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sabato 3 marzo 2018

Il limite dei “Limiti”.


di Jacopo Simonetta

Ad oggi, purtroppo, il modello World3, cuore dello studio dei “Limiti della Crescita”, si è dimostrato di gran lunga il migliore fra i tanti modelli proposti nel tentativo di capire quello che ci sta accadendo.  La sua capacità previsionale si è infatti dimostrata ampiamente maggiore di quanto i suoi stessi autori non si aspettassero. Eppure contiene almeno un errore strutturale consistente: la teoria della “Transizione Demografica”.   Un errore trascurabile nella fasce ascendente delle curve, ma critico nella fase di declino e, forse,di  collasso del sistema socio-politico globale.

La teoria

L’idea alla base di questa teoria è che, aumentando il benessere, dapprima diminuiscano prima la mortalità e, successivamente, la natalità; così da ritrovare un relativo equilibrio ad un livello molto più alto di quello di partenza. Il corollario, è che non bisogna quindi preoccuparsi di controllare i parametri demografici (natalità, mortalità e saldo migratorio), bensì aumentare e diffondere il benessere economico,  “condizione necessaria e sufficiente” per la definitiva soluzione dei problemi umani.

La teoria, nata alla fine del XIX secolo, ha alcuni pregi e parecchi difetti.  
Il merito principale è di individuare una serie di fattori sociali e culturali che effettivamente danno un contributo importante alla dinamica di una popolazione umana.   Ad esempio, il livello di istruzione femminile, l’accesso ai contraccettivi moderni, l’accesso al mercato del lavoro per le donne, l’innalzamento dell’età matrimoniale, eccetera sono certamente elementi importanti; cruciali in determinati contesti.  E sono tutti fattori quasi sempre associati ad un aumento del reddito, almeno in età moderna.
Un primo importante difetto è invece quello di pretendere che una stessa dinamica debba necessariamente verificarsi dovunque e comunque.

Un secondo ed ancor maggiore difetto non è proprio della teoria in se, ma dei modelli da essa derivati ed ampiamente utilizzati dalle principali istituzioni mondiali (ma non da World3). Cioè dare per scontato che gli ecosistemi, di cui le popolazioni fanno parte, siano comunque in grado di sostenere la maggiore popolazione post-transizione.  Di conseguenza, sembra che le popolazioni umane possano solo crescere o stabilizzarsi, senza mai diminuire se non, eventualmente, in conseguenza di proprie dinamiche interne. Politicamente molto corretto, ma scientificamente del tutto irrealistico.

Il terzo e principale difetto è che il modello è reversibile nel tempo.  In pratica, la teoria prevede che, quando una popolazione viene colpita da una crisi economica, aumentino sia la mortalità, sia la natalità. Considerando il solo livello globale, i flussi migratori sono considerati indifferenti. Per quanto riguarda la mortalità, la previsione è corretta, ma gli effetti sulla natalità sono molto più complessi.  Vediamo quindi una serie di casi reali (ovviamente, visti i limiti di spazio, si farà cenno solo a quei dettagli che sono utili in questa sede).

Casi reali.

Senza pretesa di condurre un’analisi sistematica, ci limiteremo qui ad una carrellata di casi emblematici, con attenzione agli indizi utili per delineare scenari demografici sia pur minimamente realistici.  Fermo restando che la realtà sarà sempre diversa da come la abbiamo immaginata. 

Cina


Il doppio picco, negativo delle nascite e positivo delle morti, seguito da un brusco rimbalzo della natalità è un fenomeno molto frequente che ritroveremo anche in altri esempi.  Si verifica quasi sempre quando una popolazione viene colpita da una improvvisa calamità, molto violenta, ma di breve durata come una guerra ad alta intensità o una grave epidemia.  Molto più interessante è quello che è accaduto dopo.  Infatti, malgrado le politiche decisamente nataliste di Mao, le nascite sono calate con estrema rapidità ben prima del “miracolo cinese”. Da notare anche che la legge sul figlio unico è stata introdotta quando la natalità era già poco al di sopra dell’1,5% e, dall'andamento successivo della curba, si direbbe che abbia svolto un ruolo determinante nel prevenire un picco riproduttivo analogo a quello avvenuto in Italia negli anni ’60 (v. seguito).   Viceversa, il successivo livellamento, fra l’1 e lo 0,5 %, è probabilmente dovuto ad altri fattori, tanto è vero che la modifica della legge (adesso sono consentiti due figli per coppia) non ha per adesso modificato sensibilmente la curva.

Per quanto riguarda la correlazione con la crescita economica, è da notare che il “miracolo cinese” è avvenuto dopo che la natalità era già sostanzialmente scesa.  Oggi, in una fase di brusco rallentamento, se non di stagnazione, dell’economia cinese, i provvedimenti per rilanciare la natalità stanno avendo risultati deludenti.   La natalità è tuttora in calo.

Un fattore che sicuramente sta giocando un ruolo è la prospettiva di un futuro senza crescita economica in un paese in cui è stato fatto un massiccio sforzo per l’istruzione di base alle bambine, l’industrializzazione e il lavoro femminile. Tutti fattori che hanno contribuito molto a scardinare la famiglia confuciana tradizionale, a tutto detrimento della natalità. Cioè esattamente il contrario di quanto all'epoca si riprometteva il governo maoista che pure avviò questi provvedimenti.

India.

Contrariamente alla Cina, durante gli anni ’70 e primi anni ’80 l’India fu il paese che più di ogni altro si prodigò per contenere il “baby boom”, giungendo addirittura a praticare sterilizzazioni forzate in maniera massiccia. Con tutto ciò, la natalità che continuò comunque a crescere inesorabile fino alla metà degli anni ‘80, per poi cominciare a declinare autonomamente e lentamente; restando comunque ben addentro al territorio positivo.  Un fatto questo non privo di conseguenze.
Qualcuno ricorderà di quando si parlava di “Cindia”: in parecchi vagheggiavano un’alleanza strutturale fra questi due giganti che, uniti, avrebbero dominato il mondo.   Partiti praticamente insieme nel 1980, i due paesi più popolosi del mondo hanno invece seguito strade assai diverse e, ad oggi, la Cina ha vinto la corsa.   

Vari fattori vi hanno giocato, ma certamente la precoce riduzione della natalità ha consentito ai cinesi un sensibile aumento del reddito pro capite già prima del 2001 e, quando la Cina entrò nel WTO, la sua popolazione era già quasi stabilizzata, seppure complessivamente giovane.   Una condizione ottimale per approfittare della situazione con il più fantastico tasso di crescita economica mai visto nella storia umana.

Viceversa, la crescita demografica indiana continua tuttora ad assorbire parte della crescita economica, con un aumento del potere d’acquisto del cittadino medio che è meno della metà di quello dei cinesi. Di conseguenza, mentre milioni di famiglie cinesi hanno potuto investire e/o risparmiare, la maggior parte delle famiglie indiane si devono accontentare della sopravvivenza.

Nigeria.

La Nigeria è il paese che più di tutti si presta ad illustrare l’esplosione repentina delle “bomba demografica”.  In soli 50 anni la sua popolazione è triplicata e continua a crescere ad un vertiginoso tasso vicino al 3% annuo (tempo di raddoppio circa 25 anni).

Le conseguenze sono complesse.  Anche se molti acclamano il vertiginoso aumento del PIL del paese, la devastazione pressoché totale degli ecosistemi ha provocato la disintegrazione degli equilibri sociali e delle culture tradizionali, con un tasso di inurbamento fantastico sia per dimensione che per velocità. Guerre tribali e religiose, terrorismo, corruzione ad ogni livello, disoccupazione alle stelle e molto altro completano un quadro che sta già contribuendo a destabilizzare una bella fetta di mondo. Come se non bastasse, una situazione politico-sociale molto instabile all’interno di un paese ricco di risorse minerarie non può che essere un potente attrattore per speculatori privi di scrupoli di tutto il mondo.

Particolarmente interessante è che i oggi due terzi della popolazione vive in completa miseria, ma ciò non impedisce alla stragrande maggioranza delle persone di essere molto ottimiste.  Oggi, in Nigeria, quasi tutti hanno progetti per un futuro che immaginano molto migliore del presente. Questa è probabilmente una delle due principali ragioni per un calo così lento della natalità, malgrado un ambiente così ostile per la grande maggioranza dei cittadini.  L’altro motivo probabile è che la larghissima maggioranza dei nigeriani sono cattolici o mussulmani: molto convinti e credenti in entrambi i casi.

Impossibile dire come andrà, ma di sicuro la proiezione demografica ufficiale (circa 500 milioni di persone al 2050) è la meno probabile di tutte. Anche tenendo conto che l’impronta ecologica è un parametro parziale, non c’è dubbio che la popolazione attuale abbia già ampiamente superato la capacità di carico del Paese. Qualunque cosa fermerà un simile impulso sarà dunque qualcosa di “bilico” che coinvolgerà il mondo intero. 

Russia.

La Russia si trova in una condizione opposta quella della Nigeria. Raggiunse il massimo di crescita demografica alla fine del XIX secolo, per poi gradualmente declinare, anche a causa delle due guerre mondiali, parimenti disastrose sul piano demografico, ancorché di segno opposto su quello geopolitico.   La prima segnò infatti la fine dell’Impero Russo, la seconda la nascita di quello Sovietico.

Per quanto riguarda il secondo dopoguerra, è da notare che proprio nel periodo della massima potenza sovietica, il tasso di natalità calava rapidamente, a fronte di un tasso di mortalità in diminuzione fino alla metà degli anni ’60, per poi tornare a crescere leggermente. Dal nostro punto di vista, è però ancora più interessante ciò che è accaduto dopo.  Il collasso dello stato sovietico e la gravissima crisi economica che lo ha caratterizzato iniziò infatti alla metà degli anni ’80, puntualmente accompagnato non solo da un balzo della mortalità (come c’era da aspettarsi), ma soprattutto con un ulteriore sdrucciolone della natalità, che raggiunse il minimo storico durante il decennio 1995-2005.  Per poi riprendersi, ma solo in parte, a fronte di una migliorata situazione economica e di una maggiore stabilità politica.

Un fatto questo molto importante perché ulteriormente confermato negli ultimi anni, ma diametralmente opposto alle previsioni fatte in base alla teoria demografica dominante. 

Italia.



A prima vista l’Italia si presenta come un caso paradigmatico di “transizione demografica”; ma ad uno sguardo più attento forse non del tutto.  Dal 1900, la mortalità è andata diminuendo, mentre la natalità cresceva.  Poi ci fu il duplice disastro della “grande guerra” e, subito dopo, della “spagnola”.   Da notare che in questo, come in moltissimi altri casi, durante la fase acuta delle moria anche la natalità è crollata, per rimbalzare subito dopo ad un livello leggermente superiore a quello precedente.  Interessante è anche osservare che, analogamente a quanto visto per la Cina di Mao, le politiche demografiche di Mussolini non impedirono un calo sensibile della natalità durante il “ventennio”.

Quindi ci fu un picco di natalità a cavallo del nuovo disastro rappresentato dalla 2a Guerra Mondiale (che fece molte più distruzioni, ma meno morti della prima, malgrado i bombardamenti, l’olocausto, le rappresaglie, ecc.). Poi, e questo è molto interessante, una netta depressione durante gli anni ’50 e quindi un ripido picco in corrispondenza col il periodo più ottimista della nostra storia: quei mitici anni ’60 che ancora ci ossessionano.  Infine, il graduale calo fino a quota di mantenimento alla metà degli anni ’90 e poi sotto.  Infine, la crisi mai finita del 2008 si è finora accompagnata sia ad un lieve aumento della mortalità, sia una lieve diminuzione della natalità. Sicuramente è presto per dire se sarà una tendenza duratura e diversi fattori concorrono a questo risultato, ma è interessante perché analogo a quanto già visto in Russia ed in molti altri paesi.

Tirando le somme.

La carrellata di cui sopra è molto parziale, ma significativa. Direi che si possono trarre le seguenti conclusioni, certamente parziali, ma interessanti:

1 - La bomba demografica ci sta scoppiando sotto il naso proprio ora ed ha appena cominciato a farci male. Il “meglio” deve arrivare ed arriverà. Non possiamo sapere quanto tempo ci vorrà per tornare a densità umane compatibili con la sopravvivenza della Biosfera, ma sappiamo che, se non accadesse, l’estinzione della nostra specie diventerebbe una prospettiva molto realistica.  

2 - La “transizione demografica” descrive abbastanza bene quello che succede durante le fasi di rapida crescita, ma trascura completamente il ruolo complesso dei Ritorni Decrescenti  e dei limiti su tutti i fenomeni fisici di crescita, comprese la crescita economica e quella demografica.  Di conseguenza, risulta del tutto inadeguata per delineare scenari realistici per i prossimi decenni.  Questa tara rende assai poco affidabili gli scenari delineati da Word3 successivi al 2030-2040.

3 - Gli interventi governativi a favore della  natalità hanno di solito un impatto marginale, mentre quelli volti a ridurre la mortalità possono avere effetti spettacolari, a condizione di disporre dei mezzi economici necessari.  Anche gli interventi governativi di contrasto della natalità si sono dimostrati poco efficaci, tranne nel caso della Cina; cioè in un paese dove anche solo parlare di “diritti individuali” costituisce un reato grave

4 - Catastrofi improvvise come guerre ad elevata intensità o gravi epidemie hanno effetti molto brevi nel tempo perché, subito dopo, la società recupera la tendenza precedente.  Sono quindi del tutto inefficaci per controllare popolazioni in fase di rapida crescita, mentre possono avere effetti enormi su popolazioni che sono già in calo per altri fattori.  Ma simili shock potrebbero anche avere l’effetto di rilanciare la natalità.  Diciamo che le conseguenze a medio e lungo termine delle gravi calamità sono imprevedibili.

5 – Perlomeno nelle odierne  società reduci da periodi di “boom” economico, il peggioramento delle condizioni economiche, o anche il solo rallentamento della crescita, provoca una riduzione della natalità, a fronte di un incremento sia della mortalità che dell’emigrazione. Quindi riduzioni relativamente rapide della popolazione, anche in assenza di fatti particolarmente drammatici.

6 – In tutti i paesi del mondo il tasso di natalità sta diminuendo, ma l’inerzia intrinseca di popolazioni longeve come le nostre fa si che, in assenza di limiti, effettivamente la popolazione tenderebbe a crescere ancora per tutto il secolo in corso, secondo le proiezioni dell’ONU (circa 12 miliardi di persone per il 2100).   Il problema è che i limiti invece ci sono.

 Il limite dei “Limiti”.

Secondo World3, ben entro il 2050, la popolazione mondiale non tenderà a stabilizzarsi, bensì a diminuire.  La fine della crescita demografica globale per il 2030 è uno scenario reso molto credibile dalla dimostrata validità del modello.

Ma se questo si è dimostrato estremamente affidabile in fase di crescita, non lo sarà per la fase di decrescita.  Per i motivi visti, c’è infatti da aspettarsi che il decremento demografico sarà molto più rapido di quanto indicato dal modello, pur senza bisogno alcuno di immaginare scene raccapriccianti. Per fare solo un’ipotesi, un decremento del 3% annuo significherebbe dimezzamento della popolazione in circa 25 anni, pur senza bisogno di fosse comuni e monatti.

Un secondo punto, completamente assente dalle analisi di World3, sono le dinamiche regionali.  La flessione demografica, come tutti gli altri fattori in gioco, non sarà uniforme. Al contrario, ci saranno realtà molto diverse, ad esempio con aree in calo relativamente rapido, altre in relativo equilibrio ed altre ancora in rapida crescita.

Questo accentuerà le pressioni già presenti in materia di grandi flussi migratori che sono ampiamente in grado di cambiare drasticamente il quadro . 
Per citare un solo esempio, abbiamo visto che l'Italia ha un saldo naturale negativo, ma ciò nondimeno vive da oltre 10 anni il periodo di massima crescita demografica della sua storia. 


Altri fattori, come il clima, le guerre, le carestie eccetera contribuiranno a delineare un quadro imprevedibile nei suoi dettagli.

Questo crea contemporaneamente rischi ed opportunità.  Da una parte, infatti, la possibilità di importare gente dall'estero sarà senz'altro un’opportunità, ma solo ed esclusivamente se i flussi saranno controllati in modo da rispettare almeno due parametri: 1- rallentare, ma non fermare il decremento demografico; 2 – rispettare un livello di integrazione tale da prevenire conflitti gravi con gli autoctoni.
In caso contrario, una crescente conflittualità sarà inevitabile, con conseguenze probabilmente devastanti su economie e società già fortemente fragilizzate da altri fattori.

venerdì 6 giugno 2014

Urban legend 2: Ma è vero che la popolazione italiana è in diminuzione?

E' il primo? No, il 7-miliardesimo


Di Jacopo Simonetta

Che la popolazione italiana stia diminuendo è una leggenda talmente diffusa e radicata de essere stata accreditata perfino da Serge Latouche in una sua recente conferenza.

In realtà (dati ISTAT), se escludiamo l’immigrazione, osserviamo che il saldo fra nati e morti oscilla molto vicino allo zero dalla metà degli anni ’80 fino al 2010, poi sembra cominciare ad aprirsi un saldo negativo, ma è ancora troppo presto per capire se è una fluttuazione od una tendenza.
Tuttavia, le cose cambiano radicalmente se consideriamo il contributo alla popolazione degli immigrati. Considerando solo l’immigrazione legale (i clandestini sono stimati fra i 300.000 ed il 500.000 a seconda delle fonti e dei periodi), troviamo che la popolazione non ha mai cessato di crescere, ma era giunta molto vicino alla stabilità negli anni ’90, per poi ricominciare a crescere in modo esplosivo fino a giorni nostri.   Un dettaglio interessante: la curva presenta un punto di rottura preciso: il 2001, l’anno precedente l’ approvazione della famigerata “legge Bossi-Fini”  che, giusta od iniqua che sia, non ha minimamente influenzato la tendenza all'aumento della popolazione generato dall'immigrazione.


Per quanto riguarda invece la popolazione mondiale, è vero che il tasso di crescita è diminuito dal 2,19% del 1963 ad un apparentemente modesto 1,14% nel 2013, ma tradotto in numero di bocche da sfamare, nel 1963 l’incremento fu di circa 70 milioni, mentre nel 2013 l’incremento è stato di oltre 80 milioni.   In termini assoluti, oggi stiamo quindi vivendo la crescita demografica maggiore della storia, ma cosa accadrà negli anni venturi?  Generalmente si legge che la popolazione tenderà a stabilizzarsi fra i 9 ed i 10 miliardi di abitanti verso la metà del secolo, complice il miglioramento delle condizioni di vita.   Un messaggio apparentemente tranquillizzante, con una interessante storia alle spalle.

Le proiezioni demografiche che giustificano questa serafica conclusione sono basate su di un modello matematico chiamato “teoria della transizione demografica”.   Per l’appunto una teoria basata sul presupposto che le famiglie benestanti abbiano meno figli di quelle povere; ne consegue che il miglioramento delle condizioni di vita comporta una stabilizzazione della popolazione secondo lo schema seguente:

1 – Equilibrio demografico antico sostanzialmente stabile perché sia la natalità che la mortalità sono alte.

2 – Prima fase della transizione: Crescita dovuta la fatto che, migliorando le condizioni di vita, la mortalità diminuisce mentre la natalità rimane alta.

3 – Seconda fase di transizione: Stabilizzazione dovuta alla graduale riduzione delle nascite.

4 – Equilibrio demografico moderno, sostanzialmente stabile in quanto natalità e mortalità sono entrambe basse.


Nata agli inizi del XX° secolo, questa teoria che ha descritto in maniera abbastanza fedele quanto effettivamente accaduto in Europa occidentale, USA e Giappone nel secondo dopoguerra:   Dunque la teoria è validata dai fatti?   Così pareva agli inizi degli anni ’70, tanto che è entrata a far parte integrante di Word 3 i cui scenari, purtroppo, si stanno dimostrando molto affidabili.    Ma già allora il “gruppo Meadows” metteva in guardia contro alcuni limiti nell’applicabilità di tale teoria.

Oggi, 40 anni più tardi, dovremmo constatare alcune cose:

- Fra i paesi con la natalità più bassa al mondo troviamo alcuni paesi “sviluppati” (come Germania Regno Unito ed Austria), ma anche  paesi poveri ex-comunisti (come Bielorussia, Ucraina, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria) in cui il collasso economico ha portato un aumento della mortalità, ma non quello della natalità, come avrebbe dovuto accadere se la teoria fosse universalmente valida.
- Molti paesi particolarmente ricchi hanno indici di natalità elevati, ad es. i paesi arabi petroliferi.

- Dal momento che gli accordi in sede WTO consentono una notevole (anche se non totale) mobilità dei flussi migratori, il tasso di natalità e quello di crescita demografica dei vari paesi sono due variabili assai poco correlate.   Paesi con tassi di natalità molto bassi hanno tassi di crescita demografica molto elevati e viceversa.   

- Se anche avvenisse la prevista stabilizzazione, non è affatto detto che questa avvenga ad un livello sostenibile, vale a dire al di sotto della capacità di carico del territorio interessato o del pianeta nel suo complesso.   Ne siamo brillanti esempi noi occidentali che, se non fosse per l’immigrazione,  avremmo tassi di crescita molto vicini alla parità o lievemente negativi, ma che per vivere utilizziamo quasi il doppio delle risorse che avremmo a disposizione.

In realtà, il meccanismo storicamente riscontrato (ma da molti contestato)  è un altro: la crescita economica consente la crescita demografica che, alcune generazioni dopo, provoca una crisi economica a seguito della quale i tassi di mortalità e di emigrazione aumentano finché la popolazione non rientra all'interno della capacità di carico del proprio territorio.   Dopodiché le risorse possono rigenerarsi (almeno in parte) ed il ciclo può anche ripartire.   

La trappola psicologica consiste nel fatto che la fase di crescita demografica segue di poco l’inizio di quella di crescita economica e la accompagna a lungo, effettivamente stimolandola ulteriormente mediante l’ampliamento del mercato e della mano d’opera disponibile, ma solo finché gli altri elementi del sistema (risorse, inquinamento, stabilità sociale) lo consentono.    Una volta superata le “linea rossa” della capacità di carico, ogni incremento demografico diviene un chiodo nella bara del benessere acquisito, ma l’esperienza vissuta e ricordata porta invece ad identificare la prosperità con la fecondità.   Fino a giungere ai deliranti messaggi odierni in cui si invoca un’ulteriore crescita demografica per rilanciare quella economica.   Una cosa che suona un po’ come praticare l’incendio boschivo per rilanciare la forestazione.
Ma se i cicli storici sono stati di secoli, quello che stiamo vivendo attualmente ha vissuto l’esplosione e probabilmente vivrà il collasso in meno di cento anni, perché?    Semplicemente perché la nostra strabiliante crescita ha un nome preciso: petrolio di buona qualità ed a buon mercato.   Non abbiamo finito il petrolio (probabilmente non lo finiremo mai), ma quello che ci rimane è scadente e caro.   

Esistono alternative, certo, ma costose e parziali.   Inoltre l’energia non è certo l’unico limite allo sviluppo economico contro il quale ci stiamo scontrando: gli effetti negativi dell’inquinamento, del degrado dei suoli, dell’estinzione di massa in corso, (per citarne solo alcuni) rischiano di essere ancor più dirompenti.   L’estrema instabilità e disparità economica (entrambe senza precedenti nella storia moderna) rischiano di far implodere il sistema  in qualunque momento, mentre il crescere della conflittualità sociale, il risorgere dei nazionalismi e la corsa internazionale all'accaparramento delle risorse residue presentano ulteriori rischi già nel breve periodo.

In conclusione, è estremamente improbabile che la popolazione umana tenda a stabilizzarsi e sono certo che i demografi dell’ONU lo sanno benissimo.   Al contrario, e’ probabile che, a livello globale,  una flessione inizi entro il 2030 se non prima, quindi fra 10-15 anni.   Ma se il modello Word3 si è dimostrato estremamente affidabile finora, la sua affidabilità decrescerà molto rapidamente in rapporto al tempo da quando la curva della popolazione inizierà a flettere.

Ci sono due ragioni molto forti per questo.

La prima, già evidenziata dagli autori, è che nelle prime fasi del collasso il sistema globale si disarticolerà in sotto-sistemi relativamente indipendenti fra loro (magari anche in conflitto fra loro), cosicché saranno possibili dinamiche anche molto diverse a seconda delle zone.

La seconda è che il modello prevede che, al degradarsi delle condizioni di vita, aumentino rapidamente sia la mortalità che la natalità e questo non è detto che avvenga.   A parità di altre condizioni, le zone dove la popolazione diminuirà più rapidamente saranno quelle che si stabilizzeranno prima e che avranno le migliori possibilità di recupero, ma non è certo perché numerosissimi altri sono i fattori in gioco.


giovedì 14 gennaio 2016

LA SOVRAPPOPOLAZIONE È UN PROBLEMA ?


di Jacopo Simonetta

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7", Bollettino dell'Associazione Rientrodolce. 

Le parole hanno un significato e da come si usano si può capire come funziona la mente di chi parla o scrive.

Prendiamone una che oggi si incontra spessissimo: problema.

In pratica, quando una determinata situazione viene definita “un problema” s’intende dire che è una cosa più o meno spiacevole, magari anche pericolosa, ma che opportune azioni possono, almeno in teoria, ricondurre il tutto entro l’alveo della normalità (altro termine su cui ci sarebbe molto da dire).
Dunque è questo che intendiamo quando diciamo che la sovrappopolazione è un problema?  Se si, vuol dire che ci devono essere delle azioni atte a risolverlo, questo problema; altrimenti utilizzeremmo altri termini come, ad esempio, “catastrofe”.

Ma che vuol dire “catastrofe”? Comunemente, lo sappiamo, indica un evento improvviso, tale da provocare danni molto elevati, anche irreparabili.
In un contesto scientifico, indica più genericamente un cambiamento molto rapido e consistente nell'andamento di una funzione. Un modo molto asettico di indicare eventi che, spesso, hannoconseguenze devastanti, perlomeno alla scala dimensionale cui ci si sta riferendo.

Insomma, riferito alla realtà quotidiana di tutti noi, vogliono dire la stessa cosa, ma il significato scientifico ci interessa perché si porta dietro la spiegazione di come avviene la formazione di una catastrofe. Impariamo così che se gli effetti sono repentini, le cause, al contrario, si accumulano silenziosamente per un periodo anche molto lungo, senza che succeda praticamente niente.  Ed è proprio questa dilazione degli effetti rispetto alle cause che impedisce un tempestivo adattamento, provocando quindi effetti dirompenti.

Ad esempio, se, un poco per volta, si accumula un carico eccessivo su una trave di legno, un osservatore accorto avrà modo di vedere che pian piano si flette, vi compaiono fenditure caratteristiche e nel silenzio si udirà scricchiolare.  Ci sarà quindi il tempo per spostare i mobili. Viceversa, se si eccede nel caricare una trave di cemento armato, non si vedranno segni di sorta finché un giorno, all'improvviso, la trave cederà di schianto.  E se vi capita di sentire scricchiolare una trave di questo tipo, non pensate ai mobili, ma a scappare perché è già troppo tardi.

Considerando che i principali effetti della sovrappopolazione sono l’aumento della disoccupazione, l’incremento dei flussi migratori, lo sgretolamento delle strutture sociali, la distruzione di ecosistemi, la perdita di biomassa e di biodiversità, l’erosione dei suoli ed altri simili, non credo che ci sia molto bisogno di dilungarsi sul fatto che la trave stia scricchiolando molto forte e non da adesso.

Ma potremmo forse fare qualcosa per evitare il peggio che incombe?

In effetti, fin dagli anni ’60 del ‘900, quando la tendenza demografica è diventata evidente, c’è stato un fiorire di proposte, perlopiù concentrate sulla riduzione delle nascite, ma non hanno funzionato.  A livello globale, la curva demografica reale ha ricalcato quasi perfettamente quella prevista negli scenari “business as usual”.

In parte perché solo alcuni paesi hanno ridotto sufficientemente la natalità ed anche questi troppo lentamente. Ma soprattutto perché l’aumento vertiginoso della popolazione è dipeso prevalentemente dalla riduzione della mortalità, un fatto direttamente correlato con l’aumento delle produzioni agricole ed al miglioramento dei servizi sanitari più o meno in tutto il mondo.

Sicuramente le due conquiste della modernità più universalmente apprezzate. Ma conquiste direttamente dipendenti dal tipo di sviluppo economico che abbiamo avuto, poiché solo questo tipo e questo livello di crescita economica poteva mettere a disposizione le immani risorse necessarie ad un tale sviluppo della scienza e dell’industria medico-farmaceutica, così come per l’industrializzazione dell’agricoltura, lo sviluppo dei trasporti ecc.

Sappiamo per esperienza che crescita economica significa maggiori opportunità di guadagno, oltre che più beni e più servizi da acquistare. E’ intuitivo che ciò favorisca sia la natalità che la longevità; dunque la crescita demografica.   E’ invece molto meno evidente che, alle lunghe, proprio il perdurare della crescita demografica finisca con l’erodere l’economia. Eppure tutti sanno ( o dovrebbero sapere) che una famiglia deve scegliere se pagare l’università al figlio, acquistare una macchina nuova, andare in vacanza in un albergo di lusso o mettere al mondo un altro bambino. Semplicemente perché non ci sono risorse sufficienti per fare tutte queste cose contemporaneamente, a meno che non si guadagni di più.   Ma guadagnare di più significa per l'appunto crescita economica.

E, malgrado la frenesia di governi, banche, imprenditori ecc. la semplice verità è che i presupposti per la crescita economica non ci sono più. Al di la dei trucchi contabili, l’occidente è in recessione da quasi 20 anni oramai; ed il resto del mondo, alla spicciolata, ci segue.

Andamento di PIL, debito federale e borsa negli USA. I dati del PIL,
 corretto 
dalle manipolazioni contabili, sono tratti da John Williams,
”Shadow Government 
Statistics”)
In estrema sintesi, crescita demografica e crescita economica si rinforzano vicendevolmente, ma fra le due è la crescita economica che fa aggio sull'altra perché, se l’economia si contrae, la mortalità inevitabilmente sale,  mentre la natalità può sia aumentare che diminuire a seconda di molti fattori,
principalmente il livello d’autonomia decisionale delle donne in seno alla società.

Dunque: esiste una soluzione del problema? Secondo me, dipende da cosa chiamiamo “soluzione”. Se intendiamo dire che esiste un modo per riportare l’umanità in equilibrio con le superstiti risorse del pianeta in maniera non traumatica, direi certamente: NO.

Qualunque intervento anche solo teoricamente adottabile dalle pubbliche autorità non sortirebbe effetti sensibili prima di alcuni decenni, mentre gli effetti della contrazione economica si stanno già facendo sentire in alcuni paesi e, con ogni probabilità, cominceranno a farsi sentire su scala globale nel giro di 10-20 anni da adesso.   Dunque molto prima ed in modo, purtroppo, molto più rapido.

Insomma, per una volta è vero il detto “il problema è la soluzione”, ma ciò non significa che siamo eticamente autorizzati a stare a guardare la fine della nostra civiltà con le mani in mano, magari sogghignando “io l’avevo detto”.  Al contrario, è proprio quando la barca affonda che bisogna darsi maggiormente da fare.

Per cominciare, ridurre la natalità non sarà certamente sufficiente a riportare la situazione entro i limiti di sostenibilità, ma può fare moltissimo per ridurre il carico di sofferenza collettiva nel prossimo futuro.   Soprattutto, può dare un contributo cruciale nel flettere la curva della popolazione abbastanza in fretta da permettere agli ecosistemi di recuperare abbastanza da poter assicurare una vita decente ai discendenti dei superstiti.

Del pari, studiare ogni possibile modo per ridurre i propri impatti personali e collettivi sul pianeta, ben lungi dall'essere inutile, aiuterà a guadagnare tempo, lenire almeno un poco le situazioni più disperate e, soprattutto, elaborare i presupposti per la nascita di una civiltà futura molto diversa da quella attuale.

Per non parlare dell’urgenza di elaborare e sperimentare forme di aggregazione sociale e forme di economia di sussistenza preadattati, entro i limiti del possibile, alle condizioni socio-economiche e politiche probabili nel futuro a medio termine.

Un altro campo d’azione sterminato è occuparsi di trasmettere ai posteri almeno una parte dell’immenso patrimonio d’arte e scienza che abbiamo generato e accumulato attraverso secoli. E’ estremamente improbabile che le civiltà del futuro abbiano a disposizione i mezzi che abbiamo avuto noi, semplicemente perché le risorse necessarie non esistono più. Ma proprio per questo dovremmo preoccuparci, forse ancor più che di qualunque altra cosa, di proteggere questo nostro straordinario prezioso patrimonio dalla distruzione dei decenni venturi. Abbiamo ben visto di quali danni siano capaci gruppi di fanatici: quali saranno le conseguenze degli inevitabili e drastici tagli ai bilanci di università, musei, biblioteche, eccetera?

Infine, non dobbiamo dimenticare mai che se poco può essere fatto per lenire la durezza dei tempi a venire, moltissimo possiamo invece fare per rendere tali tempi molto, ma molto peggiori.  Il dilagare di nazionalismi e fanatismi di ogni sorta, il diffondersi di pensieri del tipo “ci vorrebbe un uomo forte” o “si stava meglio quando si stava peggio” e simili, sono tutti dei “dejà vu” in altre epoche di profonda crisi, che dovrebbero metterci all'erta.

Mantenersi impermeabili a questi richiami e cercare di contrastarli dovrebbe essere una delle occupazioni quotidiane di chi desidera dare il suo piccolo contributo ad una decrescita che, se non sarà felice, si può sperare che sia almeno “passabile”.  Evitando di farne l’incubo che, apparentemente, sempre più persone stanno cercando di materializzare.   Perlopiù per lo spasmodico desiderio di evitare l’inevitabile, quasi che fosse possibile riportare indietro l’orologio delle storia ad epoche in cui, è vero, si viveva meglio di oggi.   Ma è proprio in quelle epoche che abbiamo stoltamente sovraccaricato le strutture vitali del pianeta. Tornare indietro non servirebbe quindi a nulla; meno male che non è possibile.



domenica 19 ottobre 2014

Crescita demografica, povertà e violenza: un commento.

di Jacopo Simonetta

Molti di noi ricorderanno che negli anni ’70 raggiungemmo i 4 miliardi di “bocche da sfamare”, come si diceva allora,  con un tasso di incremento di circa 70 milioni l’anno.    La sovrappopolazione era l’argomento del giorno; perfino nelle scuole se ne parlava come di una minaccia alla sopravvivenza stessa dell’umanità.    Alcuni paesi vararono anche programmi più o meno efficaci per limitare le nascite:  dalla semplice propaganda (come ad es. in Afghanistan), fino alla legge del figlio unico in Cina e le sterilizzazioni obbligatorie che costarono la vita a Sanjay Gandhi.

Poi, gradualmente ed impercettibilmente, il tema è passato nel dimenticatoio, mentre la “teoria della transizione demografica” veniva trasformata da ipotesi scientifica in articolo di fede e, infine, in comodo pretesto per evitare l’argomento; una tendenza proseguita finché dall'oblio siamo passati all'estremo opposto.  

Oggi siamo poco meno del doppio di allora (7,266 miliardi con analogo incremento di circa 70 milioni l’anno), ma da almeno un decennio siamo oggetto di  una campagna perlopiù indiretta, ma martellante a favore di un rilancio della natalità e/o  dell’immigrazione, invocate quale rimedio sovrano per una varietà stravagante di malattie reali e presunte delle nostre società: dalla crisi economica al debito pubblico, con coloriture diverse a seconda della fonte.   Di fatto, se oggi si chiede alla gente per strada quale sia il problema demografico, moltissimi rispondono convinti “che non nascono più bambini!” o “l’invecchiamento della popolazione”.

Solo molto di recente l’argomento sta tornando alla ribalta, ma in ambienti di nicchia e sfidando non pochi fulmini.   Per contribuire in qualche modo a rilanciare questo interessante dibattito, vorrei qui proporre un semplicissimo esercizio che ho personalmente fatto.    Avverto subito che i risultati possono essere inaffidabili se riferiti ai singoli paesi, ognuno dei quali ha una situazione peculiare.   Il mio scopo qui è solamente quello di verificare, a livello globale,  se è possibile che vi sia una correlazione fra natalità, povertà e criminalità.
I parametri che ho utilizzato sono i seguenti:

Povertà.   Ho selezionato i 60 paesi con il PIL pro-capite più basso (dati ONU relativi al 2012). I  limiti di questo parametro economico sono noti ed importanti, ma è l’unico disponibile.

Natalità.  Ho selezionato i 60 paesi con il più alto tasso di natalità  (stima ONU 2010).   Il tasso di crescita demografica può essere anche molto diverso a causa dei movimenti migratori e del diverso tasso di mortalità..

Criminalità.   Ho selezionato i 60 paesi con il più elevato tasso di violenza, valutato con il numero di omicidi per 100.000 abitanti (Dati Geneva declaration on armed violence and development 2011).   Il dato considera solo i morti da criminalità comune, non quelli per cause belliche.   In alcune volte la distinzione è praticamente impossibile, ma anche in questo caso il mio interesse è sulle tendenze generali, non sui casi particolari.






Disegnando i tre insiemi così costituiti risulta evidente che la stragrande maggioranza dei paesi ad elevata natalità sono anche particolarmente poveri ed afflitti da una criminalità particolarmente aggressiva.    Ben 45 stati su 60 ricadono infatti in tutti e tre gli insiemi contemporaneamente.   10 sono particolarmente prolifici e poveri, ma non turbolenti.   8 sono invece turbolenti, ma non particolarmente poveri e prolifici, solo 4 sono poveri e turbolenti, ma non prolifici; 4 sono molto poveri, ma non particolarmente turbolenti e prolifici; 3 sono invece prolifici e turbolenti, ma non poveri  ed, infine, 3 sono molto prolifici, ma né poveri né violenti.

Se riportiamo tutto ciò in una tabella, si evidenzia una gaussiana tipica.   Non sorprende, ma la ripidità della gaussiana suggerisce un grado di correlazione molto stretto fra tutti e tre questi fattori.


Si dovrebbe allora cercare di capire quali sono le relazioni tra di essi.
Tra natalità e violenza la correlazione è sicuramente indiretta, mediata dalla povertà dal momento che gli assassini sono prevalentemente maschi giovani; più raramente padri di famiglia ed eccezionalmente donne, men che meno mamme.    Viceversa, che la povertà sia una concausa importante della criminalità credo che si possa dare per assodato, anche se certamente vi giocano anche altri fattori sociali e culturali.

Dunque la chiave del sistema dovrebbe essere il rapporto fra natalità e povertà, indagare il quale è molto complesso sia per l’ingombrante presenza di teorie probabilmente superate (ma profondamente radicate e politicamente molto comode), sia perché non è affatto detto che tutte le società si comportino allo stesso modo.

Nelle sue linee generali, la “teoria della transizione demografica” fu concepita da  Adolphe Landry,  un economista corso legato agli ideali socialisti e “natalista” convinto.    Negli anni ’60 e ’70 l’effettiva evoluzione demografica dell’”emisfero occidentale” parve confermarne sperimentalmente la validità.   Da allora è divenuta e permane un elemento basilare per la cultura amministrativa ed per buona parte di quella accademica mondiale.   Uno di quei capisaldi che solo mettere in dubbio provoca reazioni variabili dal sorrisetto condiscendente all’ira funesta.

Eppure, se ad esempio, osserviamo quello che è avvenuto in Russia, troviamo una dinamica più complessa.

Fra il 1950 ed il 1970 circa, la natalità è rapidamente diminuita, in linea con quanto contemporaneamente accadeva al di qua dalla cortina di ferro.    Poi è tornata a crescere parallelamente ad un incremento della mortalità, indice di un progressivo peggioramento delle condizioni di vita.

Fin qui dunque la teoria di Landry risulta confermata.   Ma a cavallo del 1990 il collasso dell’economia ha prodotto sia un brusco aumento della mortalità, sia un precipizio della natalità che è poi tornata a crescere, mentre la mortalità diminuiva, man mano che la situazione socio-economica ritrovava un nuovo equilibrio e le condizioni di vita medie tornavano a migliorare.   Una dinamica simile è stata rilevata in tutti i paesi del blocco sovietico e qualcosa di simile, anche se meno traumatico, sta succedendo  in occidente.  Ad esempio, in Italia la natalità ha toccato un minimo alla metà degli anni '90, per poi risalire lievemente, in parte per la crescente presenza di immigrati (più prolifici), in parte in risposta alla citata campagna di propaganda,  Dal 2008, con la progressiva erosione degli standard medi di vita, la natalità avrebbe dovuto teoricamente aumentare, mentre è tornata flettere.

Figli per donna in Italia fra il 1945 ed il 2012.
Se passiamo ad osservare la più semplice dinamica delle popolazioni animali, troviamo che è sostanzialmente quella modellizzata da Lotka e Volterra.   In presenza di abbondanza di risorse la popolazione aumenta; aumentando erode le proprie risorse e degrada il proprio ambiente finché non si genera una situazione di penuria.   A questo punto la popolazione in questione si riduce, permettendo un recupero delle risorse e dell’habitat.    Certamente la demografia umana è più complessa sia per fattori culturali, sia per la possibilità odierna di spostare immani quantità di risorse da una parte all'altra del pianeta, ma le dinamiche storicamente riscontrate sono strutturalmente simili a quelle degli altri animali.

In sintesi dunque, la teoria della transizione demografica descrive bene alcuni fenomeni effettivamente accaduti, ma non altri.   L'idea che suggerisco è che il discrimine fra dinamiche simili a quella descritta da Landry ad alte più vicine al modello di Lotka-Volterra sia la prossimità od il superamento del limite di capacità di carico del territorio di riferimento.

Tornando alla nostra gaussiana, quello che qui suggerisco, senza alcuna pretesa di averlo dimostrato, è che, in prossimità od oltre la capacità di carico del territorio, l’elevata natalità  divenga la causa principale di povertà e, indirettamente, di criminalità.   In prospettiva, contribuisce quindi alla disintegrazione delle strutture sociali ed al collasso degli stati.
Un argomento complesso e criticabile sotto molti aspetti che, a mio avviso, richiederebbe una molto maggiore attenzione da parte di quelle istituzioni che hanno il personale, le informazioni ed i mezzi per affrontarli in modo approfondito.   Ma è improbabile che accada poiché "E' difficile far capire qualcosa ad un uomo il cui stipendio dipende dal fatto che non la capisca" (Upton Sinclair, "La storia segreta della guerra al cancro", 2007).


mercoledì 29 giugno 2016

La bomba demografica scoppia o non scoppia?

"La Bomba Demografica "   (Titolo originale “The Population bomb”) di Paul e Anne Ehrlich fu uno dei libri “cult” dell’ambientalismo degli esordi; mai tradotto in italiano, malgrado avesse venduto oltre due milioni di copie in inglese.   Fra l’altro, ispirò il film “Soylent Green.”, uscito in Italia col titolo “2022: I sopravvissuti”.

La scommessa

Paul Ehrlich

Gli autori di "La Bomba Demografica " non amavano i mezzi termini ed il loro libro cominciava con questa frase:  “La battaglia per nutrire l’intera umanità è persa.   Durante gli anni ’70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame malgrado qualunque drastico programma venga messo in atto adesso”.    E continuava sullo stesso tono.

Sbagliato.   Gli anni ‘70 segnarono anzi la fine delle grandi carestie post-belliche che avevano ucciso non centinaia, ma decine di milioni di persone.   Di carestie ce ne furono anche dopo, ma assai meno gravi e dovute più a questioni politiche ed economiche che ad un’insufficiente produzione agricola mondiale.
Ma Ehrlich non era convinto e nel 1980 rilanciò facendo una scommessa con l’economista Julian L. Simon.   Uno che diceva cose di questo genere: “Le condizioni di vita umane miglioreranno sempre in tutti campi materiali.   Qualunque sia il tasso di crescita della popolazione, storicamente, la disponibilità di cibo è cresciuta alla stessa velocità, se non di più”.
Julian Simon
La scommessa  fu sul prezzo di 5 materie prime strategiche: cromo, rame, nickel, stagno e tungsteno.   Secondo Ehrlich, fra il 1980 ed il 1990 il loro prezzo sarebbe aumentato  causa di una crescita demografica superiore all'aumento della produzione.
Sbagliato.   Malgrado l’aumento di quasi 1 miliardo di persone in un solo decennio,  il tasso di crescita della produttività fu ancora superiore ed il prezzo delle materie prime e del cibo diminuì.   Simon vinse la scommessa.
Grande festa e definitiva archiviazione della questione “sovrappopolazione” che, nel frattempo, era diventata molto “politicamente scorretta”.   Gli ambientalisti ripiegarono sulla trincea “Il problema sono i consumi e non le persone”, mentre lo spettro del reverendo Malthus veniva ancora una volta ricacciato nell'Averno.
Definitivamente?

Ehrlich ha sbagliato, anche Malthus?

Cominciamo proprio dal panphlet del Reverendo Malthus.   Sorpresa!   Non aveva predetto un’ecatombe in Inghilterra.   Piuttosto, aveva scritto chiaramente che, se gli europei non fossero stati capaci di limitare la loro natalità, ne avrebbero pagato il fio “i selvaggi delle Americhe” che sarebbero stati spazzati via per far posto a noi.   Su questo, è difficile dire che si fosse sbagliato.   Anzi, non solo gli amerindi, ma anche i Circassi ed molti altri popoli dell’Asia centrale pagarono un tributo di sangue estremamente alto alla nostra incapacità di auto-controllo.   (A scanso di complessi di colpa, qualche secolo prima erano stati popoli asiatici a fare un macello in Europa).

Dunque la prima crisi maltusiana globale fu superata è vero, ma l’esperimento, semmai, dimostrò la giustezza dell’intuizione originaria.   Un punto per il Reverendo.
Ci volle circa un secolo perché si presentasse una seconda crisi di livello globale.   Per l’appunto negli anni ’60, quando Ehrlich e tanti altri corsero a rispolverare Malthus dagli armadi in cui era stato temporaneamente sepolto.   Stavolta non c’erano più continenti vuoti o vuotabili in cui scaricare l’eccesso di gente.   Se ne dedusse che stavolta un’ecatombe era inevitabile.   Ma accadde esattamente il contrario del previsto: la produzione di cibo e di generi di consumo aumentò molto più rapidamente della popolazione.   Non solo scongiurando la carestia globale, ma addirittura migliorando sensibilmente la qualità della vita della maggior parte dei terrestri.   “Mai così tanti, mai così bene” titolava negli anni ‘90 un numero di “Focus”.
Dunque mathusiani – anti-malthusiani: 1 a 1 e palla al centro.

Su una cosa credo che nessuno abbia seri dubbi: nei prossimi decenni si giocherà lo spareggio.   Quali i  pronostici?

La squadra “malthusiana”, inutile negarlo, si presenta male.   Sostanzialmente, alcuni reduci dell'ambientalismo anni '70, qualche anonimo blogger ed un manipolo di universitari e ricercatori che sono disposti ad uscire dalla "torre d'avorio" per andare in giro a dire cose sgradite.  
In compenso, sul piano dei fatti hanno parecchie frecce al loro arco: Il picco dell’energia (altro fantasma ricorrente), la sostanziale stabilità della produzione alimentare a fronte di uno sforzo produttivo crescente, l’evoluzione del clima, il degrado dei suoli, la perdita di biodiversità, le migrazioni di massa, l’estinzione/degrado dei principali banchi di pesca mondiali sono solo alcuni degli argomenti che possono citare a favore della loro tesi.
Di contro, la squadra “anti-malthusiana” schiera il fior fiore della società mondiale: assolutamente tutti i maggiori leader religiosi e politici, praticamente tutti gli imprenditori ed i finanzieri, quasi tutti i docenti di materie economiche e demografiche, praticamente tutti i mass media.   Non si può dire che manchi il consenso almeno su di un punto:  la sovrappopolazione non esiste, è già stato ampiamente e ripetutamente dimostrato; basta con questa lagna.  Quello che abbiamo è un problema di scarsa crescita economica e, semmai, di denatalità.
Sul piano dei fatti sono messi un po’ peggio.   Nessuno che sia in buona fede può negare che ci troviamo all'inizio di una lunga fase di profonda crisi ed il numero di persone denutrite è tornato a salire rapidamente, dopo aver toccato il minimo storico nel 1995.   Tuttavia, che questo sia necessariamente prodromo di un collasso sistemico globale rimane da dimostrare.   E soprattutto rimane opinabile che la forzante principale della crisi sia proprio l’eccesso di gente sul Pianeta.

La Bomba Demografica scoppierà ?
Alla fin fine, tutto si giocherà su questo:  A breve ci sarà un nuovo balzo produttivo, analogo a quello avvenuto fra gli anni ’60 e ’70?   Oppure un insieme di fattori correlati con la sovrappopolazione scateneranno una retroazione capace di annientare miliardi di persone?
Nel 1968 (data di pubblicazione di “the Population Bomb”) tutti i mezzi tecnologici e finanziari necessari per aumentare la produzione erano già ampiamente disponibili e collaudati.   Fu sufficiente diffonderne e coordinarne l’uso.   In definitiva, non ci fu nessun miracolo, solo la capillare applicazione all’agricoltura di metodi industriali  già ampiamente collaudati.   Ma, soprattutto, fu cruciale la disponibilità di quantità praticamente illimitate di energia ad un costo ridicolo (NB: costo, non solo prezzo).    In pratica, in 20 anni siamo diventati il primo organismo eucariota capace di mangiare petrolio e, secondariamente, metano.
Saremo in grado di integrare/sostituire questa dieta con altre fonti di energia?   Le ricette sono moltissime e spesso discordanti.   Si va dalla fusione fredda alla solarizzazione totale; dalla bioingegneria spinta alla permacoltura.   Personalmente non mi azzarderei a fare scommesse, soprattutto non vincolate ad una data precisa, ma sono scettico.
Ognuna delle tecnologie invocate ha infatti delle potenzialità, talvolta  considerevoli.   Ma il degrado del sistema politico-economico rischia di bloccarne lo sviluppo prima che queste possano dare il contributo sperato.    Insomma è tardi; forse troppo tardi.
Un altro elemento di scetticismo è il fatto che negli anni della “green devolution” una sola risorsa (il petrolio) e dunque una sola filiera industriale fu in grado di risolvere (temporaneamente) tutti i problemi.   Attualmente non si profila niente di simile all'orizzonte.   Al meglio, potremo contare su di una panoplia di risorse e di tecnologie specializzate.   Questo significa numerose filiere e reti da realizzare, incrementare, manutenzionare.   Impossibile che dia gli stessi vantaggi in termini di produttività, al netto dei costi energetici destinati a tale sviluppo.
Un terzo elemento è che il rarefarsi e degradarsi delle risorse energetiche e minerarie in entrata al nostro sistema economico non è la maggiore, né la più urgente delle emergenze.   Ancor più gravi e pressanti sono gli effetti connessi con l’inquinamento (fra cui il riscaldamento del clima) e, soprattutto, con la perdita di Biodiversità.   Quest'ultima è probabilmente l’emergenza massima in assoluto per il semplice fatto che è la Vita che mantiene sul
Effetto della Rivoluzione Verde sulla crescita demografica.
Pianeta condizioni compatibili con la Vita.    Dunque, se anche potessimo disporre di una fonte energetica inesauribile e gratuita, non avremmo risolto un bel niente.   Anzi, rischieremmo di dare il colpo di grazia al pianeta nel giro di pochissimo.
Infine, ammettendo che una qualche combinazione di tecnologie e adattamenti strutturali potesse consentirci di superare la crisi, che cosa accadrebbe?   In passato, tutte le volte che è successo qualcosa del genere, si è verificato un brusco incremento della popolazione.   Se succedesse qualcosa del genere, l’intera operazione si risolverebbe nel rilanciare il gioco, con una posta molto più alta e probabilità di successo molto più basse.   Cioè esattamente quello che è accaduto con la "rivoluzione verde".

Dalla scommessa alla speranza

Nel 1972 un certo John Calhoun ideò un'esperimento molto interessante.   Nel suo laboratorio creò un vero “paradiso per topi".   Ce ne introdusse 8 ed all’inizio la popolazione aumentò fulmineamente, poi la natalità cominciò a declinare man mano che la popolazione raggiungeva il picco di 2.200 esemplari.   Quindi, malgrado ci fosse ancora grande abbondanza di cibo, di acqua e di tane, la popolazione iniziò a declinare e non smise mai più.   Anche quando rimasero pochi topi in un’immensa gabbia colma di ogni ghiottoneria, non ne vollero più sapere di riprodursi.   Gli ultimi sorci morirono in santa pace di vecchiaia, lasciando i ricercatori interdetti.
Ovviamente, nulla garantisce che gli umani si comportino allo stesso modo.   Men che meno che lo facciano dappertutto. Tuttavia è interessante osservare che in molti paesi, oggi, la natalità è in declino e laddove le condizioni di vita peggiorano, spesso il declino si accentua.    E’ impossibile dire se questa dinamica tenderà a diffondersi e consolidarsi o meno, ma certamente contrasta con la teoria della "Transizione Demografica" ed è fonte di speranza.
Potrebbe infatti aprirsi una possibilità per uscire dalla trappola Malthusiana che né Malthus, né i malthusiani hanno previsto. Forse, se riuscissimo ad evitare il collasso del clima e della Biosfera per altri 50 anni, la popolazione potrebbe iniziare a decrescere abbastanza rapidamente da riportare quel che resta dalla Biosfera in un relativo equilibrio, senza bisogno di ecatombi bibliche e scalpitare di apocalittici cavalli.
E’ solo una speranza, ma forse la più concreta che abbiamo.   Naturalmente a condizione di piantarla di occuparci di noi stessi e cominciare a preoccuparci del sistema di cui siamo parte.   All'atto pratico, questo significa dedicare le maggiori risorse non già all'economia ed alla sanità, bensì all'istruzione, alla riduzione della natalità (là dove serve) e, soprattutto, alla conservazione della Biosfera.
Non mi sembra però che questo sia nell’agenda di nessuno.   Nemmeno della maggioranza degli ambientalisti, decrescisti e transizionisti che spesso cercano invece un modo di prolungare le proprie vite e mantenere il proprio benessere.   Comprensibilissimo, ma inutile.