venerdì 14 luglio 2017

I soldi non servono a far piovere!


Dal blog di Stefano Ceccarelli, "Siccità, la cecità della politica" Un post che non ha peli sulla lingua nell'identificare alcune delle cause del diastro. Manca una menzione sulla cementificazione del suolo, peccato, ma il resto è ben scritto e chiaro. 



Stop fonti fossili! ospita un intervento di Francesco Raffa, Coordinatore di Legambiente per la Provincia di Frosinone, sulla pesante crisi idrica di questa torrida estate 2017.

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Legambiente: Siccità, servono politiche lungimiranti nella gestione dell’acqua

Caldo intenso e persistente, prolungata assenza di precipitazioni, mancanza di acqua. Tutti parlano di emergenza, ma ha senso questa definizione nell’attuale contesto climatico? Noi crediamo di no. Ci si ostina a non capire che ciò a cui stiamo assistendo è semplicemente la nuova normalità, destinata a far sentire i suoi effetti pesanti negli anni a venire man mano che i cambiamenti climatici si intensificheranno.

L’incapacità della politica locale di comprendere la cronicità del problema acqua in provincia di Frosinone è disarmante, e le soluzioni proposte, emerse nel corso dell’incontro convocato dal Presidente Pompeo lo scorso 26 giugno, evidenziano la miopia di una classe politica che anziché preparare il terreno a ciò che ci aspetta mettendo in campo politiche lungimiranti di adattamento e di uso razionale delle risorse idriche, continuano ad agire secondo una logica emergenziale che non porterà da nessuna parte.

Il comunicato stampa diffuso dalla Provincia ha rivendicato come un successo della riunione l’aver richiesto lo stato di calamità naturale alla Regione, che non è nient’altro che il solito modo di rimpallare la responsabilità su altri enti rifiutandosi di assumersi le proprie. Ed ora che il Presidente Zingaretti ha messo la sua firma sulla dichiarazione di stato di calamità naturale (ma siamo sicuri che sia così “naturale” vista l’impronta decisiva dell’uomo nel determinare il riscaldamento del pianeta?) Provincia e Comuni potranno ritenersi soddisfatti. Ora forse arriveranno un po’ di soldi, ma i soldi non servono a far piovere.

Come associazione e come cittadini rivendichiamo anzitutto il diritto di conoscere la situazione di sorgenti, bacini e serbatoi e le previsioni circa la disponibilità di acqua nei mesi a venire, considerando che siamo ancora alla seconda decade di luglio e a meno di improbabili piogge abbondanti durante ciò che resta dei mesi estivi sembra probabile che la situazione sia destinata ad aggravarsi.

Non è ammissibile che informazioni così importanti non siano rese di pubblico dominio dal gestore e non costituiscano oggetto di indagine diretta a prevedere gli scenari di breve e medio termine.

In secondo luogo, non basta chiedere ad Acea di intervenire sulle perdite e di predisporre l’erogazione tramite autobotti nei casi di maggior carenza. Il gestore ha il dovere di predisporre e rendere pubblica una mappatura dettagliata delle perdite idriche nel territorio di sua competenza e di stilare una programmazione con tempi certi degli interventi di manutenzione straordinaria della rete idrica, con l’indicazione dei risultati attesi, che dovranno essere misurabili e verificabili.

Quanto ai sindaci, riteniamo che sia loro dovere sensibilizzare adeguatamente i cittadini da essi amministrati sull’importanza di un uso razionale di una risorsa preziosa come l’acqua, intensificando le attività di repressione degli innumerevoli usi impropri dell’acqua potabile. Ad essi spetta inoltre di redigere dei piani condivisi che consentano di limitare i disagi alla popolazione in situazioni di criticità. Se necessario, non si dovrà esitare a prevedere divieti specifici riguardanti gli usi superflui o futili dell’acqua, dalle piscine agli autolavaggi fino all’uso irriguo per scopi meramente ricreativi. Nel contempo, essi dovranno porre in atto opportune iniziative per incoraggiare e incentivare l’installazione di dispositivi per il risparmio idrico domestico quali limitatori di flusso, frangigetto, sciacquoni con il doppio pulsante, ecc., e di cisterne per lo stoccaggio dell’acqua piovana da destinare a tutti quegli usi dove non è necessario l’impiego di acqua potabile.

Last but not least, la Provincia è chiamata ad una verifica rigorosa delle concessioni in essere per l’emungimento delle acque sotterranee al fine di limitare i gravi fenomeni dell’abbassamento delle falde e della subsidenza, ispirandosi al principio guida secondo cui la quantità di acqua che si attinge dal sottosuolo non può eccedere quella che si rigenera naturalmente tramite le precipitazioni.

È ora di capire che una gestione sostenibile dell’acqua pubblica richiede anzitutto un cambio radicale di mentalità, che metta al centro la consapevolezza che lo sfruttamento della risorsa idrica è già ora eccessivo, e più che di nuovi pozzi e impianti di captazione abbiamo bisogno di gestire le risorse disponibili secondo criteri di efficienza ed equità. Se poco si può fare localmente per arrestare la progressiva tropicalizzazione del clima del bacino mediterraneo, crediamo che le istituzioni territoriali possano e debbano impegnarsi per costruire quelle strategie di resilienza indispensabili per prepararci al futuro denso di nubi di cui già vediamo le anticipazioni.

Frosinone, 13 luglio 2017

Francesco Raffa
Coordinatore di Legambiente per la Provincia di Frosinone

mercoledì 12 luglio 2017

C'è una ragione per installare gli orti urbani: combattere la siccità!



Come vi avevo raccontato in un post precedente, una delle attività in cui l'Università di Firenze si è impegnata è l'installazione di orti urbani. Ma perché lo facciamo? Per divertimento? Per l'estetica? Per sentirci più "verdi"? Non proprio. Io credo che la "rinaturalizzazione" dell'ambiente urbano sia un passo fondamentale nel ricostruire un ecosistema che non ci tratti a colpi di bombe d'acqua e di siccità ricorrenti. 

Nel post che segue, di Jacopo Simonetta (riprodotto da "Crisis"), trovate delle considerazioni molto interessanti sulla situazione e sulle ragioni della siccità perdurante in questo periodo. In sostanza, con il riscaldamento globale, non è che piova molto meno di prima. Però piove in momenti differenti, con intensità differenti, con effetti differenti. 

Quindi, una delle ragioni principali del problema della siccità, come spiega molto bene Jacopo Simonetta, è il fatto che il territorio cementificato, impermeabilizzato, urbanizzato, non trattiene più l'acqua, che se ne va rapidamente subito dopo essere arrivata.

Così, per molti anni abbiamo allegramente cementificato quello che si poteva (e anche che non si poteva) cementificare: porta benessere, fa crescere il PIL, è sviluppo, eccetera. E ora ci troviamo nei guai (e non abbiamo nemmeno smesso di cementificare).

E allora si tratta di cercare di rimediare per quanto possibile: piantare alberi, rinaturalizzare le aree cementate e, anche, piantare orti. Quest'ultima è una soluzione rapida, estetica, produttiva, che piace a tutti. Quindi, abbiamo cominciato come UNIFI, altri ci seguiranno, speriamo.

Nella foto, qui sotto, uno dei pomodori prodotti dagli orti urbani del giardino botanico dell'università, ammirati dalla prof. Yugay dell'Università di Mosca. 


Segue l'articolo di Jacopo Simonetta







LA SICCITÀ NON E’ FINITA


In questa settimana una serie di temporali hanno portato un po’ d’acqua e di temporanea frescura almeno sulle regioni centro-settentrionali.   La siccità è finita?
No.   Se anche avesse piovuto il doppio od il triplo avrebbe magari  causato alluvioni e disastri (qualcuno lo ha comunque provocato), ma non per questo sarebbe finita la siccità che rimane un male insidioso e difficile da capire.   Facciamo un tentativo per cominciare a capirlo, tenendo presente che ogni zona ha la sua storia e la sua situazione particolare.   Le generalizzazioni valgono quindi per capire come nasce e si sviluppa il fenomeno, non per decidere le priorità caso per caso.
In buona sostanza, la siccità è dovuta ad un deficit nel bilancio idrico; vale a dire che da un determinato territorio esce più acqua di quella che vi entra.   Un fenomeno che è facile sottovalutare, soprattutto quando si dispone di tecnologie ed energia con cui controbilanciarne gli effetti a breve termine.   Ancora più grave è il fatto che, quasi sempre, gli interventi messi in opera per compensare i disagi dovuti alla siccità hanno l’effetto di aggravarla e ciò che sta accadendo il Italia ne è un eccellente esempio.
In prima, grossolana approssimazione possiamo distinguere due livelli: globale e regionale, che interferiscono fra loro.

Livello Globale.

E’ quello di cui si parla di più su cui si può agire di meno, ne faremo quindi solamente un rapidissimo cenno.   Si tratta ovviamente di tutta la complessa tematica del GW.   Senza dubbio la combustione di carbone, petrolio e gas è stata la forzante principale che ha scatenato il fenomeno, ma attualmente sono attive anche una serie di retroazioni che, complessivamente, tendono ad amplificarlo.   Di sicuro sappiamo che la temperatura media sta salendo, così come il livello del mare e l’acidità degli oceani, mentre il volume di ghiaccio diminuisce e  gli eventi meteorologici diventano più instabili.   Nella maggior parte delle zone fa più caldo e piove di meno, ma non dappertutto; ci sono anche zone in cui fa più fresco e/o piove di più.   L’evoluzione nei tempi lunghi sono poco prevedibili per molte ragioni, far cui l’instabilità intrinseca dell’atmosfera (e secondariamente degli oceani), il ruolo non modellizzabile delle nubi e dell’aerosol, la forza delle retroazioni in corso, l’interferenza con fattori di scala minore.

Livello regionale

Struttura geo-morfologica.   La forma del rilievo e delle rete imbrifera, la natura delle rocce  determinano in gran parte la facilità con cui l’acqua circola sul territorio e nel sotto suolo.  E’ un fattore che varia molto poco nel tempo, salvo casi particolari come le zone di bonifica o dove ci sono ampi bacini estrattivi che possono cambiare le caratteristiche geo-morfologiche di un territorio nel giro di decenni.  Oggi anche di pochi anni.
Aree umide.   Fino a circa un secolo fa paludi, stagni, golene, aree soggette a sommersione stagionale o occasionale eccetera rappresentavano un elemento determinante del paesaggio di quasi tutte le regioni italiane; oggi ne rimane circa l’1%.   Ciò ha modificato radicalmente il ciclo dell’acqua, sia perché sono molto diminuiti i tempi di corrivazione verso il mare, sia perché la minore evapotraspirazione contribuisce a ridurre la piovosità, specialmente sulle aree planiziali interne che sono quelle più densamente popolate e quelle più importanti per l’agricoltura.
Suoli.   La natura del suolo è anch’essa fondamentale nel determinare la quantità di acqua piovana che ruscella in superficie e quella che, viceversa, si infiltra e viene trattenuta.   A sua volta, la natura del suolo dipende da un’insieme di fattori che vanno dal clima e dalla natura delle rocce, fino alla vegetazione ed alla fauna, passando per le tecniche agricole.   Due aspetti molto importanti che riguardano in particolare i terreni agricoli sono il contenuto in sostanza organica e la struttura (come le particelle del suolo si aggregano fra loro).   La maggior parte delle tecniche agricole tendono a ridurre entrambi, riducendo in modo drammatico la quantità di acqua che i suoli sono in grado di trattenere a disposizione delle piante (capacità di campo).   Esistono anche tecniche che hanno l’effetto contrario, ma per ora rimangono molto marginali.
Vegetazione.  La vegetazione ha un impatto determinante sui suoli e sul ciclo dell’acqua, sia perché immagazzina grosse quantità di acqua nei propri tessuti, sia perché ne facilita l’infiltrazione in profondità quando piove per recuperarla e rimetterla in circolazione nel suolo e nell’atmosfera quando non piove.
Fauna.  La fauna ha un effetto più indiretto, ma determinante in quanto modifica, talvolta molto pesantemente, la vegetazione e, di conseguenza, i suoli; finanche il reticolo imbrifero.  Sia per quanto riguarda la fauna che la vegetazione, non conta solo la quantità, ma anche la varietà di forme di vita.   Una riduzione della biodiversità ha sempre effetti negativi sul funzionamento degli ecosistemi.
Urbanizzazione.   La quantità. La distribuzione e le caratteristiche dell’edificato modificano il ciclo locale dell’acqua, talvolta in modo drammatico.   Strade, case e piazze sono infatti impermeabili o quasi e le piogge cadute sull’edificato vengono allontanate il più rapidamente possibile tramite apposite reti fognarie.   Inoltre, ampie superfici di asfalto e cemento si scaldano molto di più del territorio agricolo, per non parlare delle foreste.   Questo altera la circolazione locale dell’aria.   Un effetto molto amplificato dai condizionatori che rinfrescano gli interni, surriscaldando ulteriormente l’esterno.
Consumi antropici.   In paesi come l’Italia, una quota consistente dell’acqua raccolta dai bacini imbriferi passa attraverso il nostro sistema economico; in estate una quota preponderante.   La portata di magra dei fiumi è oramai esclusivamente o prevalentemente formata da reflui dei depuratori (più o meno ben depurata).   In prossimità del mare, l’acqua che si vede nei fiumi è invece salata, tranne talvolta una sottile lente di acqua dolce che scorre in superficie, mentre il mare risale nell’entroterra.
Circa il 85% dell’acqua che usiamo va per irrigare le colture, l’ 8% per l’industria, 7% per i consumi domestici che da soli ammontano a ben 245 litri al giorno a persona!   Nel 1980 erano 47.
In effetti, l’acqua non si “consuma” in senso stretto, ma l’uso che ne facciamo ha due effetti principali.  Il primo è quello di inquinarla, il secondo è quello di accelerarne il deflusso verso il mare, inaridendo gradualmente, ma inesorabilmente il territorio cosa che, abbiamo visto, contribuisce a ridurre le piogge, aggravando il processo.   Il fatto che le falde freatiche si siano abbassate quasi dappertutto e che la portata di quasi tutte le sorgenti sia diminuita dimostra un fatto molto semplice: abbiamo creato un deficit cronico nel nostro bilancio idrico.   Un deficit che i periodi di piogge consistenti e prolungate mitigano per un periodo, ma che non riescono mai a compensare del tutto.

Che fare?

Uno dei fattori che rende la siccità un pericolo molto più grave ed insidioso di nubifragi, “bombe d’acqua” ed uragani è che passa quasi inosservata, sempre sottovalutata.   Questo perché mentre le tempeste hanno impatti drammatici nel giro di poche ore, la siccità mina lentamente, ma inesorabilmente la vivibilità di un territorio.   Ed è un fenomeno che si sviluppa nell’arco di decenni, perlopiù sotto terra, finché i danni si fanno manifesti; ma a quel punto sono anche irreversibili o quasi.   La maggior parte delle zone attualmente desertiche sono state rese tali da una secolare azione antropica; un processo che si è spaventosamente accelerato negli ultimi decenni.   Ma il disastro maggiore è che i provvedimenti presi per contrastarla sono solitamente tali da aggravarla.   Quasi sempre, la risposta ai periodi di crisi acuta sono infatti nuovi pozzi, captazioni e condutture; cioè un maggiore sfruttamento di una risorsa che si sta degradando principalmente a causa di uno sfruttamento già largamente eccessivo.
Sarebbero possibili interventi più efficaci?   Si, ma solo a condizione di cambiare di 180° il nostro modo di pensare.   Vale a dire che bisognerebbe lavorare a tutti i livelli contemporaneamente, dall’educazione permanente alla gestione dei fondi pubblici, passando per una miriade di norme e regolamenti, per riportare in pareggio il bilancio idrico a tutti i livelli.   E comunque gli effetti sarebbero parziali, indiretti e dilazionati nel tempo; cioè esattamente il contrario di quello che la maggior parte della persone vuole.
Sui fattori climatici globali possiamo e dobbiamo fare molto per ridurre i nostri consumi di tutto, questo è infatti l’unico modo per ridurre davvero tanto le nostre emissioni climalteranti, quanto i consumi di acqua.   Gli effetti sarebbero però indiretti e globali, non rilevabili a livello locale.   Viceversa molte cose potrebbero essere fatte a scala nazionale, regionale e comunale.   Un elenco anche parziale di possibili azioni occuperebbe decine di pagine, qui faremo quindi cenno solamente alle due strategie di base: aumentare le entrate e ridurre le uscite, come con qualunque bilancio.
Aumentare le entrate vorrebbe dire cercare, nei limiti del possibile, di aumentare la piovosità media.   Non ci sono ricette sicure, ma ridurre il surriscaldamento delle città (sia in estate che in inverno),  aumentare la biomassa arborea nelle aree planiziali, aumentare la capacità di campo dei terreni agricoli e le aree umide di ogni tipo sono fra le cose sicuramente utili.
Per ridurre le uscite, occorrerebbe innanzitutto ridurre drasticamente lo sfruttamento delle risorse idriche.  Cioè ridurre i consumi di tutti i tipi, anche mediante razionamento, e favorire il ristagno dell’acqua piovana nell’entroterra, anche temporaneo, ogniqualvolta sia possibile.  Ridurre le superfici irrigue e migliorare i suoli agricoli sarebbero le strategie principali in agricoltura, mentre per l’industria sarebbe necessario generalizzare il riuso di acque reflue depurate.  Un campo nel quale già si contano diverse esperienze molto positive, che però stentano a diffondersi perché, comunque, trivellare nuovi pozzi per ora costa meno.
Finirà la siccità?   Prima o poi si, per forza.   Gli ecosistemi ritrovano sempre un loro equilibrio, ma se vogliamo farne parte dobbiamo cominciare a pensare che senza petrolio è difficile che possa esistere una civiltà avanzata, ma con poca acqua non può esistere civiltà di sorta.

lunedì 10 luglio 2017

La Grande Ritirata

Dal blog di Miguel Martinez, "Kelebek"

La Grande Ritirata

Il 14 settembre del 1812, Napoleone entrò a Mosca.
Il culmine del suo impero, che non si era mai esteso così a est; e la prima volta che qualcuno occupasse la capitale russa.
Così, semplicemente espandendosi, Napoleone distrusse tutto ciò che aveva costruito e fece morire tra i ghiacci 400.000 dei suoi devoti soldati.


Difficile trovare un esempio migliore del destino dell’Occidente oggi.
Il commentatore Mirkhond, parlando delle elezioni francesi, scrive:
“Purtroppo il crescente impoverimento di sempre più vasti settori della società europea, non aiuta certo a credere in sinistre che si preoccupano solo dei matrimoni dei froci.
Dando spazio alle varie Le Pen.”
E’ un ragionamento diffuso, che rivela e maschera, insieme, una verità.
Partiamo da quello che non va: un individuo sbaglia – si può dire, “Renzi non ha capito…”
Ma “le sinistre”, composte da milioni di persone in tutto un continente, non sbaglianosubiscono la storia.
Torniamo all’immagine della retraite de Russie.

Proviamo a ragionarci così.
La Sinistra ridistribuisceRidistribuisce ciò che il capitalismo saccheggia alla natura, al resto dell’umanità e alle generazioni future. Ayn Rand e gli appassionati dello sbucaltamento universale, hanno scritto critiche brillanti alla natura parassitaria della Sinistra.
Non siamo ancora arrivati alla resa dei conti, ma siamo già nella fase sgonfiante di questa immensa bolla. Più o meno chiunque oggi – al di fuori forse dell’India che ci devono ancora sbattere la testa – sottoscriverebbe la semplice affermazione, “credo che mio figlio se la passerà peggio di me”.
C’è insomma da gestire la Ritirata.
La Ritirata non è una profezia: ci siamo già da diversi decenni (molti segnalano come data decisiva il 1974, ma il concetto è enormemente complesso, è come parlare del clima). Guarda caso, sono gli stessi decenni di smarrimento delle sinistre in tutto il mondo.
Ora, nella Ritirata, c’è poco da ridistribuire, a parte le medaglie – anche Napoleone aveva fatto una medaglia apposta per ricordare la Ritirata:

Non è un caso che l’attività principale della Sinistra oggi consista nel ridistribuire medaglie. Stare attenti a non dire “negro”, cercare di liberare un italiano prigioniero n Turchia (e quanti prigionieri tunisini ci saranno in Italia, per cui nessuno dice niente?), strillare perché su Facebook qualcuno ha detto una cosa sgradevole su qualcun altro, festeggiare perché una multinazionale assume come dirigente una lesbica paraplegica.
C’è parecchia gente che impazzisce per queste cose, come se la lesbica sulle sede a rotelle fosse il problema, e non la multinazionale. Queste reazioni isteriche fanno sentire importante la sinistra; e gli isterici si sentono che stanno difendendo i Valori Occidentali: un gioco che fa felici entrambi insomma.
Su un piano più serio, c’è la proposta nazionalista: il resto del mondo si ritiri pure, noi no. Continuiamo a progredire, a svilupparci, a fare fabbriche, a essere Novecento, insomma.

Grenadiers Le Pen non ridurranno la distribuzione di legname o le razioni, per quanto faccia freddo.
La proposta non è illogica, finché continuiamo a credere all’espansione, al progresso, alla bolla. E siccome le Sinistre non possono mettere in dubbio questi valori assoluti, le loro reazioni diventano nevrotiche e irrazionali quanto quelle delle Destre.
Che se invece, si mettessero in dubbio le premesse stesse, si capirebbe immediatamente quale sia il limite della risposta dei Grenadiers Le Pen, o del Battaglione Paracadutisti Salvini, o dei Trump Marines.

sabato 8 luglio 2017

Orti sostenibili: al diavolo il carbone!!


Al G20, si continua a parlare di estrarre combustibili fossili. Noi, invece, parliamo di orti. E al diavolo il carbone!!! 


Università di Firenze, in viale Morgagni gli orti ecosostenibili. (3 Luglio 2017)
Presentati oggi gli orti ecosostenibili realizzati presso la residenza universitaria del DSU Toscana Piero Calamandrei in viale Morgagni, presenti il rettore dell’Università di Firenze Luigi Dei e il presidente dell’Azienda Regionale Toscana per il Diritto allo studio – DSU Marco Moretti. L’iniziativa è nata in collaborazione con il DSU e fa parte delle attività per la sostenibilità ambientale, promosse dall’Ateneo, che coinvolgono sotto la guida del delegato del rettore Ugo Bardi, un ampio gruppo di docenti, studenti e dipendenti di Unifi. 


Gli orti, impiantati un paio di mesi fa grazie alla convenzione siglata dall’Ateneo con Vivere Verde, che ha fornito le vasche e quanto necessario per l’avvio, sono stati realizzati con il metodo “Ortobioattivo” e sono già in produzione. Una prima sperimentazione di orti ecosostenibili è stata effettuata all’interno dell’Orto Botanico del Museo di storia naturale dell’Università. Sono intervenuti, in occasione della presentazione, Andrea Battiata (Vivere Verde), Marina Clauser (Orto Botanico – Museo di Storia naturale dell’Università di Firenze) e Fabio Firenzuoli (Centro di riferimento per la Fitoterapia della Regione Toscana). 



“Stiamo lavorando anche alla realizzazione di un Dizionario e di un Manifesto della Sostenibilità e progettando la stesura di un Bilancio di Sostenibilità dell’Università di Firenze – spiega Ugo Bardi -. Nei prossimi mesi sarà anche attivata la prima edizione del premio Ateneo Sostenibile, rivolto a studenti, aziende ed organizzazioni non profit del territorio”. Tra gli altri programmi in corso, a cura del gruppo Ateneosostenibile di Unifi, c’è anche la collaborazione alla Summer Academy del Club di Roma, che si svolgerà presso l’Università di Firenze dal 7 al 13 settembre 2017. 

venerdì 7 luglio 2017

Per un'Università Sostenibile: gli orti del Polo di Sesto Fiorentino



Alma Mater in una scultura visibile all'università di Cuba 


In questo blog, facciamo tanto la parte dei catastrofisti, però alcuni di noi si riconoscono nella filosofia stoica che ci dice di accettare quello che non possiamo cambiare ma di fare il possibile per cambiare quello che non possiamo accettare (questa è una mia interpretazione di una frase di Epitteto).

Perciò, ormai da un anno e mezzo ho accettato di prendere il ruolo di "delegato" (una specie di ministro senza portafogli) dell'Università di Firenze per occuparmi di sostenibilità ambientale nell'Ateneo.

Devo dire che mi sono preso una discreta bega. Spingere un Ateneo intero sulla strada della sostenibilità è un po' come cercare di trasformare una balenottera in un pesce rosso da tenere nell'acquario in salotto. Diciamo anche, però, che è una soddisfazione e che si imparano tante cose

Allora, abbiamo un gruppo e una pagina di Facebook dove relazioniamo sull'attività dei sostenibilisti di UNIFI. In aggiunta, comincerò a raccontarvi quello che facciamo anche qui, sul blog "Effetto Risorse"

Per cominciare, una pagina di Repubblica che descrive come alcuni studenti del Polo Scientifico di Sesto Fiorentino abbiano preso l'iniziativa nelle loro mani di cambiare le cose che non potevano accettare (forse hanno letto Epitteto anche loro) e hanno costruito degli orti comunitari nel cortile dell'edificio delle aule. Bravi (e anche stoici)




mercoledì 5 luglio 2017

Stagnazione italiana

Di Jacopo Simonetta.
Articolo già apparso su Crisis, what crisis? 17/05/2017

Nei giorni scorsi è apparso un ennesimo articolo sulla crisi economica italiana.   Ho scelto questo come spunto per una riflessione perché è stato pubblicato su “Econopoly”, una rubrica del Sole 24ore. Dunque su di un giornale che certamente non condivide i miei presupposti ecologici e fisici, ma che indubbiamente è molto competente sugli argomenti economici e finanziari.  Insomma, un giornale da cui mi separa un baratro a livello per-analitico, ma da cui c’è sempre da imparare.
In sintesi, l’autore dell’articolo, Alessandro Magnoli Bocchi, prospetta tre scenari possibili per il prossimo decennio:
“Scenario 1 (probabilità: 75 %) – Status quo e accettazione di fatto della leadership tedesca. In pratica, continuare sull’andazzo degli ultimi 10 anni.
Scenario 2 (15 %) – Riforma dell’Unione Europea e attuazione di riforme incisive in Italia.  Un mix di investimenti pubblici, semplificazioni burocratiche, riforme politiche, liberalizzazione economiche che dovrebbero "rilanciare la crescita".
Scenario 3 (10 %) – Uscita dall’euro. Bancarotta, ristrutturazione del debito e poi chissà?
Purtroppo, mi trovo sostanzialmente d’accordo sul fatto che questi sono i tre scenari possibili, ma aggiungerei che i primi due condurrebbero con ogni probabilità al terzo.   Dunque, in tempi magari un poco più lunghi, la bancarotta sembrerebbe una specie di fato ineluttabile.   La causa principale di si foschi presagi sarebbe, secondo l'autore, il ritardo e l’inerzia nel portare avanti sostanziali riforme liberali al sistema.
Senza nulla voler togliere all’effettivamente asfissiante inefficienza di tanta parte del nostro sistema, siamo sicuri che non ci sia dell’altro?

Volendo dare una risposta che non sarà letta, vorrei far notare a dr. Magnoli Bocchi che la crisi economica, sia pure in modo molto diverso da caso a caso, sta gradualmente interessando tutti i paesi del mondo.   Perfino la Cina che, sotto molti aspetti, svolge oggi il ruolo di “faro ideale” per la nostra classe dirigente. Un po’ come in passato lo furono l’URSS per i comunisti e gli USA per i liberali.   A mio avviso ciò significa che, al di la delle situazioni contingenti ad ogni realtà nazionale e locale, sono all’opera fattori globali afferenti, purtroppo, alla tragica realtà dei “Limiti allo Sviluppo” nei suoi vari aspetti.
Ciònondimeno, è vero che l’economia tedesca si sta dimostrando più dinamica e resiliente di quelle degli altri paesi UE e, soprattutto di quella italiana.   Un dato di fatto che meriterebbe un approfondimento.   Fra i numerosi aspetti della questione, vorrei qui attirare l’attenzione su di un argomento mai preso in considerazione quando si parla di “competitività” internazionale e, viceversa, critico; oltre che irreparabile.

La sindrome del posacenere.

Un mio vecchio amico una volta mi disse: “Vedi l’urbanistica è come un posacenere.   Se tutte le cicche sono dentro un piattino di vetro, la stanza è pulita e funzionale.  Se le stesse cicche le spargo dappertutto, l’avrò resa uno schifo impraticabile."
Chi si voglia prendere la briga di osservare su Google le foto satellitari delle periferie urbane, scoprirà una cosa sorprendente.   In alcuni paesi, ad esempio la Germania, le città sono state complessivamente costruite con un certo ordine e criterio.   Ad esempio separando la campagna, le aree industriali, quelle commerciali e quelle residenziali.   A titolo d'esempio, qui vediamo Friburgo (220.000 abitanti).

Friburgo (Germania) e dintorni
Esattamente l’opposto di quello che abbiamo fatto in Italia e, in misura ancora maggiore, in tanta parte della Spagna e della Grecia.   Per essere furbi, abbiamo fatto praticamente tutto dappertutto, creando suburbi vasti come intere provincie, dove si mescolano e si accavallano villette e capannoni, piazzali e condomini, magazzini e centri commerciali.   Mentre sul “retro della città” agonizzano i frammenti di quella che avrebbe potuto essere campagna; gradualmente invasi da baracche, depositi più o meno abusivi, piazzali e tutto l’armamentario del degrado sub-urbano.   Sempre a titolo di esempio, qui vediamo Prato (190.000 abitanti che consumano forse il quadruplo della superficie rispetto a Friburgo).
Prato e dintorni.
Certo, costruire in questo modo ha permesso ai privati di abbattere i costi di costruzione e di urbanizzazione, tanto delle casette, quanto dei capannoni e dei piazzali industriali.   Ma ora, esaurito questo effimero vantaggio, ci troviamo con una situazione ingestibile ed irreparabile.   Molto semplicemente, avere costruito così le nostre città ha delle conseguenze che si possono riassumere così:
  • Maggiori costi e minore efficienza di tutti i servizi di rete (elettricità, acqua, gas, fognature, trasporti pubblici, ecc.) al punto che spesso non sono neppure realizzabili (tipicamente le fognature e la depurazione).
  • Maggiori costi di gestione della rete idrica e maggiore rischio idrogeologico.
  • Maggiori costi e tempi di trasporto.  Sulle medesime strade si incolonnano tir, automobili, apette e ciclisti, assieme ad autobus e pedoni.   Il pericolo è costante, l’efficienza minima.
  • Maggiori costi di intervento per qualunque opera di manutenzione, integrazione o ammodernamento, sia delle reti, che di impianti, case, ecc.   Al punto che spesso si rinuncia a farli (tipicamente: aree verdi urbane, piste ciclabili, parcheggi scambiatori, ecc.).
  • Necessità di uso dell’auto privata e del camion, con le conseguenze del caso.
  • A parità di altri fattori, maggiori tassi di tutti i tipi di inquinamento e conseguenti costi diretti ed indiretti.
  • Elevato disturbo ed intralcio reciproco fra le diverse attività che si accatastano a casaccio nello stesso posto.
  • Degrado paesaggistico ed impraticabilità turistica di zone che, magari, contengono oggetti di del pregio storico od artistico delle ville lucchesi o di quelle venete.
  • Massima distruzione di suolo, soprattutto agricolo e perlopiù di eccellente qualità.   In questo modo infatti, non solo le aree artificializzate vengono rese irreversibilmente sterili, ma anche ben più vaste superfici che diventano inutilizzabili a causa della frammentazione e della difficoltà di accesso.
  • Isolamento delle residue aree agricole e naturali che perdono così buona parte della loro biodiversità e resilienza.
Nel complesso, non sarei in grado di quantificare il danno, ma in un contesto in cui i margini di guadagno sono sempre più sottili e la competizione sempre più esacerbata, credo che questo genere di costi, moltiplicati per un intero paese, abbiamo un peso rilevante.  Perché dunque nessuno ne parla?
Credo sia per due ragioni principali: La prima è che oramai non c’è più niente da fare.  Non possiamo immaginare di demolire e rifare i due terzi dell’edificato nazionale.
La seconda è che la responsabilità ricade sull’intera popolazione.  Dal privato cittadino che ha voluto farsi la villetta dove aveva ereditato un pezzetto di terra; all’industriale che per i suoi capannoni ha comprato terreno agricolo per poi farsi cambiare la destinazione d’uso. Fino al tizio che trova comodo accumulare i suoi rifiuti in un cantuccio dietro la città, invece di conferirli secondo norma.   Passando per il palazzinaro che spara le sue villette a schiera dove il terreno costa meno, ciò dove è più lontano dai servizi essenziali.
Insomma, fino agli anni ’60 il “laissez faire, laissez passer” ha funzionato.  Abbiamo fatto le stesse cose dei tedeschi e dei francesi, con costi minori.  Si sa che gli italiani sono furbi!   Ma col passare del tempo, abbiamo dovuto cominciare a fare i conti con l’oste e scoprire che chi aveva speso di più per costruire meglio si trovava poi ad avere dei costi di gestione ridotti ed una maggiore produttività.
Oh perbacco! Ma non è che per caso sul Sole 24ore si parla spesso di inefficienza e scarsa produttività?



sabato 1 luglio 2017

Marta Russo: come uccidere la verità


Questo è il libro di Vittorio Pezzuto che nessun editore italiano ha voluto pubblicare - se l'è dovuto pubblicare da solo. Bene, proprio per questo l'ho comprato e me lo sono anche letto, non proprio tutte le sue 660 pagine, ma quasi tutte. Ed è un bel libro, anche di ottima qualità editoriale, in barba agli editori professionali. Racconta in dettaglio la storia dell'assassinio di Marta Russo, nel 1997, e della condanna dei suoi presunti assassini, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Sulla copertina, c'è scritto "di sicuro c'è solo che è morta", ma io aggiungerei un'altra cosa sicura: un'altra vittima di questo omicidio è stata la verità

Il libro di Pezzuto racconta una storia che ormai dovremmo già sapere bene, perché è già successa tante volte: per Enzo Tortora in Italia, per le "armi di distruzione di massa" in Iraq e per tanti altri casi. Ritroviamo lo stesso meccanismo con la storia di Marta Russo e della colpevolizzazione di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, condannati senza uno straccio di prova, in aperta contraddizione con i risultati dei test sulla famosa "particella di bario e antimonio" che avrebbe dovuto dimostrare che il colpo era partito dalla loro stanza. Entrambi sono stati linciati dai media sulla base della spasmodica necessità di trovare il "mostro" da condannare. E' di nuovo la storia di "Sbatti il mostro in prima pagina," il titolo di un film del 1972 di Marco Bellocchio. In epoche appena un tantino più remote, Scattone e Ferraro li avrebbero impiccati all'albero più vicino. Oggi, si sono limitati ad appiccicargli addosso per sempre l'etichetta di "assassini" e rendere impossibile per loro una vita normale.

E' colpa dei giornalisti? Forse, ma è anche vero che abbiamo disperatamente bisogno di mostri e quando li non ne troviamo di veri, ce li inventiamo. Non so se è una coincidenza, ma in questi giorni mi stavo anche rileggendo il libro "Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo" di René Girard (1978). E' un libro dedicato alla tradizione del sacrificio nella storia umana, ovvero a come nei momenti di crisi la società reagisce cercando una vittima, un "capro espiatorio", sul quale scaricare le colpe di quello che sta accadendo. In certi periodi storici, bastava una capra. In altri, si usava un essere umano. E con tutta la nostra razionalità, la nostra tecnologia, il nostro Internet e tutto il resto, non sembra che ci siamo allontanati da quel livello. Siamo sempre alla ricerca di mostri da creare per poi ucciderli. Si tratta di vedere chi sarà il prossimo.



(h/t Luca Pardi)