lunedì 14 luglio 2014

Trivella, ragazzo, trivella! Renzi continua a sbagliare tutto


Da "Qualenergia"

Renzi vuole trivellare per il bene del paese

"Raddoppiare la percentuale di petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40mila persone. Non lo si fa per paura delle reazioni di tre o quattro comitatini”. Questa è la moderna visione energetica del nostro premier, in perfetta sintonia con la Ministra Guidi. E poi ci sorprendiamo se provano ad affossare le fonti rinnovabili?



Riteniamo piuttosto noioso commentare le ultime dichiarazioni del politico di turno. A volte è un’offesa al lavoro giornalistico che dovrebbe basarsi sui fatti e non sulle parole in libertà. Stavolta però non si può sottacere una critica a quanto dichiara il presidente del Consiglio Matteo Renzi al Corriere della Sera

Nel piano sblocca Italia c’è un progetto molto serio sullo sblocco minerario. E’ impossibile andare a parlare di energia e ambiente in Europa se nel frattempo non sfrutti l’energia e l’ambiente che hai in Sicilia e Basilicata. Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni tra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale di petrolio e del gas in Italia a dare lavoro a 40mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini”.

Questo sarebbe l’uomo del cambiamento? L’uomo che guarda agli interessi dei cittadini? Cosa diavolo c’entra poi l’Europa con le trivellazioni sul nostro territorio o nel nostro mare? E quale sarebbe questa "energia e ambiente" (?) da sfruttare?

Sulla quantità di idrocarburi abbiamo già detto e continuiamo a credere che questa propaganda pro-idrocarburi nazionali sia ingannatrice e abbia un approccio di breve termine per il paese. Ma naturalmente elevati profitti per il comparto coinvolto. Ad esempio si è stimato che le riserve esistenti di petrolio nostrane coprirebbero, qualora si riuscisse ad estrarle totalmente, poco meno di tre anni di consumi italiani di idrocarburi. Questa è la dimensione della questione di cui si sta discutendo.

Il problema è che i nostri governanti vecchi (vedi Prodi) e nuovi continuano ad avere un’idea di sviluppo (loro la chiamano crescita), di infrastrutture e di industrializzazione legata al passato e, chiaramente, agli interessi di poche aziende italiane ed estere del settore fossile. Le criticità ambientali e sanitarie non vengono nemmeno valutate. Sono invece sistematicamente affossate le opportunità di creare le condizioni migliori per nuovi investimenti in rinnovabili ed efficienza energetica proprio da quando si è compreso che questi settori avrebbero le potenzialità per modellare diversamente il sistema energetico nazionale. E, non contenti, vengono pure colpiti gli investimenti già realizzati, suscitando rabbia e apprensione da parte di investitori nazionali ed esteri. Lo dimostrano gli atti di questo governo, più di ogni altra fasulla dichiarazione di ministri e viceministri, che non rinunciano mai ad appoggiare, a chiacchiere, le rinnovabili. Sono credibili?

Uguale disprezzo per le popolazioni locali, alla stregua di Renzi, viene dalla Ministra Guidi, una signora spinta alla conduzione del Ministero dello sviluppo economico anche per la pressione dei grandi gruppi energetici che ‘comandano’ in Confindustria. Per lei la questione dei rischi della perlustrazione e dell'estrazione di idrocarburi è minima e se le popolazioni si preoccupano troppo vuol dire che sono male informate. Lei e Renzi sanno forse che vivere tutti i giorni presso aree di estrazione è qualcosa che mette a dura prova psiche e salute? Sanno che in queste zone vengono rilasciati pericolosi composti organici volatili, idrogeno solforato e altri elementi nocivi come quelli, ad esempio, usati per la perforazione e l’estrazione contenenti materiali cancerogeni, come toluene e benzene?

Per avere un quadro degli impatti sanitari, può essere utile dare uno sguardo ai dati del Registro dei tumori in Basilicata (Relazione di Attività IRCCS-CROB, 1997-2006), dove si può notare per la maggior parte delle aree della regione una notevole incidenza delle patologie tumorali. Altri effetti sulla salute sono riscontrabili in patologie respiratorie e cutanee. Alcune zone limitrofe ai centri petroliferi in Basilicata sono invivibili per la puzza prodotta da impianti e raffinerie tanto da dover restare sempre con le finestre serrate. Siamo di fronte alla presenza di discariche non autorizzate, scarti tossici, falde acquifere inquinate, con effetti devastanti su vigneti, frutteti e casi in cui si è riscontrata addirittura la presenza di petrolio nel miele.

Per gli amministratori locali la questione dirimente riguarda per lo più solo la quantità di royalties a titolo di compensazione ambientale o se sia il caso che queste vengono escluse dal conteggio del Patto di Stabilità, come ha chiesto recentemente Marcello Pittella, governatore della Basilicata. Peraltro, come ha scritto nel suo documentatissimo libro “Trivelle d’Italia Pietro Dommarco (Altreconomia Edizioni), le royalties in Italia sono tra le più basse del mondo: oltre alle tasse governative, le società che estraggono cedono solo il 4% dei loro ricavi per le estrazioni in mare e il 10% per quelle su terraferma. In Norvegia quasi l’80% del ricavato dell’industria petrolifera viene riscosso dallo Stato. In Gran Bretagna c’è una tassa aggiuntiva del 32%.

Sui danni in mare più eclatanti riconducibili alle attività offshore (vedi piattaforma Deepwater Horizon della BP nel Golfo del Messico) c’è solo una presunzione di rischio (un evento simile sarebbe però disastroso), ma basterebbe già considerare che questi impianti hanno dispersioni quotidiane di elevatissime concentrazioni di mercurio per reputarli un grave pericolo per un mare delicato come quello Mediterraneo.

Parliamo anche di impatti occupazionali. In realtà stiamo discutendo di poche centinaia di occupati a livello diretto e indiretto per azienda (vedi dati Total E&P Italia per la Basilicata, ma lo stesso si potrebbe dire per Eni). Forse nel complesso e per un periodo di tempo limitato potremmo toccare al massimo un paio di migliaia di addetti locali per l’Italia. La storia delle promesse occupazionali dei progetti di estrazione degli idrocarburi è esagerata e smentita dai fatti.

Vogliamo migliorare seriamente e rapidamente la nostra bilancia energetica con l’estero? Investiamo in efficienza energetica a tutti i livelli, residenziale, industriale, nella PA, e puntiamo sulle rinnovabili. Renzi non ci venga a raccontare che dobbiamo trivellare il nostro territorio per il bene del paese e per renderlo credibile oltre confine. E ci tolga quella, ormai profonda convinzione, di essere stato piazzato lì per assecondare i ‘poteri forti’ di questo paese.

Picco dei rifiuti? L'altra faccia del ciclo industriale

Questa è la traduzione completa in italiano di uno studio apparso recentemente sulla rivista scientifica "Sustainability."  Questo tipo di articoli non è normalmente pensato per una diffusione verso il pubblico in generale ma, in questo caso, gli autori hanno fatto uno sforzo per mantenere la discussione su un livello il più possibile comprensibile, sia per l'interesse generale dell'argomento, sia in accordo con il concetto di "Open Access" (libero accesso) degli studi scientifici che sono pagati con soldi pubblici e che, pertanto, devono essere accessibili al pubblico. Il risultato principale di questo studio è che la cosiddetta "emergenza rifiuti" è spesso esagerata per giustificare sistemi di smaltimento costosi e inquinanti come gli inceneritori. (u.b.)



Da "Sustainability". Traduzione di MR

Di Ugo Bardi 1, Virginia Pierini 2, Alessandro Lavacchi 3 e Christophe Mangeant 4

1 Dipartimento di Scienze della Terra. Università di Firenze, Polo Scientifico di Sesto Fiorentino, Via della Lastruccia 3, Sesto Fiorentino (Fi) 50019, Italia

2 Consorzio Interuniversitario per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali (INSTM), Unità di Ricercadi Firenze, Polo Scientifico di Sesto,Via della Lastruccia 3, Sesto Fiorentino (Fi) 50019, Italia; E-Mail: virgipierini[ghiribizzo]hotmail.it

3 CNR-Istituto di Chimica dei Composti Organo Metallici, Via Madonna del Piano 10,
Sesto Fiorentino (Fi) 50019, Italia; E-Mail: alessandro.lavacchi[ghiribizzo]iccom.cnr.it

4 The Shift Project’s Volunteers Group, 96 rue de la Victoire, Paris 75009, France; E-Mail: christophe.mangeant[ghiribizzo]theshiftproject.org


Abstract: Il moderno ciclo industriale è basato principalmente su risorse minerali non rinnovabili estratti dalla crosta terrestre. Processati e trasformati in beni, i prodotti dell'estrazione mineraria diventano prodotti manifatturieri che entrano nel sistema economico e vengono poi dispersi sotto forma di rifiuti gassosi, liquidi o solidi. Alla fine, la massa dell'uscita sotto forma di rifiuti deve bilanciare l'ingresso sotto forma di minerali. Un gran numero di studi su modelli sono stati eseguiti sulla prima fase del ciclo – la produzione di beni minerali – spesso con un interesse specifico sui combustibili fossili, con l'obbiettivo di determinare le future prospettive di produzione. Tuttavia, pochissimi di studi di modellizazione di questo tipo sono stati eseguiti sulle tendenze future della generazione di rifiuti. In questo saggio, esaminiamo i modelli del ciclo industriale in confronto alle tendenze storiche nella generazione di rifiuti solidi urbani per diverse regioni del mondo. Mostriamo che la generazione di rifiuti nei paesi sviluppati va in parallelo con le tendenze della produzione industriale e che diverse regioni stanno mostrando una tendenza al declino che potrebbe essere interpretata in termini di “picco” proprio come viene spesso fatto per la produzione di combustibili fossili. Pertanto, il “problema dei rifiuti” in termini di aumento di quantità di rifiuti da trattare e smaltire potrebbe non essere così urgente come viene comunemente percepito.

Parole chiave: rifiuti urbani; dinamica dei sistemi; gestione dei rifiuti; ecologia industriale; picco del petrolio; picco dei rifiuti.

1. Introduzione

Il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi viene spesso considerata essere un grande problema per la società ed è in corso un dibattito considerevole sui migliori metodi per risolverlo. Un assunto tipico che spesso sta alla base del dibattito è che la produzione di rifiuti solidi, specialmente sotto forma di Rifiuti Solidi Urbani (RSU), continuerà ad aumentare nel prossimo futuro. Per esempio, la Banca Mondiale dichiara in un rapporto del 2013 [1] che “ci si attende che i livelli di generazione di RSU raddoppino per il 2025”. Questo assunto sta alla base delle scelte come l'incinerazione al posto delle discariche, visto che la riduzione in volume dei rifiuti urbani prodotti viene spesso vista come una priorità [2]. Ciononostante, sembra che pochissimi studi confermino l'assunto della crescita continua delle generazione di rifiuti.

I modelli di studio nel campo dei rifiuti solidi esistono principalmente per tipi di rifiuti specifici, per esempio rifiuti elettronici [3] o rifiuti automobilistici [4], molto raramente per il concetto generale di rifiuti solidi o rifiuti solidi urbani, con poche eccezioni come qualche studio di dinamica dei sistemi [5, 6]. In questo campo, nonostante la disponibilità di diversi tipi di modelli per il flusso di rifiuti e per la loro composizione, è difficile applicarli alla realtà pratica della gestione dei rifiuti [7]. Sembra che l'industria che gestisce i rifiuti solidi urbani non mostri lo stesso forte interesse a modellare le tendenze future che è tipica, invece, dell'industri estrattiva, dove c'è molto dibattito in corso si concetti tipo, per esempio “picco del petrolio” [8, 9]. Tuttavia, l'industria estrattiva e l'industria della gestione dei rifiuti non sono indipendenti. Il sistema industriale globale può essere visto come un grande processo di trasformazione che comincia coi prodotti dell'industria mineraria e li trasforma in beni commerciali. Questi beni vengono trasformati in prodotti di mercato per essere alla fine buttati come rifiuti. Pertanto, le tendenze della produzione di rifiuti sono direttamente collegate alle tendenze complessive della produzione industriale mondiale, che a sua volta è collegata alle prestazioni dell'industria estrattiva. In questo senso, se vediamo il futuro in termini di “picchi” estrattivi (per esempio “picco del petrolio”, picco dei minerali” [10–12]), allora potremmo aspettarci che si verifichi una tendenza analoga per la produzione di rifiuti generale, leggi “picco dei rifiuti”. L'interpretazione sembra essere confermata se esaminiamo la valutazione dell'economia mondiale portata avanti nella serie di studi sui “Limiti della Crescita” [13,14] e più di recente [12]. Questi studi erano basati sul concetto che i limiti della crescita del sistema economico globale non sono determinati dal “finire” le risorse minerali, ma dal fatto che l'industria tende ad usare prima le risorse più a buon mercato. Di conseguenza, i depositi minerali sono destinati a diventare troppo costosi per essere sfruttati, un'osservazione che risale a William Stanley Jevons [15] che viene spesso definito il “principio dei ritorni economici decrescenti”. I modelli dinamici dell'economia mondiale sono altamente aggregati a di solito non trattano tipologie specifiche di rifiuti. Tuttavia, di solito contengono un parametro aggregato definito come “inquinamento” che comprende i rifiuti solidi. I rifiuti solidi come parametro sono stati resi espliciti in uno studio di dinamica dei sistemi basato sugli stessi metodi [5] che hanno mostrato che il picco della generazione di rifiuti era da attendersi in parallelo con le tendenze generali di esaurimento delle risorse non rinnovabili.

Questo studio comincia dai concetti descritti sopra per fare una esplorazione delle tendenze di produzione dei rifiuti nel mondo seguendo l'approccio di un precedente studio di alcuni degli autori del presente saggio [16]. Non puntiamo a prevedere le tendenze a breve termine, ma a determinare se esistono già indicazioni del fatto che ci stiamo avvicinando ad un picco della generazione di rifiuti e di rifiuti solidi urbani (RSU) in particolare, che vengono spesso percepiti dalle persone e dai decisori politici come il problema più urgente della società moderna. Questa esplorazione è resa difficile dalla mancanza di dati affidabili e dalle difficoltà intrinseche nell'aggregare e confrontare diversi parametri collegati alla produzione di rifiuti. Tuttavia, il risultato del nostro studio indica che, in diverse macroregioni del mondo, la produzione di RSU ha già raggiunto un picco e sta declinando ed alcune prove indicano che lo stesso effetto si sta verificando per tutte le tipologie di rifiuti. Questa scoperta è chiaramente importante a livello di scelte politiche nella gestione dei rifiuti, specialmente in relazione alla gestione dei rifiuti solidi urbani, in quanto rimuove parte dell'urgenza percepita dagli operatori di pianificare impianti di trattamento dei rifiuti sempre più grandi.

2. Modelli di produzione dei rifiuti

Per prima cosa presenteremo un modello semplice di un processo generico di produzione dei rifiuti volto a capire le tendenze generali di un sistema che sia limitato da una quantità limitata di risorse in ingresso. Il modello è basato sull'approccio della dinamica dei sistemi  [17], un metodo di modellazione basato sulla descrizione del sistema studiato per “riserve” - quantità di materia o energia che cambiano nel tempo – e “flussi”, che descrivono il flusso di materia o energia da una riserva all'altra. Tipicamente, il comportamento di questi sistemi è dominato da effetti di “retroazione” (feedback), cioè dal fenomeno dei flussi che dipendono dalla dimensione delle riserve. Il modello riportato qui segue l'approccio di cui lo studio su “I Limiti della Crescita” è stato pioniere [13,14]. Tuttavia, è strettamente collegato al concetto di modelli “a portata di mente” proposto in [18] (una versione precedente del modello è stata presentata in precedenza [16]). Qui, i modelli vengono creati usando il pacchetto di software Vensim™. La Figura 1 mostra il modello “a portata di mente” più semplice concepibile di produzione dei rifiuti.

Figura 1. Modello schematico di dinamica dei sistemi usato qui per descrivere le tendenze di produzione dei rifiuti.


Il modello consiste in tre riserve: risorse minerali, economia e rifiuti. Le riserve sono organizzate secondo la convenzione descritta in [18], cioè dall'alto verso il basso in ordine di potenziali termodinamici decrescenti. Notate che questo modello è molto generico e può essere applicato ad ogni tipologia di materiale residuale derivato dalla produzione industriale. Tuttavia, il termine “rifiuti” di solito è riferito ai residui solidi delle attività industriali e del consumo delle famiglie. La prima tipologia viene chiamata “rifiuti industriali” mentre la seconda può essere denominata, fra i diversi acronimi, come “rifiuti solidi urbani – RSU”. Al contrario i rifiuti liquidi e gassosi vengono di solito chiamati “inquinamento”, un termine che comprende anche i rifiuti solidi dispersi che non posso essere raccolti e smaltiti (per esempio, le emissioni di particolato). Il modello mostrato qui aggrega tutte queste tipologie di residui, ma qui il focus sarà sui rifiuti solidi e in particolare sui RSU, per i quali esistono dati più dettagliati ed estesi. Nel modello, il flusso di risorse verso l'economia è ipotizzato essere proporzionale alla dimensione sia della riserva dell'economia sia di quella delle risorse; in altre parole, è soggetto a una retroazione collegato alla dimensione delle due riserve che collega. Questa ipotesi è la stessa usata in precedenti studi che descrivono lo sfruttamento di risorse minerali [19]. Pertanto, di solito produce curve di produzione “a campana”. Il modello tiene anche conto del tasso di produzione dei rifiuti che, in questo caso, viene ipotizzato essere proporzionale alla dimensione dell'economia, ma non a quella della riserva di rifiuti. In altre parole, si ipotizza che i costi coinvolti nel trattamento e nella gestione dei rifiuti siano trascurabili rispetto alla dimensione complessiva dell'economia. Infine, notate che si ipotizza che la riserva di rifiuti si accumula senza venire mai riciclata o dissipata da processi naturali. Questa è un'altra approssimazione che, tuttavia, ha un effetto minimo sui risultati qualitativi del modello. Il comportamento del modello è determinato da due costanti che descrivono l'efficienza dello sfruttamento delle risorse naturali (k1) e il tasso di produzione dei rifiuti (k2). La Figura 2 mostra i risultati tipici, che risultano essere robusti, nel senso che possono essere riprodotti per un'ampia gamma di parametri iniziali. I parametri in ingresso sono per i risultati mostrati e sono riserve di risorsa (iniziale) = 10 unità, riserva di economia (iniziale) = 0,01 unità, riserva di rifiuti (iniziale) = 0,01 unità. L'asse delle ordinate Y delle riserva di rifiuti ha un valore massimo di 10 unità, mentre l'asse Y delle ordinate delle curve di produzione ha un massimo di 0,4 unità di produzione/unità di tempo. I valori delle due costanti sono k1 = 0,025, k2 = 0,1.

Figura 2. Risultati standard del modello di produzione di rifiuti.


Notate che, nel modello, la produzione industriale raggiunge il picco prima della produzione dei rifiuti, come dovrebbe. La distanza fra i due picchi è determinata dal tempo di vita dei prodotti nel sistema economico. Quando si affrontano i rifiuti urbani, affrontiamo principalmente articoli che hanno avuto vita breve, in gran parte imballaggi e beni deperibili. Così, ci aspettiamo che nel mondo reale le due curve debbano essere molto vicine fra loro e probabilmente indistinguibili nel mondo reale. Il modello può essere modificato per tenere conto di ulteriori fattori. Per esempio, la relazione fra il costo di estrazione e la quantità di risorse qui deve essere semplicemente lineare, cioè il costo deve aumentare in relazione all'inverso delle risorse rimanenti (va all'infinito quando non rimane niente da estrarre). Potrebbero essere considerate altre forme di questa proporzionalità ma, in accordo col concetto di “rasoio di Occam”, questa semplice relazione qui verrà mantenuta. Notate anche che la quantità disponibile di risorse minerali qui deve essere finita, che è fisicamente ragionevole. Un'obbiezione che viene comunemente fatta a una tale ipotesi è che il concetto di risorse dipende da fattori come i prezzi e il progresso tecnologico (per una panoramica su questo punto vedete, per esempio,[19]). Tuttavia, questa obbiezione ha senso solo nell'ipotesi che il modello venga usato come strumento di previsione, cioè se il parametro di “riserva di risorsa” deve essere un ingresso che porta a prevedere le tendenze di produzione a lungo termine e in particolare la data del picco. Tuttavia, qui il nostro obbiettivo è quello di descrivere le tendenze del sistema sulla base dei dati storici. In altre parole, il nostro obbiettivo è interpretativo piuttosto che predittivo e, in questo senso, l'ipotesi di risorse minerali più piccole o più grandi non cambierà la forma delle curve calcolate. Come ulteriori modifiche, il costo del trattamento dei rifiuti può essere preso in considerazione ipotizzando che una frazione della riserva industriale deve essere dedicata a questo scopo. In questo caso, la forma della curva di produzione potrebbe diventare asimmetrica (la forma “Seneca”) come descritto in [18]. Ancora una volta, questa ipotesi non cambia sostanzialmente i risultati complessivi del modello. Poi, potremmo prendere in considerazione il riciclaggio dei rifiuti ipotizzando che parte della riserva di rifiuti potrebbe essere riportata al sistema industriale o riassorbita nell'ecosistema. Questo fenomeno potrebbe essere facilmente simulato dalla modellazione dinamica ma, in generale, finché ipotizziamo che il sistema industriale è alimentato principalmente da risorse non rinnovabili, il risultato complessivo rimane lo stesso, cioè sia la produzione industriale sia la produzione di rifiuti raggiungono il picco per poi andare a zero. La differenza principale rispetto al modello più semplice è che le curve di produzione industriale e di rifiuti potrebbero mostrare oscillazioni ammortizzate quando le riserve di rifiuti riciclabili vengono esaurite. Infine, se ipotizziamo la presenza di risorse rinnovabili, il sistema potrebbe convergere verso uno stato stabile sia per la produzione di di rifiuti sia di prodotti industriali. Questo risultato finale corrisponde bene ai modelli dinamici semplici dei sistemi biologici (vedete per esempio [20]).

3. Tendenze di generazione dei rifiuti – Confronto coi dati disponibili

Non esistono a livello globale dati affidabili della riserva di rifiuti nel modello sviluppato nella sezione precedente, nemmeno a livello regionale. Cioè, è impossibile quantificare tali riserve come, per esempio, la quantità totale di rifiuti solidi generati dalle attività umane ed accumulati nel mondo. Abbiamo, tuttavia, dati relativi ai flussi, cioè sulle generazione annuale di rifiuti e, in particolare, sulla generazione di rifiuti solidi urbani. Anche in questo caso, i dati globali non sono disponibili per la mancanza di rapporti da parte di molti paesi e spesso dell'incoerenza dei rapporti stessi. Inoltre, le definizioni e i metodi di rilevamento variano molto. I buoni dati sono spesso disponibili a livello di singoli paesi, anche se normalmente riportati solo in termini di peso, raramente tenendo conto di come varia la composizione come funzione del tempo, della località geografica, dell'urbanizzazione, della ricchezza e di altri fattori. Ciononostante, esistono dati sufficienti sulla generazione di RSU da rendere possibile ottenere almeno un quadro generale delle tendenze principali della generazione di rifiuti in un numero sostanziale di paesi e per varie macro aree del mondo. Questi dati possono essere usati per fornire una visione della produzione di rifiuti solidi il più globale possibile. Qui, esamineremo principalmente i dati relativi a Stati uniti, Europa, Cina, Giappone ed Australia. I dati più dettagliati e globali appartengono alla generazione di Rifiuti Solidi urbani (RSU). La massa di questo tipo di rifiuti viene originata dalle famiglie, dalle imprese commerciali e dalle istituzioni pubbliche. Cominciamo coi dati degli Stati Uniti, ottenuti dalla Environmental Protection Agency – EPA [21]. Questi dati vengono mostrati nella Figura 3, misurati per mezzo della derivata di una funzione logistica per simulare la curva “a campana” generata dai modelli.

Figura 3. Tendenze della generazione di rifiuti urbani degli Stati Uniti.


Fonte: Dati EPA [21].

Questi dati mostrano che la generazione complessiva di RSU negli Stati Uniti ha raggiunto il picco ed ora sta lentamente diminuendo. Questa tendenza al picco è particolarmente evidente per quanto riguarda la quantità di RSU generati per presone. Per l'Europa, i dati mostrati nella Figura 4, dati Eurostat [22], mostrano che la tendenza complessiva della generazione di RSU è simile a quella degli Stati Uniti. La regione “EU-27” ha infatti visto il declino sia della generazione totale di rifiuti sia di quella per persona. Ci sono diversi singoli paesi europei che hanno raggiunto il picco anche in termini di generazione totale di rifiuti solidi urbani. Per esempio, l'Italia è uno dei casi di declino reale nelle generazione di rifiuti [23,24], come mostrato nella Figura 5. La stessa tendenza è osservabile in Belgio, Germania, Irlanda, Spagna, Ungheria, Olanda, Austria, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Svizzera [22].

Figura 4. Tendenze della produzione di rifiuti urbani dell'Unione Europea (27 Stati).


Fonte: Dati Eurostat [22].

Figura 5. Generazione di rifiuti urbani in Italia.


Fonte: Data da [24].

Come ulteriore esempio di un paese europeo la cui produzione di rifiuti ha raggiunto il picco, ecco i risultati della Francia, mostrati nella Figura 6.

Figura 6. Generazione di rifiuti urbani in Francia.



Fonte: Dati Ademe [25].

Riguardo la regione asiatica, abbiamo indagato i dati di Cina e Giappone. Anche se la popolazione cinese è aumentata negli ultimi due decenni e la sua economia si è sviluppata tremendamente, la Cina sembra seguire la stessa tendenza riguardo la generazione di RSU che abbiamo visto per Stati Uniti ed Europa, anche se la produzione totale di rifiuti non ha ancora raggiunto il picco [26,27]. I dati nella Figura 7 sono stati ottenuti da [28].

Figura 7. Generazione di rifiuti urbani in Cina.


Fonte: Dati dall'Annuario Statistico Cinese [28].

Riguardo al Giappone, anche se i cittadini giapponesi hanno praticamente lo stesso standard di vita di quelli statunitensi, generano solo il 56% dei RSU degli Stati Uniti per persona. I dati disponibili sono insufficienti per una valutazione completa, ma sembra che la generazione giapponese di RSU stia anche quella declinando [29]. Riguardo altre regioni asiatiche, in Australia la massa annuale di RSU raccolti mostra una tendenza di lento aumento [30].Nel complesso, i dati disponibili non ci permettono di concludere con certezza che la generazione di RSU abbia raggiunto un picco a livello mondiale, ma una tendenza al picco e declino è chiaramente osservabile in diversi grandi paesi in tutto il mondo.

4. Produzione industriale e generazione di rifiuti

I dati sulla generazione di rifiuti urbani ora possono essere confrontati con quelli del lato di ingresso del processo industriale. Questo ingresso, tuttavia, non si misura facilmente. Potremmo considerarlo come proporzionale al Prodotto Interno Lordo (PIL), ma questo parametro, espresso in unità monetarie, comprende una varietà di processi che non producono direttamente rifiuti solidi, per esempio salari o vendite di case. Un parametro migliore in questo caso è la produzione industriale che, tuttavia, non viene di solito misurata in unità fisiche, ma con un “indice” che misura la produzione aggregata di manifattura, estrazione mineraria e servizi sommando le produzioni fisiche delle varie industrie ponderate dalle loro proporzioni nel valore totale sommato di produzione di tutte le industrie. Ovviamente, questo indice non è direttamente confrontabile con la quantità di rifiuti prodotta, che viene misurata in unità di peso. Tuttavia, come prima approssimazione, possiamo ancora usare questo indice per valutare almeno la coerenza dell'approccio del presente saggio. Un secondo problema è che la quantità di rifiuti solidi è la somma di due flussi: uno è quello dei rifiuti solidi industriali e l'altro è quello dei rifiuti solidi urbani. Sarebbe possibile considerare la quantità di rifiuti solidi industriali generati, o il loro sottogruppo in termini di rifiuti pericolosi, come una migliore indicazione della produzione finale del processo industriale. Sfortunatamente, i dati per questo tipo di rifiuti sono spesso mancanti o inaffidabili. Nel caso degli Stati uniti il problema deriva, fra gli altri fattori, come risultato dell'esclusione delle acque reflue dai rapporti nazionali dal 1997 [21]. I pochi dati accessibili sui rifiuti industriali in Cina sono aggiornati solo fino al 2003 e rivelano un aumento nei tassi di generazione [27]. Sembra che non ci siano dati disponibili per la produzione di rifiuti industriali in Giappone, mentre quelli dei rifiuti pericolosi in Australia mostrano chiaramente un picco [31]. E' riconoscibile una tendenza nel caso dell'Italia, dove possiamo vedere che la tendenza al declino dei rifiuti industriali è preceduta da un picco dell'indice di produzione industriale intorno al 2006 [22]. Tuttavia, i dati disponibili sembrano essere insufficienti per una valutazione significativa delle tendenze in atto e, di conseguenza, qui possiamo solo tentare di confrontare l'indice di produzione industriale con la quantità di rifiuti solidi urbani, per i quali sono più facilmente disponibili dati dettagliati. Come dichiarato nella sezione precedente, il tempo di vita dei prodotti di consumo che diventano RSU è breve, al massimo sull'ordine di un anno, e quindi non ci aspettiamo uno spostamento significativo delle tendenze produttive del sistema industriale rispetto a quelli di generazione di RSU. Un primo confronto può essere tentato con l'economia statunitense. Qui, i dati da [21] (Figura 8) indicano che produzione industriale e generazione di RSU raggiungono il picco approssimativamente allo stesso tempo, anche se la produzione industriale sembra raggiungerlo in qualche modo più tardi. La discrepanza è probabilmente da attribuire al fatto, già menzionato, che le due curve sono basate su dati che non sono perfettamente confrontabili.

Figura 8. Tendenze di generazione di Rifiuti Solidi Urbani (RSU) e indice di produzione industriale degli Stati Uniti.


La tendenza opposta è osservabile nel caso dell'Italia, dove la produzione industriale raggiunge il picco approssimativamente quattro anni prima della produzione di rifiuti (vedete la Figura 9, dati da [23] e [24]). Qui, i dati probabilmente riflettono l'importante contributo dei beni industriali che finiscono nel flusso di rifiuti che hanno un tempo di vita più lungo di quello dei RSU ordinari.

Figura 9. Produzione di RSU e indice di produzione industriale dell'Italia.


Infine, sotto (Figura 10) ci sono i risultati della Francia (dati da [25]). Anche qui, vediamo che l'indice di produzione industriale e la generazione di RSU raggiungono il picco quasi allo stesso tempo, anche se, come nel caso dell'Italia, la produzione industriale sembra raggiungere il picco qualche anno prima.

Figura 10. Produzione di RSU e indice di produzione industriale della Francia.



Ci sono diversi altri casi che possono essere esaminati, per esempio il caso EU-27 mostra una tendenza in cui un picco della produzione industriale risulta essere quasi esattamente coincidente con quelli della generazione dei RSU. In generale, non sembra che esistano dati sufficienti per una dichiarazione definitiva sul fatto che il picco industriale preceda il picco dei RSU, anche se diverse serie di dati indicano che sia così. Tuttavia, è chiaro che i due picchi sono collegati e che la generazione di RSU non continua ad aumentare per sempre e tende a seguire la tendenza della produzione industriale.

5. Conclusioni

Come indicato da studi dinamici svolti diversi decenni fa [13], i ritorni gradualmente decrescenti dell'estrazione di risorse minerali condizionerà l'intero sistema industriale mondiale e, con esso, la quantità di rifiuti solidi prodotti. I dati e i modelli riportati nel presente studio indicano che il rallentamento della generazione di rifiuti è una tendenza robusta che appare in diverse regioni sviluppate del mondo e potrebbe essere interpretata come collegata al rallentamento della crescita industriale, a sua volta collegata all'aumento dei costi di estrazione di tutti i beni minerali [32]. In altre parole, il “Picco dei Rifiuti” potrebbe essere già avvenuto per quanto riguarda i rifiuti solidi urbani oppure sta per avvenire nel prossimo futuro. Questo risultato è una tendenza a lungo termine nella generazione dei rifiuti che si aggiunge ad altre tendenze a lungo termine come quella che vede un graduale cambiamento della composizione dei rifiuti solidi urbani. I dati su questo punto sono scarsi, ma sembra chiaro che migliori inpianti di trattamento stanno portando al recupero di più grandi quantità di metalli che, di conseguenza, non finiscono più nelle discariche [33,34]. E' chiaro da questi risultati che i “rifiuti” sono un'entità in continuo cambiamento. I dati disponibili non permettono una modellazione dettagliata delle tendenze mondiali dei rifiuti, ma i risultati del presente studio mostrano che il “problema dei rifiuti”, in termini di necessità di nuovi e costosi impianti, potrebbe essere spesso troppo enfatizzato nell'attuale dibattito, perché i decisori politici basano ancora la loro pianificazione sull'idea di un continuo aumento della quantità di rifiuti prodotta (per esempio, vedete [1]). Invece, se stiamo assistendo ad una tendenza al declino nella massa complessiva di rifiuti prodotti, la nostra priorità dovrebbe diventare migliorare il riciclaggio dei rifiuti solidi lavorando in direzione di un'economia ciclo chiuso.

Contributi dell'autore  

Virginia Pierini ha fornito la massa di dati sull'estrazione mineraria necessari per questo articolo. Gli altri autori sono stati coinvolti principalmente con la modellazione e con l'assemblaggio dello studio.

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano di non avere alcun conflitto di interessi.

Riferimenti

1. Banca Mondiale. Che rifiuto: un rapporto globale sulla gestione dei rifiuti solidi (What a Waste: A global report on solid state waste management). Disponibile online:
http://go.worldbank.org/BCQEP0TMO0  (accessed on 12 April 2014).

2. L'ABC della gestione sostenibile dei rifiuti (The ABC of Sustainable Waste Management). Disponibile online: http://www.seas.columbia.edu/
earth/wtert/faq.html (ultimo accesso 23 marzo 2014).

3. Ekshaki, A. Modellazione delle riserve dinamiche. Un metodo per l'identificazione e la stima dei futuri flussi di rifiuti e delle emissioni basata sulla produzione passata e sulle caratteristiche della riserva di prodotto (Dynamic stock modelling: A method for the identification and estimation of future waste streams and emissions based on past production and product stock characteristics). Energy 2005, 30, 1353–1363. Disponibile online: http://dx.doi.org/10.1016/j.energy.2004.02.019 (ultimo accesso 3 luglio 2013)

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5. Randers, J. La dinamica della generazione di rifiuti solidi (The Dynamics of Solid Waste Generation). In Toward Global Equilibrium; Meadows, D.H., Meadows, D.L, Eds.; Wright-Allen Press: Cambridge, MA, USA, 1973; pp. 166–211.

6. Dyson, B.; Chang, N.-B. Prevedere la generazione di rifiuti solidi urbani in una regione in rapida crescita con la modellazione della dinamica dei sistemi (Forecasting municipal solid waste generation in a fast-growing urban region with system dynamics modeling). Waste Manag. 2005, 25, 669–679. Disponibile online: http://dx.doi.org/10.1016/j.wasman.2004.10.005 (ultimo accesso 25 maggio).

7. Beigl, P.; Lebersorger, S.; Salhofer, S. Modellazione della generazione di rifiuti solidi urbani: una panoramica. (Modelling municipal solid waste generation: A review). Waste Manag. 2008, 28, 200–214. Disponibile online: http://dx.doi.org/10.1016/
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9. Bardi, U. Picco del petrolio (Peak Oil). In International Encyclopedia of Social & Behavioral Sciences, 2nda ed.; Wright, J.D., Ed. Elsevier: Oxford, UK, 2013.

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12. Sverdrup, H. Il modello World5; picco dei metalli, dei minerali, dell'energia, della salute, del cibo e della popolazione; considerazioni urgenti di politica per una società sostenibile (The World 5 model; Peak metals, minerals, energy, wealth, food and population; urgent policy considerations for a sustainable society). J. Environ. Sci. Eng. 2012, 5, 499–533.

13. Meadows, D.H.; Meadows, D.L.; Randers, J.; Bherens, W.W., III. I Limiti dello Sviluppo; Universe Books: New York, NY, USA, 1972.

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31. Rapporto nazionale sui Rifiuti 2010. Disponibile online: http://www.scew.gov.au/archive/wastemanagement/pubs/wastemgt_nat_waste_report_final_20_fullreport_201005_0.pdf  (ultimo accesso 27 maggio 2013).

32. Bardi, U. Extracted: How the Quest for Mineral Wealth Is Plundering the Planet; Chelsea Green: White River Junction, VT, USA, 2014.

33. Lostrangio, D.; Pandolfo, R. Influenza dell'evoluzione qualitativa/quantitativa dei rifiuti solidi urbani nella gestione degli stessi (Influence of the quali-quantitative evolution of the municipal solid waste on the management of the same). Disponibile online: http://www.ambientediritto.it/dottrina/Politiche%20energetiche%20ambientali/politiche%20e.a/influenza_evoluzione_lostrangio_pandolfo.htm  (ultimo accesso 25 aprile 2014).

34. Futuri delle risorse (Resource Futures). Defra EV0801 Stime di composizione nazionale dei rifiuti raccolte dalle autorità locali e sul riciclaggio in Inghilterra (National compositional estimates for local authority collected waste and recycling in England), 11/2010. Disponibile online: http://randd.defra.gov.uk/Document.aspxDocument=11715_EV0801ReportFINALSENT05-12-13.pdf  (ultimo accesso 25 aprile 2014).

© 2014 degli autori; su licenza MDPI, Basilea, Svizzera. Questo articolo è un articolo ad accesso libero distribuito nei termini e condizioni della licenza di attribuzione Creative Commons (http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/).

domenica 13 luglio 2014

I pozzi di petrolio abbandonati emettono livelli significativi di metano: uno studio

Da “Resilience”. Traduzione di MR

Di Andrew Nikiforuk, pubblicato originariamente su The Tyee

Uno studio dell'Università di Princeton ha scoperto che le perdite dai pozzi di petrolio e gas abbandonati pongono non solo un rischio alle falde acquifere, ma rappresentano una minaccia crescente al clima. Fra 200.000 e 900.000 pozzi abbandonati nello stato della Pennsylvania è probabile che contribuiscano dal 4 al 7% delle emissioni antropogeniche di metano in quella giurisdizione, una fonte della quale prima non si teneva conto, dice lo studio. La Pennsylvania, come l'Alberta in Canada, è la più vecchia produttrice di petrolio e gas negli Stati Uniti e la scena di una forte controversia ambientale dovuta all'impatto della fratturazione idraulica sul suo panorama abbondantemente trivellato. Di conseguenza, le perdite dalle infrastrutture di gas di scisto e da quelle convenzionali potrebbe rendere questa industria più sporca di quella della produzione di carbone.

Gli scienziati del campo hanno coerentemente rilevato che i modelli usati dall'industria del petrolio e del gas e dai legislatori sottostimano significativamente le perdite di metano da valvole, pompe, gasdotti, impianti di gas e pozzi produttivi. Ora sono stati aggiunti all'elenco anche i pozzi abbandonati. L'esperto di metano ed ecologista dell'Università di Cornell Robert Howarth ha detto che il nuovo studio è importante perché illustra che le emissioni delle attività di petrolio e gas sono molto maggiori di quanto stimino il governo e l'industria. Il problema dei pozzi abbandonati che perdono “non è stato studiato bene nel passato e non viene considerato affatto dalla statunitense EPA nelle sue stime delle emissioni di gas serra, né viene considerato da altri studi accademici come il mio. E' un ulteriore esempio di quanto poco sappiamo in realtà sulle emissioni di metano da parte dell'industria del gas e del petrolio e una ragione in più per credere che l'EPA abbia gravemente sottostimato le emissioni totali”, ha detto.

Non c'è niente di terribilmente unico riguarda la Pennsylvania, ha aggiunto Howarth, “quindi mi aspetterei che questo sia un problema che colpisce gran parte se non tutti i giacimenti di gas e petrolio”. Il problema della perdita dei pozzi, tuttavia, è diffuso e globale e coinvolge milioni di pozzi di petrolio e gas. I guasti dei pozzi nei giacimenti in alto mare della Norvegia, per esempio, avevano una media del 24% in un'analisi, mentre i guasti dei pozzi appena fratturati in Pennsylvania hanno una media del 6,4%. Saskatchewan mostra i  tassi di guasti come corrispondenti al 20%. Perdite estese da pozzi di petrolio pesante (fino al 45%) sono risultate in contaminazione di acqua di falda documentate dell'area di Lloydminster al confine fra Alberta e Saskatchewan.

Fuga di gas

Le scoperte della Kang rafforzano le scoperte di uno studio dell'Università di Waterloo che ha chiamato i 500.000 pozzi che perdono della nazione una minaccia alla sicurezza pubblica e all'ambiente  a causa del “potenziale deterioramento della qualità dell'acqua di falda, dei contributi in emissioni di gas serra e ai rischi di esplosione se il gas metano si accumula in aree non adeguatamente ventilate”.

Lo studio di Waterloo ha anche fatto appello ai legislatori e all'industria perché monitorizzino e misurino immediatamente le emissioni da decine di migliaia di pozzi abbandonati nel Canada occidentale. Ha anche osservato che le emissioni di gas documentate dai pozzi rappresentano solo una parte di quello che sta uscendo sottoterra verso le acque di falda o verso altre formazioni. In Pennsylvania, la Kang ha scoperto che i pozzi abbandonati perdono in media circa 96 metri cubi all'anno, ma potrebbero esserci da 280.000 ai 970.000 di tali pozzi in quel solo stato. Circa il 16% di tutti i pozzi non perdevano piccole quantità, ma sembrano essere dei “super emettitori” o sputa metano. Il pozzo più inquinante emetteva 3,2 metri cubi di gas al giorno, o 1.168 metri cubi di gas all'anno. E' quasi il corrispettivo di 300 dollari all'anno. In confronto, secondo Enbridge, un residente tipico canadese usa 3.064 metri cubi di gas all'anno per riscaldare la propria casa e la propria acqua. Circa il 10% di tutti i pozzi nella Columbia Britannica  perdono, ma non viene fatto alcun monitoraggio sul tasso di perdite dai 10.000 pozzi inattivi o abbandonati della provincia. Alcuni pozzi di gas di scisto da fracking in produzione sono diventati super emettitori e perdono 3.000 metri cubi all'anno.

Altre scoperte sorprendenti

La Kang ha anche fatto diverse altre scoperte sorprendenti. Le perdite di metano dai pozzi chiusi, che vengono adeguatamente sigillati con cemento al momento del loro abbandono, avevano dei tassi alti quanto quelli non chiusi. I pozzi collegati alle formazioni di arenaria perdevano di più dei pozzi di altre formazioni. La Kang ha trovato anche etano, propano e n-butano mescolati al metano – tutti indicatori che il gas proveniva da zone mirate dall'industria anziché da paludi e fonti naturali. L'impulso di metano che finisce in atmosfera è anche cambiato nel tempo. Durante l'inverno le perdite diventavano minori, mentre durante l'estate usciva sempre più metano dai pozzi. Le scoperte drammatiche dello studio di Princeton illustra ancora una volta che i sigilli di cemento nei dei pozzi abbandonati ed attivi si spaccano, riducono e fratturano col tempo, permettendo al metano di fuoriuscire e trovare il percorso di minore resistenza, come le fratture naturali. Il gas vagante può percorrere distanze fino a 14 km di distanza e fuoriuscire in fiumi e case. Per fare in modo che i legislatori e l'industria affrontino il problema, la Kang ha suggerito nella sua tesi di dottorato che “I gas, compresi metano ed altri idrocarburi, emessi da pozzi di petrolio e gas” dovrebbero essere considerati “come una risorsa energetica alternativa”.

Più abbandonati che bonificati

L'inquinamento dell'acqua potabile col metano è stata documentata in Pennsylvania, Colorado e Texas, o dovunque la fratturazione idraulica e la trivellazione intensiva abbia avuto luogo. Ma in molti casi, i legislatori hanno messo da parte le prove scientifiche e concluso che il metano fuoriesce naturalmente. Il Legislatore Energetico dell'Alberta conserva un database delle perdite di 316.439 pozzi riportate dall'industria a a pertire dal 1910. Ma non è di pubblico dominio e il legislatore non ha alcuna politica per testare le perdite di gas dai pozzi una volta che vengono abbandonati. Attualmente, la responsabilità per l'abbandono e la bonifica dei pozzi, dei gasdotti e degli impianti inattivi assomma a 32 miliardi di dollari nell'Alberta. Eppure il legislatore ha 279 milioni di dollari in obbligazioni per ripulire il pasticcio. Le compagnie di petrolio e gas stanno abbandonando i pozzi ad un ritmo molto più veloce di quanto non li stiano bonificando, un processo che comprende una valutazione del cemento e il posizionamento di uno sfiato in cima al pozzo.


Concentrazione di pozzi attivi ed abbandonati in Nord America. Un numero fra l1,9 e il 75% di questi perde metano. Fonte: Richard Davies / Marine and Petroleum Geology Journal.

Theresa Watson, una ex legislatrice dell'Alberta, ha osservato in una presentazione del 2013 che un numero sempre maggiore di pozzi multi-livello fratturati idraulicamente stavano entrando in contatto con pozzi preesistenti col “potenziale di colpire i possedimenti (altre proprietà dell'industria) e le acqua di falda”. Ad oggi, ci sono stati più di 20 casi di industrie che eseguono lavori di fratturazione ad alta pressione che si sono congiunti a pozzi vicini, risultando in eruzioni di fluidi tossici in superficie. Alcuni cosiddetti “successi del fracking” hanno viaggiato per 2.400 metri attraverso fratture o anomalie naturali o provocate dall'uomo prima di giungere in superficie. Più di 30 eventi del genere sono accaduti nella Columbia Britannica. Tutte mettono a rischio le falde acquifere. “Gli scheletri stanno uscendo dall'armadio”, ha detto. La Winston nella sua presentazione. La Kang ha concluso che i governi devono fare un lavoro migliore nel riportare e monitorare i pozzi abbandonati, perché sembrano essere una fonte significativa ed inaspettata di emissioni di metano di cui non si tiene conto. “Servono misure supplementari per caratterizzare e determinare la distribuzione dei flussi di metano dai pozzi abbandonati di petrolio e gas in Pennsylvania ed in altre regioni”, ha scritto. Un grande studio del 2014 del ricercatore britannico Richard Davies su Marine and Petroleum Geology è giunto alla stessa conclusione ed ha richiesto un monitoraggio sistematico e a lungo termine si dei pozzi attivi si di quelli abbandonati.

sabato 12 luglio 2014

Il pensiero sistemico e il futuro delle città

Da “Post Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di David Orr


Foto: Stuck in Customs / Flickr. Licenza Creative Commons 2.0. “Viviamo tutti in un mondo interconnesso”, sostiene l'autore.

In breve

L'idea che niente esista isolatamente – ma solo come parte di un sistema – è stata a lungo parte del folklore, delle scritture religiose e del senso comune. Tuttavia, le dinamiche dei sistemi come scienza deve ancora trasformare il modo in cui portiamo avanti gli affari pubblici. Questo articolo dapprima esplora brevemente la questione del perché i progressi nella teoria dei sistemi non sono riusciti a trasformare la politica pubblica. La seconda parte descrive i modi in cui la nostra comprensione dei sistemi stia crescendo – non tanto dalla teorizzazione, ma dalle applicazioni pratiche in agricoltura, progettazione degli edifici e scienza medica. La terza parte si concentra su se e come questa conoscenza e la scienza dei sistemi possano essere diffuse per migliorare la gestione urbana di fronte alla rapida destabilizzazione climatica di modo che la sostenibilità diventi la norma, non una storia di successo occasionale.

Concetti chiave


  • La riduzione degli interi a parti è il cuore della visione del mondo scientifica che abbiamo ereditato da Galileo, Bacone, Descartes e dei loro moderni accoliti nelle scienze economiche, nell'efficienza e nella gestione. 
  • I decenni fra il 1950 e il 1980 sono stati l'era d'oro della teoria dei sistemi. Tuttavia, nonostante un gran parlare di sistemi, continuiamo ad amministrare, organizzare, analizzare, gestire e governare sistemi ecologici complessi come se fossero una raccolta di parti isolate e non un'unione indissolubile di energia, acqua, suoli, terra, foreste, biota ed aria. 
  • Gran parte di ciò che abbiamo imparato gestendo i sistemi reali è cominciato con l'agricoltura. Una delle lezioni più importanti è stata che la terra è un organismo in evoluzione di parti collegate: suoli, idrologia, biota, natura selvaggia, piante, animali e persone. 
  • La sfida è quella di far transitare la complessità urbana organizzata costruita su un modello industriale e progettata per automobili, espansione e crescita economica in luoghi coerenti, civili e duraturi. 
  • Una prospettiva sistemica per la gestione urbana è una lente attraverso la quale potremmo vedere più chiaramente nella nebbia del cambiamento e gestire potenzialmente meglio le complesse relazioni di causa-effetto fra i fenomeni sociali ed ecologici. L'applicazione dei sistemi offre almeno sei possibilità di migliorare la gestione urbana.  


Un sistema è un insieme di elementi interconnessi che è organizzato coerentemente in un modo che ottenga qualcosa... deve consistere in tre tipi di cose: elementi, interconnessioni e una funzione o scopo. 
—Donella Meadows, Pensare sistemico (1)

Un sistema è (a) un insieme di unità o elementi interconnessi di modo che i cambiamenti di alcuni elementi o delle loro relazioni produca cambiamenti nelle altre parti del sistema e (b) l'intero sistema esibisce delle proprietà e dei comportamenti che sono diversi da quelli delle parti. 
—Robert Jervis, Effetti dei Sistemi (2)

Una delle idee più importanti della scienza moderna è quella di un sistema. Ed è quasi impossibile da definire.
—Garrett Hardin, La Cibernetica della Competizione (3)

Storia della Teoria dei Sistemi

I decenni post bellici fra il 1950 e il 1980 sono stati l'era d'oro della teoria dei sistemi. Sulla base dei progressi nelle comunicazioni, nelle oprazioni di ricerca e nella cibernetica dalla Seconda Guerra Mondiale, Kenneth Boulding, James G. Miller, Ludwig von Bertalanffy, C. West Churchman, Herbert A. Simon, Erwin Laszlo, Jay Forester, Dennis e Donella Meadows, Peter Senge ed altri hanno scritto in modo persuasivo del potere dell'analisi dei sistemi (4, 5). Si diceva che i benefici erano molti. Il pensiero sistemico ci avrebbe permesso di percepire gli schemi che connettevano cose altrimenti sparpagliate e di rilevare la logica contro-intuitiva che soggiace ad una realtà spesso ingannevole, creando pertanto diagnosi, politiche e piani più coerenti. I benefici reali della teoria dei sistemi, tuttavia, sono rimasti in gran parte nel regno dei computer e della tecnologia di comunicazione. Altrove, il business as usual ha proceduto tranquillamente imperturbato. Nonostante la logica intrinseca del pensiero sistemico, governi, multinazionali, fondazioni, università ed organizzazioni no-profit funzionano ancora in gran parte suddividendo temi e problemi nelle loro parti separate ed affrontandole separatamente.

 Agenzie, dipartimenti ed organizzazioni separate si specializzano in energia, terreno, cibo, aria, acqua, natura selvaggia, economia, finanza, regolamenti edilizi, politiche urbane, tecnologia, salute e trasporti – come se ognuno di questi temi non fosse collegato agli altri. Così, un'agenzia spinge forte per far crescere l'economia mentre un'altra è incaricata di ripulire il pasticcio risultante e così via, vale a dire che la mano sinistra e la mano destre raramente sanno – o si interessano a – ciò che sta facendo l'altra. I risultati sono spesso controproducenti, eccessivamente costosi, rischiosi, a volte disastrosi e quasi sempre ironici. La modellazione sistemica, per esempio, ci ha permesso di prevedere e capire la catastrofe incombente del cambiamento climatico rapido, mentre i fallimenti sistemici nel governo, nelle politiche e nell'economia hanno finora paralizzato la nostra capacità di fare qualcosa per questo. La teoria dei sistemi, in breve, deve ancora avere il suo momento copernicano e le ragioni sono ironicamente incorporate nella rivoluzione scientifica stessa.

Il ridurre interi a parti, vedi “riduzionismo”, è il cuore della visione del mondo scientifica che abbiamo ereditato da Galileo, Bacone, Descartes e dei loro moderni accoliti nelle scienze economiche, nell'efficienza e nella gestione. Per un periodo, il riduzionismo ha operato miracoli scientifici, tecnologici ed economici. Ma, quando abbiamo acquisito potere, ricchezza, velocità, convenienza, apparente controllo sulla natura e fiducia in noi stessi, abbiamo pagato un prezzo considerevole che Faust (quello di Marlowe, non quello di Goethe) avrebbe riconosciuto. Come Faust, abbiamo agito a breve termine, trascurando costi e rischi a lungo termine che potevano essere visti solo da una prospettiva sistemica. I risultati sono sconcertanti. A tempo di record, abbiamo stracciato interi ecosistemi, acidificato gli oceani, spazzato via specie intere, dilapidato il suolo fertile, abbattuto foreste e cambiato la chimica dell'atmosfera.

“Siamo”, nelle parole di Edward Hoagland, “ancora in parte scimpanzé con una doppia laurea in prove ed errori”. Nel mondo reale, le cose tornano a farsi sentire, ci sono punti di non ritorno, sorprese, proprietà emergenti, cambiamenti di passo, ritardi temporali e imprevedibili e catastrofici eventi di “cigno nero” con effetti globali che durano a lungo. Per prevedere ed evitare queste cose serve un atteggiamento mentale capace di vedere le connessioni, gli schemi e la struttura dei sistemi, così come una visuale ben oltre il bilancio trimestrale o le prossime elezioni. La saggezza comincia con la consapevolezza che viviamo in mezzo delle complessità che non possiamo mai comprendere pienamente, per non parlare di controllarle. Ma la prudenza non è stata parte dell'esuberanza a prova di pallottola scritta nella nostra idea di progresso, né nei documenti fondamentali dell'America.


Foto: lo staff di fotografi della Casa Bianca. Jimmy Carter, Gerald Ford e Richard Nixon alla Casa Bianca nel 1978. Gerald Ford ha giocato un ruolo importante nel far firmare la Legge Nazionale per l'Ambiente da Richard Nixon nel 1970. 

Concepita da uomini in gran parte influenzati dall'Illuminismo – ignoranti di ecologia e timorosi dell'eccessiva autorità – la Costituzione degli Stati Uniti, per esempio, non dà alcun “fondamento chiaro, non ambiguo e testuale per una legge di protezione federale dell'ambiente”, nelle parole dello studioso di diritto Richard Lazarus. Essa privilegia “la legislazione decentralizzata, frammentata e incrementale... che rende difficile affrontare problemi in modo complessivo e olistico”. Comitato delle giurisdizioni del Congresso basati sul fatto che la Costituzione frammenta la responsabilità e i risultati legislativi. La Costituzione dà troppo peso ai diritti privati al contrario dei beni pubblici. Non menzione né l'ambiente né la necessità di proteggere i suoli, l'aria, l'acqua, la natura selvaggia e il clima – e non offre quindi nessuna base inequivocabile per la protezione ambientale. La clausola del commercio – la fonte di grandi statuti ambientali – è una base legale ingombrante e scomoda per la protezione ambientale. Il risultato, osserva Lazarus, è che “le nostre istituzioni legislative sono particolarmente inadatte per il compito di considerare i problemi e di creare le soluzioni legali della dimensione spaziale e temporale necessaria per la legge ambientale. (9) In altre parole, il nostro modo di governare è spesso ecologicamente distruttivo.

La Legge di Politica Ambientale Nazionale (1970) puntava a rimediare a tali mancanze. Richiedeva a tutte le agenzie federali di “utilizzare un approccio sistematico ed interdisciplinare che assicurerà l'uso integrato delle scienze naturali e sociali e le arti di progettazione ambientale nella pianificazione e nel prendere decisioni”. La Legge richiedeva pianificazione sistemica, ma oltre ai requisiti per le valutazioni di impatto ambientale per i progetti finanziati a livello federale, non aveva potere. Con poche eccezioni, le cose sono andate avanti come prima. Il risultato è questo, nonostante il gran parlare di sistemi, continuiamo ad amministrare, organizzare, analizzare, gestire e governare sistemi ecologici complessi come se fossero una raccolta di parti isolate e non una unione indissolubile di energia, acqua, suoli, terra, foreste, biota ed aria. L'idea della sostenibilità sembrerebbe implicare che il rimedio sia un approccio sistemico alla gestione ambientale, ma la realtà è diversa. Gli sforzi in direzione della sostenibilità sono a loro volta negli argomenti specifici di energia, agricoltura, inquinamento dell'aria, inquinamento dell'acqua, silvicoltura, edilizia verde e così via, così che le parti non sostengono un intero più ampio. Tuttavia, la biosfera ed i suoi ecosistemi costituenti sono indifferenti alla mera convenienza umana e alle illusioni, spietata con la tracotanza e senza rimorsi nell'esigere ciò che le è dovuto. Coma qualcuno una volta ha detto, “Dio potrebbe perdonare i nostri peccati, ma la natura no”.

Come viene applicata oggi la teoria dei sistemi?

Gran parte di ciò che abbiamo imparato sulla gestione dei sistemi reali è cominciato con l'agricoltura, in particolare col lavoro dell'orticoltore Liberty Hyde Bailey, dell'agronomo Albert Howard in India, del forestale Aldo Leopold, degli agro-ecologi Miguel Altieri e Stephen Gliessman, del genetista delle piante Wes Jackson, dell'esperto di gestione Alan Savory e da agricoltori ecologicamente esperti come Joel Salatin. La lezione più importante che viene dal loro lavoro collettivo è che la terra è un organismo che si evolve composto della parti interconnesse di suoli, idrologia, biota, vita selvaggia, piante, animali e persone. Se la sostenibilità è l'obbiettivo, la terra non può essere gestita come una fabbrica né i profitti che genera essere misurati dai propri rendimenti a breve termine. Gestita come un organismo, la terra limita la dimensione e il tipo di pratiche di agricoltura e silvicoltura e alla fine delude tutte le aspettative che superano la sua capacità di carico. La buona gestione della terra richiede pazienza, una memoria affidabile a lungo termine, ampi margini altrimenti conosciuti come precauzione e, come ci ricorda Wendell Berry, amore.

E' vero che le redditività non può essere più alta del tasso al quale il Sole può essere trasformato in materiale vegetale e in carne animale senza diminuire la produttività futura. I termini rigorosi, una fattoria sostenibile è una tenuta in equilibrio da input naturali di luce solare, acqua, decomposizione di piante, letame animale ed una intelligenza osservatrice e competente sia dell'agricoltore sia della cultura rurale. Come i sistemi naturali che imita, una fattoria sostenibile è sempre una policoltura e dipende dalle sinergie fra le sue varie componenti, dai suoli ai microbi agli animali. L'agricoltura industriale, al contrario, è sussidiata da combustibili fossili, fertilità importata, gestione chimica degli infestanti e capitale preso in prestito. E' una parte dell'economia estrattiva che sfrutta suoli, minerali, geni e gente indifferentemente. Ed è sempre una monocoltura mirata a fare profitto sul breve termine. La differenza fra l'agricoltura industriale e quella ecologica le pone ai margini estremi di un continuum che definisce la resilienza.

L'edilizia ecologica è un'altra fonte di istruzione pratica sui sistemi. Fino all'avvento del movimento dell'edilizia verde, il processo avveniva in serie: gli architetti facevano il progetto di base e passavano i progetti agli ingegneri per scaldarlo, raffreddarlo, illuminarlo e sigillarlo. Questi, a loro volta, li passavano ai paesaggisti per far sì che sembrassero appartenere al luogo in cui la casualità dei prezzi dell'edilizia e spesso la cattiva pianificazione li avevano fatti cadere. Gli incentivi – finanziari, legali e di reputazione – richiedevano che la struttura fosse sovra-riscaldata, sovra-raffreddata e costruita in modo eccessivo – quindi eccessivamente costosa. Gran parte del profitto veniva fatto sull'eccessiva ridondanza, un po' come fare sedie con 8 gambe quando il carpentiere viene pagato per ogni gamba in più.


Foto: Stuck in Customs / Flickr. Cultivar di ‘Nastro Scarlatto' in Tasmania. Il termine “cultivar” è stato coniato la prima volta da Liberty Hyde Bailey, ed è definito come una pianta le cui origini o la cui selezione sono il frutto principalmente dell'attività umana. 

I primi progettisti ecologici come Sim van der Ryn, Bob Berkebile, Bill McDonough, Pliny Fisk e il Consiglio per l'Edilizia Verde degli Stati Uniti sono stati pionieri di un approccio diverso per progettare che ha ottimizzato l'intero edificio come un sistema, non come i suoi componenti separati. Un involucro dell'edificio più stretto e meglio isolato, per esempio, significava ridurre di dimensione i sistemi di aerazione, riscaldamento e di condizionamento d'aria e la riduzione dei costi di esercizio a lungo termine migliorando il comfort per gli esseri umani. Analogamente, l'illuminazione creativa della luce naturale ha migliorato l'estetica e la produttività degli occupanti, riducendo le bollette per l'illuminazione e, ancora una volta, i costi a lungo termine. Ma il beneficio più grande del “progettazione biofila” è stato il fatto umano stesso che siamo più felici, sani e più produttivi in luoghi accuratamente calibrati per i nostri cinque sensi. (10) Ci sono altre aree di applicazione della conoscenza sistemica, ma in confronto all'architettura, nessuna è così facile da afferrare o così persuasivamente istruttiva sui modi in cui possiamo migliorare la gestione di altri sistemi. Tuttavia, queste offrono intuizioni diverse.

Le fattorie ed i sistemi naturali operano ad una velocità d'orologio minore rispetto agli edifici. L'agricoltura richiede la pazienza appropriata per la stagione agricola e per i cicli che governano fertilità e fecondità. Possiamo manipolare alcune delle variabili inerenti all'agricoltura, ma gli schemi più ampi di suoli, idrologia, biota, natura selvaggia, meteo e così via hanno stagioni e cicli rispetto ai quali siamo stranieri e intrusi. Nella misura in cui possiamo gestire in assoluto, la prudenza ci imporrebbe di lasciare ampi margini per adattare la nostra ignoranza ed altre mancanze. Gli edifici, o ciò che goffamente chiamiamo “l'ambiente costruito”, dall'altra parte, sono creazioni umane. I progettisti sono protettivi dei propri misteri e dei funzionamenti interni in modi in cui non possiamo essere nei confronti dei sistemi naturali delle fattorie. Anche così, i costruttori vengono spesso sorpresi dal comportamento imprevisto dei sistemi meccanici, degli errori di progettazione e del comportamento umano in ciò che dovevano essere strutture ben progettate.

C'è una terza fonte di conoscenza dei sistemi disponibile nello studio del corpo. Walter Cannon in La Saggezza del Corpo (1932), per esempio, ha introdotto la nozione di “omeostasi” come modo di spiegare come “il materiale straordinariamente instabile” dei nostri corpi in “libero scambio col mondo esterno” persista miracolosamente per molti decenni. (11) Il professore di Yale e Fisico Sherwin Nuland, in un libro dallo stesso titolo, ha descritto in seguito (1977) il processo con queste parole: “Sempre in allarme per i pericoli onnipresenti all'esterno o all'interno, mandando incessantemente segnali mutualmente riconoscibili per tutta la sua immensità di tessuti, fluidi e cellule, il corpo animale è un dinamismo di consistenza responsabile. Con incalcolabili trilioni di agenzie di correttivi alimentati da energia, le alterazioni inappropriate vengono bilanciate e i cambiamenti sono o sistemati o messi nel modo giusto – tutto nell'interesse di quella stabilità equilibratrice che è la condizione necessaria dell'ordine e dell'armonia dei sitemi viventi complessi... La sua capacità di comunicare all'interno di sé stesso e con l'ambiente esterno è la base della sostenibilità di un animale di fronte alle molte forze incessanti che non smettono mai di minacciare la sua esistenza”. (12)

L'idea del corpo come sistema complesso potrebbe avere portato ad una visione sistemica della medicina e della cura, colmando il divario fra medicina occidentale ed orientale. Ma la pratica della medicina occidentale in quel momento era scrupolosamente riduzionistica ed immune all'insegnamento proveniente da altre culture. (13, 14) Immersi nella maniera occidentale della scienza, i fisici tendono ancora a diagnosticare le malattie senza cause profonde, a guarire malattie isolatamente come se il corpo fosse una macchina rotta e a prescrivere come se gli effetti dei medicinali non di propagassero in tutto il corpo. Il risultato è che le soluzioni spesso diventano la fonte di nuovi problemi e l'inizio di circoli viziosi. La stessa cosa, tuttavia, potrebbe essere detta di gran parte, se non di tutti, i campi di affari, economia, politica pubblica e tecnologia. Se applicato a fattorie, edifici o a corpi, il pensiero sistemico non è facile, ma l'essenza è l'interezza – vale a dire l'integrazione armoniosa delle varie componenti. E' evidente in diversi indicatori della salute: ecologico, sociale e umano. Così, cosa ci può insegnare il pensiero sistemico su come gestire meglio le aree urbane?

Città e pensiero sistemico

Per affrontare la domanda “che tipo di problema costituisce una città”, Jane Jacobs una volta ha scritto:

“Si dà il caso che le città siano dei problemi della complessità organizzata … presentando 'situazioni nelle quali una mezza dozzina o persino diverse dozzine di quantitativi variano tutti simultaneamente e in modi sottilmente interconnessi'. Le città, di nuovo come le scienze della vita, non mostrano un problema nella complessità organizzata, che se fosse capito spiegherebbe tutto. Possono essere analizzate in molti problemi o segmenti tali che, come nel caso delle scienze della vita, sono anche collegati fra di loro. Le variabili sono tante, ma non sono alla rinfusa. Sono 'interrelate in un intero organico”. (15)


Foto: cjuneau di Ottawa, CANADA / CC BY 2.0. Ciò che appare essere un campo di grano nel centro di Ottawa in realtà è un tetto verde in cima al Museo di Guerra Canadese.

La sfida, quindi, è quella di far transitare la complessità urbana costruita su un modello industriale e progettata per automobili, espansione e crescita economica verso luoghi coerenti, civili e duraturi. I governi urbani sono stati posti sotto stress in un mondo con più persone, più “cose” ed aspettative più alte – il tutto che si muove a velocità sempre maggiore. Nelle parole di Peter Senge, “la specie umana ha la capacità di creare di gran lunga più informazioni di quante chiunque ne possa assorbire, di favorire un'interdipendenza di gran lunga maggiore di quella che chiunque possa gestire e di accelerare il cambiamento in modo di gran lunga più veloce della capacità di chiunque di tenere il passo”. (16) Ai gestori dei sistemi urbani è richiesta la capacità di passare “dal vedere parti al vedere gli interi, dal vedere le persone come indifesi e reattivi al vederle come partecipanti attivi nel plasmare la loro realtà, dal reagire al presente al creare il futuro”. Tutto questo è più facile a dirsi che a farsi. Non giungerà come una sorpresa ai funzionari cittadini che le aree urbane, come ha scritto Donella Meadows, sono “sistemi di retroazione auto-organizzati, non lineari e sono intrinsecamente imprevedibili [quindi]... non possiamo mai capire pienamente il nostro mondo, non nel modo in cui la nostra scienza riduzionista ci ha portati ad aspettarci”. (1)

La gestione resiliente richiede la calibrazione di due tipi di sistemi non lineari: sociale ed economico, per esempio leggi, regolamenti, tassazione, politiche, elezioni e mercati coi sistemi ecologici, per esempio biologia, idrologia, geologia, natura selvaggia, climatologia ed uso della terra. Questi sistemi funzionano su scale temporali diverse e su processi diversi come parte di un intero che chiamiamo biosfera. Ma non sono uguali. Gli espedienti umani – economie, tecnologie, politiche e comportamento sociale – alla fine si devono adeguare alle realtà biofisiche o affrontare la disintegrazione. Le prospettive sistemiche e gli strumenti di gestione possono aiutarci ad affrontare meglio le complessità dei sistemi non lineari interattivi. Abbiamo progettato i sistemi dai quali siamo governati e riforniti e possiamo riprogettarli. Ma solo, nella parole della Meadows, se le persone che li gestiscono “fanno molta attenzione, partecipano a tutto spiano a rispondono alle retroazioni”. 

Una prospettiva sistemica alla gestione urbana è una lente attraverso la quale possiamo vedere più chiaramente nella nebbia del cambiamento e gestire potenzialmente meglio le complesse relazioni di causa-effetto fra i fenomeni sociali ed ecologici. Ciò aiuterebbe a compensare la nostra cronica incapacità di prevedere le conseguenze del nostro comportamento. La conoscenza della struttura del sistema e delle regole operative potrebbe aiutare a migliorare la resilienza in un modo che si scalda rapidamente disseminato di eventi di “cigno nero” e forse a prevedere conseguenze contro-intuitive che arriverebbero altrimenti come sorprese. L'applicazione dell'analisi sistemica non è una panacea, ma offre almeno sei possibilità di migliorare la gestione urbana. 

Per prima cosa, per affrontare un'opprimente cacofonia di dati grezzi, l'analisi sistemica può aiutare i governi ad organizzare le informazioni per distinguere i segnali ecologici dal rumore. Una città è una schiera complessa e confusa di input ed output: combustibili, cibo, materiali, acqua e così via entrano e biossido di carbonio, acque reflue, calore residuo, inquinanti, rifiuti e tutta una serie di altre cose escono. Se una città fosse posta sotto una cupola di vetro immaginaria con gli input e gli output che entrano ed escono in tubazioni chiaramente segnate, capiremmo questi flussi entropici e le loro interazioni in modo più diretto. E' possibile, tuttavia, capire meglio la città attraverso dei modelli che mostrano le transazioni ecologiche in modo tanto diligente quanto un contabile traccia i flussi di denaro. I modelli della città come sistema di input ed output ecologici sono uno strumento utile per mettere dati apparentemente sparpagliati e confusi nel loro contesto ecologico più ampio per migliorare le decisioni prese attraverso i settori, i dipartimenti e le agenzie. 

Secondo, i dati necessari per capire i flussi di risorse e il contesto ecologico allargato di una città possono essere diffusi per educare la cittadinanza a capire le relazioni fra il proprio comportamento e le proprie prospettivie ambientali ed ecologiche. L'uso di internet e la diffusione di schermi per il pubblico (lavagne) piazzate in edifici, chioschi cittadini, impianti sportivi, biblioteche, hotel e scuole per tracciare e mostrare i dati su flussi di risorse, emissioni di carbonio, investimento, modelli di uso del suolo, proprietà e atteggiamenti pubblici – e le loro interazioni – può essere uno strumento potente per educare i cittadini su retroazioni, contatti e ritardi fra azioni e risultati e per aumentare la comprensione dei problemi complessi. (17) Il risultato potrebbe essere un'educazione ampiamente accessibile e conveniente sulle dinamiche fondamentali delle interazioni biofisiche, sociali ed economiche. 

L'analisi sistemica può aiutare, per terza cosa, a migliorare la pianificazione e la previsione. I capi eletti in molte città post industriali come Detroit hanno dato per scontato che i bei tempi sarebbero durati per sempre e sono stati colti alla sprovvista quando sono finiti. L'uso di modelli che chiariscono gli assunti, identificano gli anelli di retroazione e monitorizzano il comportamento del sistema e le condizioni ecologiche, possono aiutare chi prende le decisioni ad prevedere meglio il cambiamento e a pianificare, tassare, fare il bilancio e fare politiche più intelligenti. Guardando avanti, le città in un mondo in rapido riscaldamento devono prepararsi a grandi tempeste, siccità più prolungate, interruzioni delle forniture e alla turbolenza economica. Queste, a loro volta, dovrebbero influenzare le decisioni su divisione in zone, uso della terra, locazione e tipologia di infrastruttura, codici di costruzione, fornitura di cibo, sviluppo economico, tassazione e preparazione alle emergenze. 

Quarto, gli strumenti dell'analisi sistemica possono aiutare a migliorare la qualità delle decisioni urbane. Per avere una patente di guida, per esempio, si deve fare un corso e passare un esame. Ma per i funzionari incaricati di gestire gli affari pubblici non è virtualmente richiesta alcuna prova di nessuna comprensione di base di come funziona il mondo come sistema fisico e delle dinamiche che governano le interazioni dei sistemi sociale e naturale. Saremmo giustificatamente intolleranti di fronte a funzionari che non fossero in grado di leggere o di contare, ma l'analfabetismo ecologico – un problema ugualmente grave – non causa nessuno sgomento di nessun genere. Come parte del loro orientamento di routine per il governo della città, ai funzionari – eletti e nominati – dovrebbe essere richiesto di superare un'esame di base in ecologia e dinamica dei sistemi. Se mai questo si dovesse realizzare, gli obbiettivi sarebbero (1) aumentare l'efficacia delle decisioni aumentando la consapevolezza di come funzionano le aree urbane come sistemi sociali ed economici che interagiscono con sistemi naturali e (2) di dotare i capi di strumenti di analisi e previsione migliori coi quali gestire gli affari pubblici. 

Quinto, l'analisi sistemica può aumentare il comportamento organizzativo. La capacità di rispondere alle retroazioni viene inibita da molti fattori. Può venire bloccata quando la paura, il pensiero di gruppo e la compiacenza paralizzano la presa di decisioni. Piuttosto che sopprimere il dissenso, l'analisi sistemica può aiutare a chiarire le differenze di opinione non prese in considerazione incorporate nei paradigmi competitivi e nei modelli mentali. David Cooperrider e Peter Senge hanno sviluppato delle tecniche per facilitare il pensiero sistemico a costruire una comunità organizzativa intorno a visioni comuni. Il loro obbiettivo è quello di permettere ai membri delle organizzazioni di vedere sé stessi come attori di un'impresa che prendono decisioni che comportano retroazioni, cambiamenti di passo, proprietà emergenti, riserve e flussi che aumentino la consapevolezza dell'agenzia nel causare una conseguenza piuttosto che un'altra. 

Infine, il pensiero sistemico può portare ad un maggiore realismo e a politiche pubbliche di precauzione per la semplice ragione che gran parte dei sistemi sono non lineari e pertanto intrinsecamente imprevedibili. Da una prospettiva sistemica, dovremmo progettare le politiche di tutti i tipi con ampi margini, previsioni coperte e ridondanza. Ogni soluzione specifica dovrebbe risolvere più di un problema senza causarne di nuovi. L'obbiettivo, in breve, è quello di costruire istituzioni ed organizzazioni più intelligenti e più adattabili, che siano in grado di imparare e prevedere, agenzie intelligenti e “resistenti all'errore”, nell'intersezione dell'azione umana e delle realtà biofisiche. Da una prospettiva sistemica, non esistono cose come gli “effetti collaterali”, solo le conseguenze logiche derivate da regole e comportamento del sistema. Cambiamento climatico, buchi nell'ozono, ammassi tumorali e vortici di rifiuti delle dimensioni del Texas che galleggiano nel mezzo dell'Oceano pacifico non sono effetti collaterali della crescita economica, la le conseguenze prevedibili di un sistema progettato per crescere a tutti i costi. Analogamente, da una prospettiva sistemica, esistono pochi incidenti – solo la mancanza di previsione istituzionalizzata è un errore nel modo in cui è organizzato un sistema specifico. Il punto, nelle parole di Senge, è che “tutti condividiamo la responsabilità dei problemi generati da un sistema”. 

Uno sguardo al futuro

L'obbiettivo dell'analisi sistemica e dell'apprendimento organizzativo non è solo di trovare un modo più intelligente perché le città ed altre organizzazioni facciano quello che hanno sempre fatto. Si tratta piuttosto di uno strumento per aiutare a riesaminare gli scopi e le prestazioni relative a circostanze complesse e in rapido cambiamento. Come ogni strumento, la sua efficacia dipende dall'abilità e dalla saggezza di chi lo usa. L'analisi sistemica non è magica, non può dirci cosa modellare o cosa vale la pena di fare e cosa non fare. Può aiutare a vendere più acqua zuccherata con caffeina nel mondo causando obesità, diabete e carie ai denti, oppure può aiutarci a capire perché queslla sia una brutta cosa da fare. Non renderà lo stupido e l'insensibile saggio e premuroso. Non ci dirà niente che si trovi al di fuori dei nostri paradigmi, delle nostre visioni del mondo e delle luci del nostro fuoco da campo personale. Si tratta, dopotutto, solo di uno strumento e non farà niente di più di quello che gli verrà chiesto e niente di più di quanto possa fare mai una qualsiasi tecnica culturalmente vincolata o temporalmente limitata. 

Dobbiamo fornire noi la compassione e il buon giudizio e interessarsi a sufficienza da voler sapere le conseguenze delle nostre azioni. Inoltre, non c'è niente di nuovo nel pensiero sistemico al di là del più alto livello di precisione e del potere analitico intrinseco della sofisticata modellazione computerizzata. Le prime società hanno creato modi complessi per prevedere e limitare certi comportamenti che potevano danneggiare le loro prospettive collettive. (18) Gli Amish ottengono molti degli stessi risultati mantenendo una cultura coerente e sobria (se non restrittiva). Alla fine, l'analisi sistemica applicata a livello di organizzazioni, città e governo regionale ci dà tempo finché il governi nazionali si si mettono al passo. Ad ogni livello, tuttavia, si tratta solo di uno strumento per chiarire le conseguenze delle nostre azioni, identificare le nostre opzioni e estendere un po' la nostra capacità di previsione. E non si tratta di piccoli vantaggi. 

Riferimenti

1. Meadows, Donella  Thinking in Systems 11 (Chelsea Green, White River Junction, VT, 2008).
2. Jervis, R. Effetti dei Sistemi 5 (Princeton University Press, Princeton, 1997).
3. Hardin, G. La Cibernetica della Competizione. Prospettive di biologia e medicina 7, 77 (autunno 1963).
4. Schultz, A. Raccolta di articoli privata per un corso all'Università della California, anni 70 e 80.
5. Buckley, W. Ricerca sui Sistemi Moderni per Scienziati Comportamentali (Aldine, Chicago, 1968).
6. Hoagland, E. Coas penserebbe Esopo di quello che facciamo al Pianeta. New York Times (24 marzo 2013).
7. Lazarus, RJ. Fare le Legi Ambientali 30, 33 (University of Chicago Press, Chicago, 2004).
8. Lazarus, RJ. Problemi super maligni e cambiamento climatico: limitare il presente per liberare il futuro. Cornell Law Review 94:1153, 1153-1234 (2009).
9. Lazarus, RJ. Problemi super maligni e cambiamento climatico: limitare il presente per liberare il futuro. Cornell Law Review 94:1153, 1153-1234 (2009).
10. Kellert, S. Progettazione biofila (John Wiley, New York, 2008).
11. Cannon, WB. La Saggezza del Corpo (Norton, New York, 1932, 1963).
12. Nuland, S. La Saggezza del Corpo 355-356 (Knopf, New York, 1977).
13. Kaptchuk, T. La ragnatela che non ha tessitore (Contemporary Books, New York, 2000).
14. Normile, D. La nuova faccia della medicina tradizionale cinese. Science 299, 188-190 (gennaio 2003).
15. Jacobs, J. La morte e la vita delle grandi città americane 433 (Vintage, New York, 1961).
16. Senge, P. La quinta disciplina 69 (Doubleday, New York, 1990, 2006).
17. vedi articolo di J. Petersen in questo numero.
18. Lansing, S e Clark, W. Preti e programmatori: tecnologie di potere in un panorama progettato (Princeton University Press, Princeton, 2007).