci potremmo chiedere se questa onda di calunnie è nata spontaneamente, come risultato del normale meccanismo delle leggende metropolitane, oppure è stata guidata da qualcuno. Possiamo pensare ad una cospirazione organizzata contro gli autori dei Limiti o contro i loro sponsor, il Club di Roma? Su questo punto possiamo cercare un'analogia con un caso precedente; quello di Rachel Carson, famosa per il suo libro del 1962 “Primavera Silenziosa”, in cui criticava l'abuso di DDT ed altri pesticidi. Anche il libro della Carson è stato fortemente criticato e demonizzato. Kimm Groshong ha rivisto la storia e ci dice, nel suo studio del 2002 che:

I verbali di un incontro della Manufacturing Chemists' Association, Inc. dell'8 maggio 1962,
mostrano questa posizione curiosa. Discutendo la questione di cosa era scritto nella
serializzazione della Carson sul New Yorker, le note ufficiali riportano: ' L'Associazione tiene
in seria considerazione la questione ed un incontro del Comitato per la Pubbliche Relazioni ha
programmato per il 10 Agosto di discutere misure che dovrebbero essere prese per riportare la
questione nella giusta prospettiva agli occhi del pubblico “.

Se possiamo chiamare questo “cospirazione” è discutibile, ma è chiaro che c'è stato uno sforzo organizzato da parte dell'industria chimica contro le idee di Rachel Carson. Per analogia, potremmo pensare che, in qualche stanza fumosa, i rappresentanti dell'industria mondiale si siano riuniti nei primi anni 70 per decidere quali misure prendere contro i Limiti dello Sviluppo in modo da “riportare la questione nella giusta prospettiva agli occhi del pubblico”. La storia recente della campagna contro la scienza del clima, come raccontato da Hoggan e Littlemore (2010) e da Oreskes e Conway (2010), ci dice che questo genere di cose sono accadute ed accadono ancora. Non abbiamo dati che indichino che qualcosa del genere è accaduto per “I Limiti dello sviluppo”, ma potrebbe essere proprio così. E' chiaro, comunque, che le tecniche di propaganda funzionano, perché giocano sulle naturali tendenze della mente umana. L'articolo del 1989 di Ronald Bailey ed altri attacchi non erano altro che catalizzatori che hanno scatenato la nostra tendenza a credere a ciò che vogliamo credere e a non credere a ciò che non vogliamo credere. Non ci piacciono le verità scomode.

Ora, nei primi anni del 21° secolo, sembra che l'attitudine generale nei confronti dei concetti di “Limiti” stia di nuovo cambiando. La guerra, dopo tutto, è vinta da chi vince l'ultima battaglia. Uno dei primi casi di rivalutazione dello studio dei Limiti è stato quello di Matthew Simmons (2000), esperto di risorse di petrolio greggio. Sembra che il “movimento del picco del petrolio” sia stato strumentale nel riportare l'attenzione sullo studio dei Limiti (Bardi 2008). Anche gli studi sul clima hanno riportato i limiti delle risorse all'attenzione; in questo caso intesi come la capacità limitata dell'atmosfera di assorbire i prodotti delle attività umane.

Ma non è scontato che una certa visione del mondo, una che tenga in considerazione la quantità finita di risorse, stia diventando prevalente o anche solo rispettabile. Il successo della campagna denigratoria degli anni 80 mostra il potere della propaganda e delle leggende metropolitane nel formare la percezione del mondo da parte della gente, sfruttando l'innata tendenza di rifiutare le cattive notizie. A causa della nostra tendenza a non credere alle cattive notizie, abbiamo scelto di ignorare gli avvertimenti di un collasso imminente che viene dallo studio dei Limiti. Facendo questo, abbiamo perso più di trenta anni. Oggi, stiamo ignorando gli avvertimenti che giungono dalla scienza del clima e potremmo fare un errore anche peggiore. Ci sono segni che fanno pensare che potremmo cominciare a considerare questi avvertimenti, ma facciamo ancora troppo poco e troppo tardi. La maledizione di Cassandra è ancora su di noi.

Per saperne di più su questo tema, potete leggere il mio libro "The Limits to Growth Revisited"



Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti

venerdì 13 gennaio 2012

Il ritorno de "I limiti dello sviluppo"

Di Ugo Bardi


I principali risultati dello scenario "caso base" dello studio "I limiti dello sviluppo", da un recente articolo del New Scientist di Debora McKenzie (disponibile dopo la registrazione)

Il ritorno di interesse per "I limiti dello sviluppo" continua. Dopo decenni di scherno ed insulti, il valore dello studio del 1972 e delle sue rivisitazioni successive viene sempre più riconosciuto. L'ultimo pezzo nella sequenza è l'articolo pubblicato da Debora McKenzie sul New Scientist del 10 gennaio 2012 ed intitolato "Boom and Doom, revisiting prophecies of collapse", ovvero "su e giù: rivendendo le profezie di collasso" (si può leggere sul sito New Scientist dopo la registrazione).

Nel complesso, l'articolo di McKenzie è molto ben fatto e riassume tutti i punti principali della storia: come i Limiti non abbia mai compiuto gli errori di cui è stato accusato di aver commesso, in che modo lo studio sia stato demonizzato, e come i suoi scenari siano ancora pertinenti alla nostra situazione attuale. L'articolo è assai ben documentato e cita il parere della maggior parte dei ricercatori che hanno lavorato alla rivalutazione dello studio e dei suoi metodi, tra cui il mio libro, "The Limits to Growth Revisited".

Un punto che è meno soddisfacente nell’articolo del New Scientist riguarda il rapporto degli scenari dei Limiti con le attuali scoperte della scienza del clima. Si dice che Limiti "sia stato troppo ottimista circa il futuro impatto dell'inquinamento", ma penso che non sia così. Lo studio infatti conteneva almeno uno scenario in cui il collasso economico avveniva a causa del rapido aumento dell'inquinamento. Ma il punto principale è che i Limiti  sia stato forse il primo studio in grado di identificare l’interazione tra l’inquinamento ed il sistema industriale che lo produce. Ciò che, nel 1972, gli autori dei Limiti hanno chiamato "inquinamento persistente" potrebbe oggi essere identificato con l'effetto forzante dei gas serra. Non è possibile, oggi, dire se l'economia crollerà a causa dell’esaurimento delle risorse o a causa del riscaldamento globale, ma che i termini del dilemma siano già stati chiariti nel 1972 va considerata un’intuizione notevole!

L'altro punto che connette "I limiti dello sviluppo" alla climatologia è il trattamento di demonizzazione che lo studio ha ricevuto dopo la sua pubblicazione. Questo punto è ben trattato nell'articolo di McKenzie. La campagna diffamatoria eretta contro Limiti ed i suoi autori è sorprendentemente simile a quella scatenata attualmente contro la scienza del clima e contro gli scienziati del clima. L'unica differenza è che i metodi usati contro la scienza al giorno d'oggi sono molto più aggressivi. Gli autori de "I limiti dello sviluppo” sono stati spesso messi in ridicolo ed insultati; a volte hanno anche ricevuto minacce di morte, ma il livello di abusi che gli scienziati del clima hanno ricevuto negli ultimi tempi è assai più elevato. Ciò avviene, forse, perché le conseguenze del riscaldamento globale sulla nostra società potrebbero essere molto più radicali e temibili di qualsiasi altra cosa che Limiti avesse previsto decenni fa.

Detto questo, è chiaro che possiamo imparare molto dalla storia de I Limiti dello Sviluppo e dalla sua demonizzazione. Purtroppo, una delle cose che impariamo dalla storia è che non impariamo quasi mai dalla storia.


Traduzione dall'originale in inglese di Pandemi-camente.

domenica 2 settembre 2012

Smentito il Picco del Petrolio? Il Meccanismo della Negazione al Lavoro

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti.
La pubblicazione del rapporto dal titolo “Petrolio: la prossima rivoluzione”  di Leonardo Maugeri è diventata virale ed ha generato un'ondata di risposte tutte incentrate sul tema che “il picco del petrolio è stato smentito”. Potremmo assistere ad una ripetizione della campagna di negazione che, negli anni 90, ha gettato “I Limiti dello Sviluppo” nella pattumiera delle teorie scientifiche sbagliate.


Nel 1989, Ronald Bailey ha pubblicato un articolo su “Forbes” nel quale attaccava lo studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo” dicendo che: “I Limiti dello Sviluppo” hanno previsto che ai tassi di crescita del 1972 il mondo avrebbe terminato l'oro nel 1981, il mercurio nel 1985, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992 e rame, piombo e gas naturale nel 1993”.

Nessuna simile affermazione era contenuta nel libro dei “Limiti”, tuttavia l'attacco di Bailey ha avuto un incredibile successo. E' diventato virale ed è stato ripetuto in continuazione da gente che non si è mai preoccupata di verificarne il contenuto. Alla fine ha generato la leggenda degli “errori del Club di Roma”, ancora viva e vegeta oggi, che sta alla base della diffusa opinione negativa sullo studio dei “Limiti” (questa storia è descritta qui, così come nel mio libro “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati”).

La demolizione dei “Limiti” rimane oggi un esempio classico del meccanismo della negazione nella comunicazione scientifica, come descritto, per esempio, da Naomi Oreskes ed Eric Conway in “Mercanti di Dubbio”. Meccanismi analoghi hanno lavorato contro la scienza del clima, contro gli studi sugli effetti sulla salute del fumo, contro studi sull'inquinamento ed altro. Tuttavia, l'idea che siamo vicini al picco di produzione mondiale del petrolio (Picco del Petrolio) era rimasta finora immune da questo tipo di negazione. 

Questo potrebbe cambiare con la pubblicazione del recente studio di Leonardo Maugeri dal titolo “Petrolio: la prossima rivoluzione” che ha generato un vero e proprio tsunami di post ed articoli tutti basati sul concetto che “il Picco del Petrolio è stato smentito”. Potremmo assistere ad un effetto “palla di neve” simile a quello causato dall'articolo del 1989 di Bailey che ha distrutto la credibilità de “I Limiti dello Sviluppo”. 

Per chiarire il mio punto di vista, lasciatemi dire che lo studio di Maugeri è serio. Di sicuro, può essere criticato (per esempio qui, qui e qui), ma è molto meglio del pezzo di pura calunnia di Bailey o di altri pezzi di propaganda indirizzatei, per esempio, alla scienza del clima. Ma questo ha poco a he vedere col meccanismo della negazione. Il problema è che gran parte della gente – compresi coloro che prendono le decisioni – non hanno tempo, inclinazione e competenza per andare in profondità in problemi come l'esaurimento delle risorse. Così, quando affrontano un problema complesso e ricco di sfumature, tendono a scegliere l'interpretazione che piace loro di più – è chiamato il “pregiudizio di conferma”. Ora, sicuramente le buone notizie sono meglio delle cattive e per molta gente uno studio apparentemente autorevole che dice che non stiamo finendo il petrolio è preferibile ad uno di oscurità e rovina tipico di gran parte degli studi sull'esaurimento. 

Il problema è che le tesi di Maugeri sono basate su ben poco: principalmente su una nuova valutazione delle riserve di petrolio che tengono conto delle cosiddette risorse “non convenzionali”. Di recente, la crescita in questo settore è stata rimarchevole, vero, ma tutto ciò che che questa “rivoluzione petrolifera” è riuscita a fare finora è evitare il declino che sarebbe avvenuto se ci fossimo affidati al solo petrolio convenzionale. Tuttavia, il fatto che non abbiamo visto un picco ben definito nella produzione del petrolio mondiale è sufficiente a dare peso all'idea di Maugeri. Paradossalmente, i numerosi tentativi di criticare lo studio potrebbero essere stati controproducenti, dandogli la visibilità che non merita. 

Un paio di decenni fa la gente ha cominciato a riferirsi allo studio dei “Limiti dello Sviluppo” come “all'errore del Club di Roma”. Assisteremo al Picco del Petrolio come “all'errore di ASPO”?. E' troppo presto per dirlo, ma possiamo escludere questa possibilità. Specialmente se i prezzi del petrolio dovessero collassare nel prossimo futuro – come hanno fatto nel 2008 – molta gente potrebbe prenderla come una vendetta della tesi di Maugeri. Non importa se il collasso dei prezzi causerà anche un declino della produzione – come lo stesso Maugeri dichiara chiaramente nel suo studio. Molta gente percepisce i problemi col petrolio solo in termini di prezzo, non di produzione. Se vedremo lo sviluppo di questo tipo di eventi, ci vorrà molto tempo e sforzo per porre rimedio alla percezione generale sul Picco del Petrolio, proprio come c'è voluto molto tempo e sforzo per combattere la percezione che lo studio dei “Limiti” fosse “sbagliato”. 

D'altra parte, il lavoro di Maugeri potrebbe venire semplicemente dimenticato quando sarà chiaro che la “rivoluzione petrolifera” che ha previsto non sta avvenendo. La comunicazione è un campo in cui la previsione è sempre molto difficile, anche di più che con la produzione di petrolio. La sola cosa che possiamo dire con certezza è che siamo sensibili alla diffusione virale di leggende. E' il modo in cui funziona la nostra mente, non si è evoluta per la pianificazione a lungo termine.  








mercoledì 9 aprile 2014

Il solito Club di Roma

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR


Il commento di Nafeez Ahmed sul “Saggio finanziato dalla NASA” (un termine diventato virale) sul collasso della società è stato seguito da un dibattito acceso. In un mio precedente post, ho commentato come stavamo vedendo ancora una volta il dibattito che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo studio de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Infatti, è lo stesso dibattito, completo degli errori e delle interpretazioni sbagliate di allora.

Allora, vediamo di esaminare la contestazione del post di Ahmed pubblicata da Keith Kloor. Kloor cerca appoggio alle proprie argomentazioni su diverse opinioni esterne. Per esempio, cita Mark Sagoff dichiarando:

“A un certo punto, ieri ho dato un'occhiata l'articolo ed ho visto che si trattava ancora una volta del Club di Roma – il computer che urlava al lupo al lupo. [...] Non c'è niente qui [nel saggio] che non sia stato presentato negli anni 60 e 70 da Paul Ehrlich e da altre “Cassandre” come chiamano sé stessi. I loro punti di vista, ripetuti in questo articolo e studio [del Guardian], sono stati completamente screditati. […] Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo".

Direi che, prima di criticare un saggio, bisognerebbe esaminarlo un po' più a fondo che semplicemente “dargli uno sguardo”. Infatti, qui Sagoff giustifica la sua posizione semplicemente sulla base di vecchie leggende che dicono che i punti di vista del Club di Roma “sono stati completamente screditati”.

E' curioso notare che il termine “Club di Roma” è ancora così spesso associato con l'idea che lo studio de “I Limiti dello Sviluppo” sia stato completamente screditato. Non è così e c'è una ampia letteratura che mostra che i risultati dello studio sono risultati essere validi per descrivere la situazione attuale. Il “computer che gridava al lupo” è solo una delle tante leggende che sono diventate virali ed infettano ancora il cyberspazio. Infatti, la dichiarazione di Sagoff “Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo” descrive meglio i critici dello studio che non i suoi sostenitori.

Un altro autore che Kloor cita a sostegno della sua tesi è Vaclav Smil. Kloor non riporta ciò che gli ha detto Smil, ma possiamo trovare l'opinione di Smil su questa materia in un saggio apparso sulla “Rivista della Popolazione e dello Sviluppo” nel 2005, dove ha criticato “I Limiti dello Sviluppo” principalmente sulla base di dichiarazioni di scetticismo e sul fatto che il modello è “troppo semplice” per descrivere il mondo reale. Per darvi un'idea del tono e della sostanza delle argomentazioni di Smil, considerate la seguente frase:

[Nel modello] il declino del terreno arabile continua a diminuire la produzione di cibo, mentre nel mondo reale c'è, globalmente, un surplus osceno di cibo, visto che epidemie di obesità colpiscono sempre più paesi.

Riuscite a vedere il problema qui? Smil scambia un parametro per il modello. “Il terreno arabile” è un parametro del modello. NON è il modello. E, naturalmente, il declino del terreno arabile come parametro ha l'effetto di diminuire la produzione di cibo: come potrebbe essere altrimenti? Ma il modello ha altri parametri relativi alla produzione di cibo: energia, fertilizzanti, tecnologia ed altro. Il risultato è che la produzione di cibo può continuare ad aumentare nonostante il declino del terreno arabile. Quindi, il modello descrive correttamente il comportamento del mondo reale (ahimè, fino ad ora; cosa succederà in futuro è tutto da vedere).

Questo è lo stesso errore che ha fatto William Nordhaus nel 1973 quando ha criticato un modello simile a quello usato per I Limiti dello Sviluppo, prendendo una singola equazione dal modello e mostrando che l'equazione – di per sé – non poteva riprodurre il comportamento del mondo reale. Ovvia: tagliate una zampa ad una rana e osservate che la zampa, da sola, non salta. Quindi concludete che le rane non saltano. Logica impeccabile (vedi “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati” per i dettagli di questa storia).

C'è molto di più da dire sullo “studio finanziato dalla NASA” ed è del tutto possibile criticarlo per motivi validi. Sfortunatamente, tuttavia, i “dibattiti” su questo tema sembrano mostrarci più che altro il potere delle leggende di condizionare le menti umane. E vedremo sempre la stessa posizione: visto che non ci piave il risultato del modello, allora il modello non può essere vero. Non riusciamo a capire che i modelli sono soltanto strumenti, mai delle profezie.




(*)
The Limits to Growth Revisited
Looking back on the limits to growth
The World model controversy
Revisiting the limits to growth
...e molti altri

lunedì 9 dicembre 2013

L'eredità del Club di Roma

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Questa è una versione scritta del discorso che ho tenuto all'incontro tenutosi a Bucarest in occasione del ventesimo anniversario della fondazione della sezione rumena del Club di Roma (ARCoR) il 17 ottobre 2013. E' stata una riunione alquanto formale, quindi il mio discorso è stato un po' più formale del solito. Ciò che segue non è una trascrizione, ma una versione testuale scritta a memoria. Ringrazio Liviu Tudor, segretario generale di ARCoR, Mugur Isarescu, presidente e tutti i membri di ARCoR per avermi invitato in questa occasione (l'immagine sopra proviene dall'incontro ARCoR dello scorso anno, ma quella a cui faccio riferimento si è tenuta nella stessa sala a Bucarest).



Signore e signori, è un privilegio e un onore per me rappresentare oggi il Club di Roma. Posso quindi portarvi i saluti e le congratulazioni dei co-presidenti del Club, Anders Wijkman e Ernst Weizsacker, così come quello del Segretario Generale, Ian Johnson.

Oggi celebriamo il ventesimo anniversario della fondazione dell'associazione rumena del Club di Roma, ARCoR, cosa che rappresenta una realizzazione notevole. E' altrettanto notevole, credo, la realizzazione del Club di Roma come associazione globale, che esiste già da 40 anni, dopo essere stata fondata da Aurelio Peccei nel 1969.

La celebrazione di oggi, tuttavia, non è alla memoria delle glorie passate. Ciò che invece celebriamo è la sempre maggiore consapevolezza di quanto importante e di quanto moderna sia stata la visione che è apparsa nel primo rapporto al Club, il celeberrimo libro dal titolo “I limiti dello Sviluppo”. Oggi, più di 40 anni più tardi, ho avuto l'onore di firmare come autore principale il trentatreesimo rapporto al club, un libro dal titolo “Il Pianeta Saccheggiato”.

Con questo libro, abbiamo riesaminato alcuni degli scenari e il concetto del rapporto del 1972. Abbiamo scoperto quanto le idee del primo rapporto avessero consistentemente colpito nel segno e quanto l'economia mondiale abbia seguito da vicino lo scenario allora definito “caso base” e che oggi definiremmo come “business as usual”. E' uno scenario che vede la crescita dell'economia mondiale mantenuta fino ai primi decenni del ventunesimo secolo, seguita da una stasi e poi da un rapido declino.

Per favore, fate attenzione: “I Limiti dello Sviluppo” non è stata una profezia e non lo doveva essere. Gli autori avevano chiaramente dichiarato nel libro che non volevano che il futuro fosse come il loro scenario “caso base”. Nessuno voleva il collasso dell'economia mondiale, con tutte le conseguenze che questo comporta, naturalmente. Essi hanno detto, correttamente, che il futuro è qualcosa che creiamo con le nostre azioni e le nostre decisioni e che se avessimo voluto evitare il declino avremmo dovuto fare le scelte che lo avrebbero evitato. Ma ciò non è stato fatto e lo scenario caso base è diventato, sfortunatamente, sempre più simile ad una profezia.

Tuttavia, indipendentemente da quale sarà l'evoluzione dell'economia mondiale nei prossimi anni, penso che l'eredità principale de “I Limiti dello Sviluppo” oggi sia quella di ricordarci quanto siano importanti le risorse materiali per la nostra sussistenza e la nostra prosperità. La ricchezza non è creata dalle banche o da altre istituzioni finanziarie, è creata da ciò che chiamiamo “risorse naturali”, che vengono prodotte e elaborate dal sistema industriale e alla fine trasformate in prodotti: è ciò che chiamiamo “economia”. Senza risorse naturali  non ci sarebbe un'economia e i soldi sarebbero senza valore, perché non ci sarebbe nulla da comprare. Questo dovrebbe essere ovvio, ma a volte siamo così preoccupati – direi ossessionati – dai capricci del sistema finanziario mondiale che tendiamo a dimenticare una cosa che il mio amico e collega Giorgio Nebbia mi diceva: “L'economia è la scienza delle cose materiali”.

Quindi, dove ci troviamo rispetto a queste “cose materiali” oggi? Be', da un lato è chiaro che NON stiamo esaurendo niente: la produzione dei minerali più importanti non è in declino e non manca nessun bene minerale sul mercato, almeno se siamo disposti a pagarne il prezzo. A volte si diceva che il messaggio de “I Limiti dello Sviluppo” era che avremmo finito presto le risorse minerali. Ma non è vero. “I Limiti dello Sviluppo” non hanno mai detto niente del genere. Era chiaro dai calcoli riportati nello studio che non avremmo finito le risorse minerarie principali prima della fine del ventesimo secolo. Il punto è del tutto diverso: molto prima di finire fisicamente le risorse finiremo le risorse economiche.

Ed è esattamente questo che è accaduto. Non stiamo finendo nulla, ma dobbiamo pagare di più per ciò che ci serve. Come sicuramente sapete, i prezzi del petrolio sono aumentati di un fattore di circa 5 negli scorsi 5-6 anni e il prezzo medio delle risorse minerali è aumentato di un fattore di circa 3 nello stesso lasso di tempo. Questa è una tendenza robusta e non è indolore per le economie dei paesi importatori.

Lasciate che vi fornisca alcuni dati: nel 2012 i paesi dell'Unione Europea hanno importato 500 miliardi di euro di valore in combustibili fossili (1), si tratta di circa il 4% del PIL europeo. I singoli paesi mostrano valori leggermente diversi, per esempio per l'Italia sono stati circa 66 miliardi di euro di importazioni, che corrispondono a più del 4% del PIL italiano. Per la Romania la percentuale è inferiore, in parte a perché la Romania produce una quantità relativamente grande di combustibili fossili in confronto alla dimensione della propria economia.

Considerate che questi sono solo i costi dell'importazione di combustibili fossili. Altri soldi devono essere spesi per l'importazione di beni minerali che normalmente “contengono” molta energia sotto forma di combustibili fossili usati per la loro estrazione, elaborazione e trasporto. Ma rimaniamo sui combustibili fossili. Poniamoci una domanda: il 4% è poco o molto? Be' questa è una delle domande classiche alle quali si deve rispondere “dipende”. Se l'economia potesse crescere, allora l'aumento dei costi dei combustibili fossili non sarebbero un grande fardello – rimarrebbero più o meno la stessa percentuale dell'intera economia. Ma non è stato così. L'economia europea sta crescendo, ma la crescita è stata ben lontana dall'essere robusta come lo è stata negli anni passati e in diversi paesi l'economia non cresce affatto. E questi paesi hanno visto il proprio “conto energetico” crescere e diventare un fardello pesante. Un buon esempio è l'Italia, ma lo stesso tipo di problemi ci sono ovunque. Mentre parliamo di punti percentuali dell'economia europea stiamo parlando di centinaia di miliardi di euro che si spostano dall'Europa – i gran parte importatrice di beni minerali – ai paesi produttori che si trovano in gran parte al di fuori dell'Europa.

Questo gigantesco trasferimento di ricchezza non può rimanere senza conseguenze e penso che questa sia una delle ragioni principali dei problemi che viviamo oggi. Come ho detto prima, l'eredità principale de “I Limiti dello Sviluppo” è quella di ricordarci che la nostra prosperità è basata su risorse materiali e non dovremmo dimenticarcelo. Vi invito a considerare questo elemento quando cercate di capire cosa sta succedendo.

Ma c'è un altro elemento che possiamo a sua volta considerare oggi come eredità del Club di Roma e questo va dritto al cuore della questione. Gli scenari che stanno alla base dello studio “I Limiti dello Sviluppo” sono stati creati usando una tecnica chiamata “dinamica dei sistemi”. Ha a che fare con la risoluzione di equazioni differenziali su un computer ma, in realtà, non è niente altro che buon senso formalizzato.

Mi spiego. Definirei “buon senso” in un modo molto semplice: è semplicemente pensare alle conseguenze e, in particolare, alle conseguenze a lungo termine di quello che facciamo. Usare un computer significa che possiamo proiettare il nostro buon senso a una certa distanza nel futuro e considerare sistemi più complicati di quelli coi quali abbiamo a che fare abitualmente. Ma il buon senso – pensare alle conseguenze – rimane una qualità del pensiero umano che, sfortunatamente, a volte rifiutiamo di utilizzare.

Considerando la nostra situazione attuale stiamo affrontando scelte che avranno conseguenze profonde sul nostro futuro. Per esempio, dobbiamo perforare in cerca di più petrolio e gas? Possiamo, naturalmente, scegliere di investire grandi quantità delle nostre risorse per sfruttare le cosiddette risorse “non convenzionali”. Ma la conseguenza sarà che diventeremo ancora più dipendenti da una risorsa che sta diventando sempre più difficile e costosa da ottenere (per tacere del peggioramento del problema climatico). Così, tutto ha conseguenze e dovremmo pensarci prima di prendere queste importanti decisioni, se vogliamo prenderle in modo saggio.

Per concludere, vorrei citare una frase che viene spesso attribuita a Robert Luis Stevenson. Ed è: “Ognuno di noi, prima o poi, si siede ad un banchetto di conseguenze”. Cosa verrà servito al banchetto dipenderà dalle scelte che stiamo facendo ora. In questo senso, i metodi e le idee sviluppate dal Club di Roma già negli anni 70 possono aiutarci a fare scelte sagge (se vogliamo farle). E' questa l'eredità del Club di Roma.


1. http://cleantechnica.com/2013/04/07/eu-2030-energy-green-paper-introduce-oil-import-reduction-targets/



domenica 14 agosto 2011

Le solite Cassandre



Grafico dalla copertina dell'edizione italiana del 1973 dei "Limiti dello Sviluppo." Illustra il "caso base", quello che gli autori ritenevano il più probabile secondo i dati disponibili allora. Notate come l'inizio del declino della produzione industriale e agricola abbia inizio approssimativamente per il 2010-2020. 

Quello che fa più impressione di quello che sta succedendo in questi giorni non è tanto il fatto che gli autori dei "Limiti dello Sviluppo" nel 1972 potevano aver azzeccato con una precisione strabiliante l'inizio della fine del nostro sistema industriale. Dopotutto, proponevano molteplici scenari e potrebbe essere soltanto un caso il fatto che stiamo seguendo quello che loro ritenevano il più probabile.

Non fa nemmeno tantissima impressione che il lavoro degli autori dei "Limiti dello Sviluppo" sia stato demonizzato, ridicolizzato e consegnato al bidone della spazzatura delle teorie stupide e sbagliate. In fondo, negli anni 1970 anni fa era difficile pensare di poter prevedere una crisi che si sarebbe verificata quaranta anni dopo.

No, quello che fa veramente impressione è come, oggi, nessuno, ne sui giornali, ne in televisione e neppure fra i discorsi di quelli che hanno il potere di prendere decisioni si chieda neppure vagamente cosa stia succedendo e perché.


(nota: la figura mostrata all'inizio ha valore più che altro di testimonianza storica, ma le scritte non sono facilmente leggibili. Se volete un'immagine a più alta risoluzione, cliccate sul thumbnail qui accanto)







_________________________________________

Sui "Limiti dello Sviluppo", vi passo anche una recensione del mio recente libro "I Limiti dello Sviluppo rivisitati" edito da Springer


Da "La Gazzetta del Mezzogiorno", mercoledì 8 agosto 2011
http://giorgio-nebbia.blogspot.com/2011/08/crescita-di-che-cosa.html


Crescita di che cosa ?

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Due vite parallele a migliaia di chilometri di distanza. Un ingegnere nordamericano, Jay Forrester (nato nel 1918), specializzato nella progettazione dei calcolatori elettronici, docente nel prestigioso Massachusetts Institute of Technology, stava utilizzando, già negli anni cinquanta, i calcolatori per risolvere dei problemi di previsione. Per esempio come cresce la produzione industriale in seguito alla crescita o alla diminuzione dei soldi disponibili; come la mobilità in una città è influenzata dalla crescita del numero degli abitanti, delle automobili o dei mezzi di trasporto pubblico. Forrester aveva chiamato “dinamica dei sistemi” lo studio dei rapporti fra fenomeni il cui cambiamento può essere previsto mediante equazioni matematiche differenziali. Per inciso, equazioni simili erano già state usate trent’anni prima, per descrivere come aumentano le popolazioni animali, dagli studiosi di ecologia, un esempio della unità dei fenomeni dell’economia e dell’ecologia. Forrester aveva pubblicato libri di grande successo come “Industrial dynamics” (1961) e “Urban dynamics” (1969).

Dall’altra parte del continente americano, in Argentina, un economista italiano, Aurelio Peccei (1908-1984), alto dirigente della Fiat e di imprese impegnate nella progettazione e costruzione di opere pubbliche nei paesi emergenti, aveva cominciato a chiedersi quale avrebbe potuto essere il futuro dell’umanità davanti ad una popolazione rapidamente crescente, ad una crescente richiesta di beni materiali e di risorse materiali; negli anni sessanta si cominciavano infatti a vedere i segni di quella che sarebbe stata chiamata la crisi ecologica. L’incontro fra Peccei e Forrester, nel 1968, è stata l’occasione per progettare una ricerca sul futuro dell’umanità. Peccei aveva creato da poco il “Club di Roma”, un circolo internazionale di intellettuali attenti al futuro, che dette incarico a Forrester di analizzare il sistema planetario globale con le sue tecniche. Il risultato fu rivoluzionario.

Nel 1971, quarant’anni fa, Forrester e i suoi collaboratori, i giovani coniugi Meadows, furono in grado di presentare al Club di Roma i risultati di uno studio che analizzava le conseguenze di una continua crescita della popolazione mondiale. Lo studio non faceva previsioni, ma indicava che la crescita della popolazione avrebbe richiesto una crescita della produzione industriale, della richiesta di prodotti agricoli alimentari e che di conseguenza si sarebbe verificata una crescita dell’inquinamento planetario e un impoverimento delle riserve di risorse non rinnovabili come petrolio, carbone, minerali, eccetera.

Le anticipazioni dello studio cominciarono ad arrivare anche in Italia; furono inviate nel 1971 da Aurelio Peccei, presidente del Club di Roma, al Senato dove era in corso una indagine sui problemi dell’ecologia; furono oggetto di uno speciale fascicolo della rivista inglese “Ecologist”, subito tradotto in italiano da Laterza col titolo: ”La morte ecologica”, e alla fine divennero un agile libretto, pubblicato in molte lingue contemporaneamente, intitolato “I limiti alla crescita” (ma l’edizione italiana fu pubblicata con un titolo ingannevole, “I limiti dello sviluppo”).

Nel libro erano contenuti alcuni grafici, ottenuti con i calcolatori elettronici, da cui appariva che se fosse continuata la crescita della popolazione mondiale ai ritmi che nel 1970 erano di 80 milioni di persone all’anno, un giorno non ci sarebbero state risorse e materie prime sufficienti e sarebbero scoppiati conflitti per la loro conquista, la scarsità di cibo avrebbe diffuso epidemie e morti per fame, l’inquinamento avrebbe diffuso malattie e le condizioni di vita della popolazione mondiale sarebbero peggiorate al punto da provocare un forzato declino del numero dei terrestri. Se ciò fosse avvenuto, la minore popolazione restante avrebbe potuto far fronte ai problemi di scarsità e di inquinamento. Altrimenti la crescita della popolazione e della produzione industriale e della pressione sull’ambiente sarebbero diventate un giorno insostenibili.

Il libro fu venduto nel mondo a milioni di copie, provocò innumerevoli dibattiti e critiche. Fu visto con interesse dal nascente movimento ambientalista (stiamo parlando del 1971-72); il mondo cattolico intravvide dietro le curve tracciate dai calcolatori lo spettro del detestato Thomas Malthus (1766-1843), l’economista inglese che per primo, nel 1799, aveva auspicato un controllo delle nascite; i comunisti sostennero che in una società socialista la pianificazione avrebbe risolto tutti i problemi. Ma soprattutto si arrabbiarono gli economisti che furono spietati nella critica di un testo che metteva in discussione il mito fondamentale della scienza economica, quello della crescita.

Dopo pochi anni, peraltro, l’interesse per i “Limiti alla crescita” declinò; due aggiornamenti a venti e trenta anni dalla prima edizione passarono quasi inosservati. Finalmente, proprio in questo periodo di disordine economico mondiale, il prof. Ugo Bardi dell’Università di Firenze ha ripreso in mano lo studio del Club di Roma, analizzandolo alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi decenni in un libro, pubblicato nei giorni scorsi dall’editore internazionale Springer, col titolo, tradotto in italiano: “I limiti alla crescita rivisitati”. Il grande interesse del libro sta nella ricostruzione storica degli eventi che hanno portato alla pubblicazione, quarant’anni fa, del libro del Club di Roma, nella rassegna delle lodi e critiche che il libro ha suscitato nel mondo.

Ma l’importanza del libro di Bardi sta soprattutto nell’esame di come sono cambiate, negli ultimi quarant’anni, le variabili allora considerate: il numero dei terrestri e le condizioni di benessere, la produzione di merci industriali e agricole, la disponibilità di risorse non rinnovabili e l’inquinamento ambientale. Purtroppo, al di là dei numeri assoluti, molte tendenze indicate nel libro si sono verificate: il prof. Bardi è il presidente della sezione italiana di una associazione internazionale per lo studio del “picco” del petrolio (ASPO) che analizza come nel mondo, a mano a mano che “cresce” la domanda di una risorse non rinnovabile (sia petrolio o zolfo, litio o la stessa fertilità del suolo) l’entità delle riserve residue diminuisce e crescono le tensioni e le guerre per conquistare quanto resta: nello stesso tempo cresce l’inquinamento ambientale e crescono i danni alla salute e al benessere delle persone sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri.

Il messaggio che emerge da una rilettura del libro sui “limiti alla crescita” non è di disperazione; niente a che fare con possibili “limiti dello sviluppo” umano, che dipende dalla libertà, dalle condizioni igieniche e alimentari, dalle conoscenze, e che può benissimo crescere anche in un mondo con meno e differenti merci e consumi e minore sfruttamento della natura. Il libro anzi stimolava a fare, come diceva Croce, “delle difficoltà sgabello” a condizione di riconoscere che la “crescita”, quel nome magico, che canoro discende dalle bocche di economisti, uomini politici e imprenditori, dipende dalle cose materiali, e che la crescita della produzione delle merci (siano acciaio per le navi o cemento per gli edifici, o occhiali, o conserva di pomodoro, o divani, o telefoni cellulari) comporta una inevitabile diminuzione delle risorse disponibili per le generazioni future e una inevitabile crescita della quantità di gas e di sostanze che inquinano l’aria e i fiumi e il suolo.

A questa realtà, alla necessità di scegliere, sotto questi vincoli naturali, che cosa produrre, la rilettura dei “Limiti alla crescita”, offerta dal libro di Bardi, richiama coloro che devono prendere delle decisioni per il futuro dei singoli paesi e dell’intera comunità umana. Non a caso i rapporti risorse-merci-ambiente (per citare il titolo di un dimenticato libro del 1966) sono l’oggetto degli studi universitari di Merceologia; non a caso il prof. Bardi è un chimico, docente delle disciplina che, per eccellenza, insegnano a fare i conti con i chili di materia e i chilowattora di energia.

venerdì 4 aprile 2014

Le élite sono così spietate da distruggere sé stesse

Da “Extracted”. Traduzione di MR



Il recente annuncio di un saggio di Motessharrry, Rivas e Kalnay (MRK) sul collasso delle società complesse ha generato molto dibattito, specialmente con la pubblicazione del commento entusiastico di Nafeez Ahmed che lo ha definito uno “studio finanziato dalla NASA”. Il termine è diventato rapidamente virale – nonostante l'irrilevanza della fonte dei finanziamenti dello studio – e la discussione è subito virata verso il tipo di "scontro di assoluti" che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo rapporto al Club di Roma “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Per esempio, una critica piuttosto pesante dello studio si può trovare in un post di Keith Kloor.

A parte queste reazioni piuttosto prevedibili, cosa possiamo dire veramente dello studio? Dice davvero qualcosa di nuovo o è solo il solito studio che grida “al lupo, al lupo”? Vediamo una breve valutazione.

Per prima cosa, lo studio di MRK è fermamente radicato nella dinamica dei sistemi (anche se gli autori non usano il termine nel loro saggio), il metodo di modellazione creato negli anni 60 da Jay Forrester. Ha anche molti elementi in comune coi modelli usati per lo studio originale de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972 e dei successivi aggiornamenti. Tuttavia, è un modello più semplice che non fa alcun tentativo di confrontare i risultati coi dati storici. In questo senso, è simile ai modelli “a dimensione di mente” che ho discusso in un mio saggio sulla rivista "Sustainability".

Andando nei dettagli, vediamo che il modello MRK è un modello semplice con 4 stock. Uno è le “Risorse Naturali”, che viene gradualmente trasformato nello stock che gli autori chiamano “Ricchezza” (che in altri modelli viene chiamata “capitale”). Gli altri stock sono due classi di popolazione: “la gente comune” e le “élite”. Entrambe ricavano la propria sussistenza dalla riserva “Ricchezza”, ma solo la gente comune la reintegra. Le élite, invece, non producono niente.

I risultati non sono inaspettati. A seconda dei differenti assunti iniziali possibili, il sistema raggiunge uno stato stazionario, oscilla, o mostra una serie di picchi e un collasso. La figura sotto, proveniente dal saggio, è il risultato che somiglia di più allo scenario “caso base” de “I Limiti dello Sviluppo” - eccetto per il fatto che la riserva di popolazione collassa in due fasi, piuttosto che in una singola fase.

Qui il modello MRK non ci dice nulla di più di quanto già sappiamo da studi precedenti: modelli qualitativi (per esempio quello del “Overshoot” di Catton e della “Tragedia dei beni comuni” di Hardin) e quantitativi come “I Limiti dello Sviluppo”. Nella maggior parte dei casi, la suddivisione della popolazione in due classi non cambia granché i risultati del modello rispetto a quelli con una sola classe (riportati anche quelli nel saggio di MRK). Ma in alcuni casi gli autori osservano risultati piuttosto sorprendenti, come questo: 

Come vedete, qui la società si suicida letteralmente avendo le élite prelevato così tanta ricchezza dalle risorse accumulate che non resta niente alla gente comune – che scompaiono. Ma, visto che le élite non producono niente, la riserva della ricchezza scompare e il risultato finale che che anch'esse scompaiono. Le élite sono così spietate che distruggono sé stesse.

Notate che in questo scenario, le riserve naturali ritornano al loro livello iniziale: il collasso non è il risultato della mancanza di risorse, ma dell'incapacità della società di accedervi. E' un risultato che ricorda stranamente una possibile interpretazione del collasso dell'Impero Romano. I Romani potrebbero aver diretto così tanta ricchezza ai non produttori (l'esercito) che i produttori (gli schiavi) sono quasi scomparsi. Visto che a malapena c'era rimasto qualcuno che coltivava la terra, alla fine l'intera società è collassata. 

Naturalmente, questa è un'interpretazione da prendere con cautela. Una ragione è che nel modello MRK la gente comune non può diventare élite e l'élite non può diventare gente comune; le due classi sono completamente separate ed impermeabili l'una dall'altra. Questa è di certo una semplificazione eccessiva: prima di scomparire completamente, le élite proverebbero almeno ad imparare a produrre qualcosa. D'altra parte, tuttavia, è vero che – per esempio – i burocrati statali sono dei pessimi contadini.  

Probabilmente il problema più importante del modello MRK è che manca il parametro critico dell'inquinamento persistente – presente invece nel modello de “I Limiti dello Sviluppo”. L'inquinamento, se venisse considerato, giocherebbe probabilmente un ruolo fondamentale in questo scenario di “carenza di lavoro”. Mostrerebbe probabilmente che la scomparsa dell'Impero Romano era principalmente collegata, invece, all'erosione del suolo – una descrizione degli eventi di quel tempo probabilmente più realistica. 

In ogni caso, queste considerazioni illustrano il potere dei modelli di stimolare le capacità interpretative della mente umana. Non ci serve alcun modello formale per descrivere il destino finale dei sistemi economici che crescono sul sfruttamento eccessivo delle risorse che usano. Col tempo, devono tornare a una condizione compatibile con le risorse disponibili (rimaste). Gran parte dei modelli ci dicono che questo “ritorno” accade come risultato di un ciclo si superamento ("overshoot") e collasso, che infatti è uno schema caratteristico di quelle strutture socioeconomiche che chiamiamo “imperi”. 

Il modello MRK ha evidenziato un fattore che è stato scarsamente esplorato finora: il modo in cui una distribuzione iniqua della ricchezza condiziona la traiettoria di un sistema economico. Questo è un parametro importante perché, in questo periodo, stiamo assistendo ad un trasferimento epocale di ricchezza dalle classi inferiori della società alle élite. Se questo fenomeno accelererà il collasso o lo rallenterà, non possiamo dirlo. Ma di sicuro è qualcosa che dobbiamo studiare e capire.





martedì 18 dicembre 2012

Scienza del Clima: stesso destino dei “Limiti dello Sviluppo”?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Gli studi sull'esaurimento delle risorse , come “I Limiti dello Sviluppo” del 1972, sono stati attaccati e demonizzati negli anni 80 e quindi consegnati al bidone della spazzatura delle idee scientifiche “sbagliate”. Ora è il turno della scienza del clima di essere attaccata e demonizzata. Due storie parallele che si svolgono in tempi diversi.



Negli anni 1950, il problema dell'esaurimento dei minerali ed il problema climatico iniziavano ad essere riconosciuti. Nel 1956 Marion King Hubbert pubblicava il primo studio che esaminava l'esaurimento del petrolio a livello mondiale, studio che suggeriva il modello che oggi prende il suo nome, il “Modello di Hubbert”. Pressappoco nello stesso periodo, nel 1957, Roger Revelle è stato coautore, insieme a Hans Suess, del primo saggio che osservava che la concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera stava aumentando come risultato della combustione di combustibili fossili e indicava gli effetti climatici relativi.

Sia gli studi climatici sia quelli sull'esaurimento del petrolio avevano a che fare con sistemi complessi e non lineari, così le stime quantitative delle tendenze future sono diventate possibili solo con lo sviluppo dei computer digitali. I primi modelli generali di circolazione (GCM) sono stati sviluppati al NOAA della NASA nei tardi anni 60. Il primo modello del mondo che esaminava il sistema economico mondiale alla luce dell'esaurimento delle risorse è stato pubblicato da Jay Forrester nel 1971, col titolo di “World Dynamics”. Un anno dopo, nel 1972, apparve lo studio più dettagliato “I Limiti dello Sviluppo”. Gli eventi hanno segnato una rapida crescita dei due nuovi campi di ricerca: “Scienza del Clima” e “Modellizazione del Mondo”.

Lo studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo” aveva già identificato gli elementi principali del comportamento del sistema mondiale. Ecco i risultati di base di quello studio.


Come vedete, il modello aveva già identificato i “punti di non ritorno” del sistema dove l'esaurimento graduale delle risorse naturali e l'aumento dell'inquinamento avrebbero portato al collasso della produzione industriale ed agricola e, più tardi, al collasso della popolazione. La scelta fatta per costruire questo modello è stata quella di “aggregare” la maggior parte delle variabili coinvolte, cioè di considerarle tutte insieme per limitare le inevitabili incertezze che si hanno quando si ha a che fare con singole variabili. Mancando dati sufficienti per costruire un modello molto dettagliato, l'approccio dello studio dei “Limiti dello Sviluppo” è stato euristico ed orientato alla comprensione del comportamento del sistema, piuttosto che a fare previsioni esatte. 

Sull'altro versante delle simulazioni, gli scienziati del clima si sono ritrovati ad affrontare la grande complessità del clima mondiale, per il quale spesso mancavano dati sufficienti. Il risultato è stato che la modellizzazione climatica è cresciuta con un consistente sforzo sperimentale per misurare i parametri del sistema. Diversi di questi parametri richidevano studi estensivi per essere compresi e quantificati. Col tempo, i modelli sono cresciuti in sofisticazione quando i dati in entrata sono diventati più dettagliati ed affidabili. Forse a causa di questa stessa sofisticazione, i modelli hanno avuto dei problemi nell'affrontare la questione dei “punti di non ristorno”, cambiamenti repentini che potrebbero risultare dal rafforzamento di retroazioni (feedback) all'interno del sistema climatico. La conseguenza è stata una tradizione a presentare i risultati dei modelli climatici come curve dolci e continue. Ecco qua, per esempio, le curve dell'aumento delle temperature contenute nel primo rapporto del IPCC del 1990.


I risultati delle simulazioni non sono cambiate di molto nell'ultimo rapporto del IPCC del 2000. Ora, ecco la differenza fra i due campi di ricerca: La modellizzazione del mondo, con la sua visione di collasso, sembrava fornire una minaccia più immediata e preoccupante che non le dolci curve della scienza del clima. La differenza ha avuto conseguenze. 

Sappiamo cos'è accaduto allo studio iconico della modellizzazione del mondo: “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. E' parso sufficientemente minaccioso a molta gente da subire una serie di attacchi politici negli anni 80 che lo hanno portato nel bidone della spazzatura delle teorie scientifiche “sbagliate”. Il problema non è stato solo la demonizzazione di un singolo studio, ma il fatto che un intero campo scientifico sia stato posto in cattiva luce, il che ha portato alla scomparsa quasi totale dei fondi per la ricerca in quell'area. Solo in anni recenti stiamo assistendo al tentativo laborioso della modellizzazione del mondo di riemergere come legittimo campo di studio. 

Il problema con la scienza del clima, tuttavia, è che la sua visione del problema è diventata gradualmente sempre più drammatica. Con la calotta polare del nord sulla strada della fusione completa, siccità, alluvioni ed uragani, la questione del cambiamento climatico repentino non può più essere ignorata. Gli scenari che tengono conto dei punti di non ritorno cominciano a sembrare ancora più preoccupanti di quelli forniti dalla modellizazione del mondo negli anni 70. 

Quindi potrebbe non essere un caso il fatto che stiamo vedendo una reazione contro la scienza del clima molto simile a quella vista negli anni 80 contro la modellizzazione del mondo. Uno sforzo concertato viene portato avanti per demonizzare la scienza del clima e gli scienziati del clima agli occhi del pubblico e per far passare tutta la faccenda per uno scherzo o, peggio ancora, una truffa premeditata. Fra le altre cose, gli attuali attacchi alla scienza del clima sono più aggressivi e violenti di quanto lo sia stato qualsiasi altro attacco contro la modellizzazione del mondo. Oggi, le tecnologie di demonizzazione sono molto meglio conosciute e raffinate di quanto lo fossero negli anni 80. La costruzione del “Climategate” per esempio, è un vero capolavoro di come ingannare il pubblico. 

Così, quello che stiamo vedendo sono due storie parallele che si svolgono in tempi diversi. Non è impossibile che la scienza del clima farà la stessa fine della modellizzazione del mondo negli anni 80: demonizzata e ridicolizzata da un attacco politico concertato e ben finanziato e conseguentemente rimossa dal parco dei campi di studio legittimi. Se questo accadesse, potrebbero tranquillamente passare un paio di decenni prima di renderci conto che studiare scienza del clima era importante. A quel punto, sarà sicuramente troppo tardi. 

Forse, tuttavia, la recente ondata di sintomi del cambiamento climatico, dagli uragani alla fusione delle calotte di ghiaccio, renderanno il problema così chiaro da risparmiare la scienza del clima dal destino della demonizzazione toccato alla modellizzazione del mondo. Tuttavia, la campagna anti-scienza è ancora in corso ed abbiamo già perso un sacco di tempo. E' troppo tardi? Solo il tempo ce lo potrà dire.