domenica 8 luglio 2012

La Grande Scarsità


Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Di Antonio Turiel

Cari lettori,

su questo blog si parla molto dell'arrivo del picco di produzione massima delle risorse non rinnovabili (principalmente del petrolio), momento a partire dal quale la produzione va diminuendo irreversibilmente, nonostante che tipicamente le riserve sfruttabili della risorsa in questione possano essere grandi quanto la quantità già estratta o maggiori. Per semplificare, questo fenomeno (il declino della produzione o estrazione della risorsa) si deve al principio delle “mele che raccogliamo dall'albero”: le prime mele che si raccolgono da un melo sono quelle che si trovano sui rami più bassi e in posizioni più facilmente accessibili. Mentre queste si esauriscono, bisogna fare uno sforzo maggiore per andarsi a prendere le mele che si trovano sui rami più alti, nascoste nelle parti più frondose. Finché le mele facili sono accessibili, che senso ha fare uno sforzo maggiore per procurarsene di difficili? E' antieconomico e inefficiente e, in uno scenario di competizione (per esempio, due persone che competono per raccogliere mele dallo stesso albero) nessuno andrà a raccogliere quelle difficili prima che sia il momento, altrimenti ne raccoglierà meno degli altri. E' per quello che lo sfruttamento della seconda metà delle riserve, quella che si trova oltre il picco, è molto più complicata e incerta della prima, con maggiori possibilità di insuccesso e maggiori rischi, come stiamo disgraziatamente verificando in questi giorni con la tragedia ecologica dell'incidente alla Deepwater Horizon.

Questa mattina mi sono disteso in treno ed ho letto questo articolo sul picco della pesca negli oceani del mondo. Le risorse ittiche sono di principio rinnovabili, quindi a prima vista può risultare paradossale che si parli di picco di una risorsa rinnovabile. Tuttavia, quando si sfrutta una risorsa rinnovabile a un tasso più alto di quello di sostituzione (in ogni ciclo vitale si estrae più di quello che la natura può recuperare per sostituzione dal ciclo stesso), la matematica ed il comportamento di quella risorsa sono esattamente come se non fosse rinnovabile, con un tasso di estrazione effettivo dato dall'eccesso del tasso di estrazione reale sul tasso di sostituzione. Per questo, se sovrasfruttiamo una risorsa rinnovabile, possiamo portarla al suo esaurimento. Alla fine, l'articolo che leggevo indicava che verso il 2000 eravamo arrivati al picco di estrazione ittica (dati della FAO) e che se non cambiamo radicalmente la nostra politica di sfruttamento, in 20 o 50 anni distruggeremo la risorsa completamente (d'altro canto è complicato questo cambiamento, poiché implica un colpo al modus vivendi di 500 milioni di persone che si dedicano alla pesca nel mondo). In questo, le risorse rinnovabili di natura ecologica si comportano in modo diverso dalle non rinnovabili, visto che possono sparire completamente e la loro popolazione deve essere superiore ad un numero minimo per evitare che collassino in modo spontaneo.

Ma alla fine, ciò che della notizia ha richiamato di più la mia attenzione (a parte la nostra insensibilità di fronte a tragedie ecologiche immani) è stata la data del picco: più o meno il 2000. E' curioso. Il picco di estrazione dell'oro è stato approssimativamente nel 2000, anno in cui, come abbiamo già commentato, c'è stato anche il picco dell'energia estratta dal carbone (il picco del volume recuperato di carbone sarebbe intorno al 2025). Il picco di estrazione del petrolio greggio (quello che si estrae dai pozzi) è stato nel 2005 e quello della produzione totale di petrolio (includendo il petrolio sintetico generato usando gas a partire dalle sabbie bituminose e i biocombustibili) è stato in pratica lo stesso anno, nonostante il plateau in cui si trova la produzione di petrolio abbia alcuni picchi occasionali, se si guardano i dati mese per mese (al momento il massimo si trova a 86,9 milioni di barili di media a luglio 2008). L'uranio, come abbiamo detto, perderà un terzo della propria produzione in un paio d'anni, a causa all'esaurimento delle riserve di uranio che sono state estratte ed immagazzinate negli anni 80 e il suo picco geologico sarà intorno al 2035. In quanto al gas naturale, del quale scriveremo prossimamente, nonostante i giacimenti di gas di scisti molto in voga negli Stati Uniti in questo momento, il suo picco arriverà prima di 20 o 30 anni. Ma quante risorse stanno arrivando al picco, se non lo hanno già superato? Secondo uno studio che cito frequentemente, “Sempre e sempre meno” (Continously less and less), di 58 risorse naturali non rinnovabili analizzate, 50 hanno già superato il picco negli Stati Uniti e 14 lo hanno fatto in tutto il mondo (e questo senza contare il petrolio, del quale si discute ancora) e probabilmente altri 38 arriveranno al proprio picco mondiale prima che passino 20 anni (qui riporto tutte le risorse che in questo articolo hanno un rapporto riserve/produzione inferiore ai 60 anni). Questo esaurimento simultaneo di tante risorse è ciò che ha portato Richard Heinberg a coniare il termine “Il Picco di Tutto” (Peak Everything).

Ciò che richiama la mia attenzione è che tante risorse arrivino al picco in uno stesso periodo relativamente breve (due o tre decenni). La mia intuizione di fisico statistico mi dice che questa non è una coincidenza. In mancanza di un modello numerico per provarlo, mi occorre un'ipotesi ragionevole. Probabilmente, questo mercato che alcuni venerano tanto è stato davvero efficace nel momento di aggiustare i prezzi delle risorse in funzione della loro relativa abbondanza ed efficienza. Per esempio, se la caloria del petrolio è più conveniente di quella del carbone, consumeremo più petrolio fino a che i prezzi non si equilibrino e costruiremo le infrastrutture adeguate ad ogni tipo di combustibile in modo da trarne il massimo. In questo modo, l'evoluzione delle loro produzioni è estremamente interconnessa. Questo tipo di comportamento di sicuro confermerebbe che il mercato non è in grado di integrare effetti a medio e lungo termine; mi ha sempre meravigliato che la diminuzione delle risorse (la prevedibile mancanza di risorse in futuro, diciamo) non abbia ripercussioni dirette sul prezzo, in modo che i prezzi crescano progressivamente all'approssimarsi del picco, prima di aspettare direttamente che la domanda superi l'offerta (per esempio, nel luglio 2008, durante il quale la domanda superava del 2% l'offerta) e crei problemi, interruzioni, distruzione della domanda e volatilità. Ma questo è più un tema per Acorazado Aurora ...

Ora, questa evoluzione coordinata delle diverse risorse genera una tempesta perfetta. Se avessimo avuto la fortuna di raggiungere il picco del carbone o del gas alcuni decenni prima del petrolio, la dura lezione della scarsità dei primi avrebbe avuto un grande effetto pedagogico e avrebbe aiutato a prepararsi alla scarsità del secondo. Ma se tutte le materie prime, in particolare quelle energetiche, hanno un'evoluzione parallela e giungono al loro picco con poca differenza di tempo, non avremo tempo per reagire e non potremo cambiare combustibile, visto che anche le alternative si stanno esaurendo. Dopo molti decenni di crescita interrotta solo dalle guerre, il mondo giunge alla Grande Scarsità, il momento in cui tutto quello che potrebbe mancare manca tutto in una volta. E la popolazione non è psicologicamente preparata a questo, perché nessuna generazione vivente ha sperimentato il declino di alcuna risorsa, anzi il contrario, queste sono sempre aumentate sotto la pressione della nostra domanda, come se la Natura fosse pronta a soddisfare le nostre necessità (il che rialimenta teorie della cospirazione, come quella difesa da un lettore in un post precedente, prima di accettare che abbiamo realmente un problema di risorse). Non abbiamo vissuto nessuna scarsità , le abbiamo sempre risolte, come potremmo accettare l'arrivo della Grande Scarsità? La Grande Scarsità sarà, oltretutto, particolarmente crudele, visto che l'estrazione di molte risorse minerali ed energetiche dipendono dalla facile e veloce fornitura di petrolio a buon mercato. Molte delle miniere che vengono sfruttate oggigiorno si trovano in località remote, accessibili soltanto con camion, i martelli pneumatici usati per scavare sono alimentati da compressori a loro volta alimentati a combustibile, l'elettricità che si usa lì viene generata in situ con gruppi elettrogeni alimentati a combustibile,ecc. Mancando il petrolio, tutte le altre materie rincarerebbero e diventerebbero più scarse di quanto non prevedano i modelli. Le crescenti inefficienze nell'estrazione, raffinamento, trasporto e fornitura, alla fine, farà sì che il declino sia più improvviso di quanto sperato, che la discesa per il lato destro della curva di Hubbert sia più irregolare di quanto prevede il modello.

E' tardi, devo andarmene a dormire e non ho potuto dire tutto quello che volevo, forse un altro giorno. Ma vorrei finire, e che Massimo Decimo mi perdoni (perché so cosa ne pensa a riguardo), facendo un riferimento al Club di Roma. Lo faccio perché all'inizio dicevo che non ho fatto un modello numerico per vedere lo schema di consumo delle risorse, ma neanche manca, il modello è stato già fatto, quaranta anni fa. I risultati dell'analisi di quel modello sono stato raccolti in un libro famoso e controverso, I Limiti dello Sviluppo (Limits to Growth), le cui previsioni, recentemente riviste, disegnano un destino molto chiaro per l'umanità se non si affronta il problema delle risorse, dell'inquinamento ambientale e della popolazione: l'estinzione. Allora il libro è stato vituperato dai grandi potentati politici, economici e religiosi, perché implicava un radicale cambio di orientamento. I leader del Club di Roma sono stati esposti al pubblico ludibrio, le loro previsioni distorte per poi essere ridicolizzate. La loro disciplina è virtualmente scomparsa dal mondo accademico e il loro lavoro del tutto ignorato. Soltanto che ora, quaranta anni dopo, ha un gran valore. Abbiamo perso quarant'anni. Tutta la mia vita.

Saluti.

AMT

sabato 7 luglio 2012

Ahia... che caldo!

I record di temperatura battuti negli Stati Uniti nell'ondata di calore di questa estate. (da "Tamino")

mercoledì 4 luglio 2012

La Grande Reazione chimica: Vita e Morte di Gaia

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Questo testo è una versione scritta della conferenza che ho tenuto a Desio (vicino a Milano) ad un incontro organizzato dal Centro Culturale Luzzati il 30 gennaio 2012. E' più breve rispetto alla presentazione orale, ma cerca di mantenerne lo spirito e il ritmo. 


Buonasera a tutti, sono felice di essere qui oggi. Sapete, ogni volta che tengo una conferenza cerco di dire qualcosa di diverso, altrimenti sarebbe noioso per me e, forse, anche per voi. Quindi, stavolta ho pensato che averi potuto fare qualcosa di vicino al mio lavoro. Dopo tutto, io insegno chimica. Non dovrei quindi insegnarvi un po' di chimica? Così, ho pensato che avrei potuto cominciare presentandovi una reazione chimica. Eccola:


Be', dopo un po' che fai presentazioni diventi in qualche modo telepatico. Quindi so cosa state pensando. Sì: posso leggere nelle vostre menti e so che questa immagine vi rende felici, non è vero? A proposito, l'uscita è laggiù in fondo. Se volete, potete uscire gridando “ho dimenticato di chiudere il gas!”. 

Be', nessuno sta scappando via e questo è bene. Ho detto che so cosa state pensando ed è vero – senza esagerare, naturalmente! State pensando che le reazioni chimiche sono noiose. E sono d'accordo con voi: le reazioni chimiche sono molto noiose. Posso dirvelo: ho studiato chimica, insegno chimica ed ho lavorato nella chimica per tutta la mia vita. Dovrei saperlo!

Allora, perché i chimici amano le cose che odiano – per così dire, sono masochisti o cosa? Be' no. Forse vi sto chiedendo di credere qualcosa di troppo estremo, ma lasciate che vi dica una cosa: la chimica non è noiosa! La chimica è affascinante, interessante e addirittura divertente. E la chimica non sono le reazioni chimiche. Le reazioni chimiche sono solo una scorciatoia che nasconde le cose davvero interessanti. Se guardate ai simboli, certo, è noiosa. Se invece guardate a cosa descrivono i simboli, se guardate dentro, non è la stessa cosa. Potrebbe essere una cosa interessante, come dicevo potrebbe essere divertente, potrebbe essere affascinante. Sapete, quando ero una matricola in chimica, ho dovuto frequentare un buon numero di laboratori di chimica. C'erano molte belle ragazze nella mia classe ed indossavano tutte camici in laboratorio – non proprio sexy come indumenti. Ma questo era solo l'esterno: quello che era affascinante era l'interno! 

Quindi, spero oggi di potervi mostrare che la reazione specifica che vi mostro oggi nasconde qualcosa di enormemente interessante. E' chiamata “Erosione dei Silicati” ed è la base della vita sulla Terra. Nel modo in cui l'ho scritta è molto semplificata, in realtà è molto più complessa di così. Ma possiamo prenderla in questa forma in modo da capirla. Se quella reazione non fosse avvenuta tutto il tempo sul nostro pianeta, io non sarei qui, voi non sareste qui e nemmeno quelle belle ragazze che ho incontrato durante il periodo in cui ero studente sarebbero mai esistite. Niente di vivo su questo pianeta esisterebbe. L'entità che chiamiamo Gaia non esisterebbe. Lasciatemi spiegare. Cosa intendiamo esattamente con “Gaia”? Penso che il meglio che possa fare sia mostrarvi un'immagine:


Sono sicuro che riconoscete questa immagine; è “Pandora” dal film “Avatar”. Ora, possiamo dire che Pandora è una specie di Terra palestrata. E' lussureggiante, piena di vita e affollata di creature: draghi, mostri, cascate, alberi, montagne, nuvole; tutto questa roba insieme. Naturalmente, Pandora è un mondo di fantasia, ma stiamo scoprendo per davvero un sacco di nuovi mondi nella Galassia, molti dei quali sono circa della stessa misura della Terra e alla distanza giusta dal loro Sole. Quindi potrebbero ben ospitare vita organica simile alla nostra, come accade a Pandora nel film Avatar. Non possiamo dire con certezza se tali mondi esistano, ma una cosa che possiamo dire è che – se esistono – la reazione che vi ho mostrato prima deve avvenire anche lì. Un mondo senza la reazione di erosione dei silicati in corso è come Marte o Venere. Nessuna reazione di erosione dei silicati, niente vita.  

Lasciate che vi spieghi: per fare in modo che la vita esista, ci devono essere alcuni materiali che la rendono possibile. Ci deve essere ossigeno da respirare, per esempio. Ma, ancora più importante dell'ossigeno, c'è una molecola che chiamiamo biossido di carbonio (una volta si diceva "anidride carbonica", ma è un termine obsoleto) e che scriviamo come CO2, pronunciata ci-o-due. Sapete che il biossido di carboimo è il materiale che è alla base della fotosintesi delle piante, che è ciò che mantiene tutto in vita su questo pianeta. Se Pandora è così lussureggiante e bella, deve avere CO2 nell'atmosfera, proprio come la Terra. Le piante fanno reagire la CO2 con l'idrogeno estratto dall'acqua e da questa reazione creano materia organica che viene poi usata per gli esseri viventi. In un certo senso, il CO2 è il cibo di Gaia ed anche il suo sangue, la sua linfa ed altro. 

Ma, quindi, se il CO2 è il cibo di Gaia, c'è un problema. Il CO2 è una molecola reattiva ed ecco dove la reazione che ho scritto si verifica: 


Vedete che questa reazione contiene biossido di carbonio: CO2, sulla sinistra. E vedete che questo CO2 reagisce con qualcosa che è scritto come “CaSiO3”, che posso leggere come “silicato di calcio”. Ora, la reazione (tenete a mente che è molto semplificata) dice che l'anidride carbonica reagisce con i silicati della crosta terrestre per creare carbonati (CaCO3) e silice (SiO2). Quindi un gas, anidride carbonica, reagisce con la roccia per creare più roccia. E, se deve creare quelle rocce, il carbonio che una volta formava la CO2 diventa carbonato, che è solido. Lasciate che vi mostri: 


Questa è una roccia erosa dalla pioggia. Vedete? Non è l'acqua che scioglie la roccia, ma il CO2 che reagisce con la roccia e la corrode. Facendolo, il CO2 scompare. Chiaramente, è un processo molto lento. Non vedete rocce spazzate via dalla pioggia, ameno che non vogliate aspettare molto, molto a lungo. Quanto a lungo? Be', parliamo di tempi geologici; milioni di anni, ma non è quello il punto. La questione è, se la CO2 si consuma nella razione, quanto tempo servirebbe all'atmosfera per perderla tutta? (e notate che le piante comincerebbero a morire molto prima che la CO2 scomparisse completamente). 



Su questo punto, c'è una risposta che potete trovare nel libro del 2001 di Robert Berner,  dal titolo piuttosto impressionante: “Il Ciclo del Carbonio nel Fanerozoico” ( The carbon cycle of the phanerozoic). Berner dice che tutto il CO2 nell'atmosfera terrestre verrebbe consumato dalla reazione di erosione in circa 10.000 anni. In parte, sarebbe rimpiazzata dal CO2 che degassa dagli oceani, ma anche quella fonte si esaurirebbe in circa 300.000 anni. Questi numeri, naturalmente, sono solo ordini di grandezza, ma per ciò che ci interessa qui la loro incertezza non ha grande importanza. La vita sulla Terra esiste da oltre 3 miliardi di anni e deve esserci stata CO2 in atmosfera per tutto questo tempo. Niente CO2, niente vita. Da questo non si esce.

Vedete quindi che siamo arrivati a un paradosso. La reazione di erosione avrebbe dovuto consumare tutto il CO2 in atmosfera molto tempo fa, ma ce n'è ancora un sacco. Almeno a sufficienza per mantenere attiva la fotosintesi e, con essa, tutta la vita sulla Terra. Ma i paradossi sono quasi sempre percorsi per comprendere realtà più profonde e questo non fa eccezione. Torniamo (ancora) alla reazione di erosione dei silicati:


Probabilmente ricorderete da quello che avete studiato alle superiori che le reazioni chimiche non vanno mai completamente in una direzione. Possono andare in entrambi i sensi e si trovano spesso in una condizione di equilibrio in cui i reagenti e i prodotti rimangono in concentrazioni costanti. E potreste ricordare che ci sono condizioni che possono spostare l'equilibrio da una direzione all'altra. Circa la reazione di erosione, di solito diciamo che va da sinistra a destra, come potete vedere dall'immagine della roccia erosa vista prima. Ma se potessimo far andare la reazione da destra a sinistra, allora i carbonati si decompongono e diventano una fonte di CO2. Se questo fosse possibile, avremmo un modo per riportare il CO2 in atmosfera. 

Come potrebbe succedere? Be', un'altra cosa che avrete sicuramente imparato alle superiori è che l'equilibrio di una reazione chimica dipende dalla temperatura. Ci sono buone ragioni basate sulla termodinamica che ci dicono che un composto solido si decompone ad alte temperature. E' ciò che accade ai carbonati, posto che si possano raggiungere temperature nell'ordine di diverse centinaia di gradi Celsius – possibilmente oltre i mille. Ora, dove potete trovare queste temperature sul pianeta Terra?

Molto facile: guardate i vostri piedi. Immaginate di fare un buco di poche decine di chilometri e ci siete. Troverete un'area chiamata il “Mantello”, che è di roccia semi fusa composta principalmente da silicati, ma anche da carbonati. Ecco la struttura interna del nostro pianeta così come la conosciamo oggi. 


Dovete scendere molto in profondità, ma alla fine raggiungerete le temperature che decompongono i carbonati. Ora, a quelle profondità i carbonati si decompongono rilasciando CO2 che viene rilasciato da vulcani, geyser, sorgenti termali e così via. Ed è esattamente ciò che accade nel grande ciclo della CO2 che va sotto il nome di tettonica a placche. Eccola:


Lasciate che vi spieghi un po' quest'immagine. Fa vedere come il fondo dell'oceano si sposti e venga gradualmente spinto nelle profondità della Terra in un processo chiamato “Subduzione”. Tutto ciò che si trova nel fondo dell'oceano è destinato, alla fine, a scomparire nel mantello. Ma anche questo è un ciclo, nella figura potete vedere come ci sia del materiale viene spinto dal mantello alla superficie a formare un nuovo fondo dell'oceano in quelle regioni chiamate “dorsali oceaniche”. Un processo molto lento, ci vogliono milioni di anni per un pezzo di roccia che si trova in superficie sulle dorsali medio-oceaniche per tornare nel mantello. Ma è quello che accade. 

Ora, questo è anche il ciclo della CO2. Vedete, abbiamo detto che la reazione dell'anidride carbonica con i silicati produce carbonati. Questi carbonati finiscono nel fondo dell'oceano, spesso sotto forma di conchiglie di organismi marini morti. E il risultato finale è che i carbonati vengono spinti dentro il mantello, dove fa abbastanza caldo da decomporli in ossido e CO2. Quindi, il CO2 torna in atmosfera sotto forma di eruzioni vulcaniche. 

La cosa bella di tutto ciò è che questo ciclo è la “manopola di controllo” della temperatura superficie terrestre. Il CO2 è il vero termostato che mantiene la Terra né troppo calda né troppo fredda; giusta. Ha fatto questo per miliardi di anni. Come termostato, bisogna dire che non ha sempre funzionato benissimo: abbiamo avuto ere glaciali e qui periodi caldi chiamati a volte “serre planetarie”. Ma, complessivamente, la temperatura della Terra è sempre rimasta entro i limiti che rendono possibile la vita. Diversamente, non saremmo qui. 

Quindi, come funziona il termostato? Per prima cosa, sapete che il CO2 è un “gas serra”. Cattura il calore emesso dalla superficie della Terra comportandosi come una coperta che mantiene il pianeta caldo. Così, più CO2 c'è, più ci aspettiamo che la Terra sia calda. Di conseguenza, la temperatura può essere regolata controllando la concentrazione di CO2 in atmosfera. Ma come può essere fatto? Be, c'è un trucco: la velocità della reazione chimica dipende dalla temperatura. Ed è vero anche per la reazione di erosione dei silicati:


Le alte temperature accelerano la reazione. Quindi, se la Terra diventa più calda, viene consumata più CO2, e ciò riduce le temperature perché la concentrazione di CO2 scende – ricordate che è un gas serra! Se la terra si raffredda accade l'opposto – la reazione rallenta, la concentrazione di CO2 aumenta a causa di tutti quei vulcani e, alla fine, la temperatura torna ai valori precedenti. Visto? Semplice ed efficace.

Naturalmente, come ho detto, questo controllo termostatico è ben lontano dalla perfezione. Comporta tempi nell'ordine di milioni di anni, quindi serve un enorme lasso di tempo al pianeta per recuperare dagli effetti di una perturbazione rapida. Per esempio, circa 250 milioni di anni fa, ha avuto luogo un'enorme eruzione vulcanica in Siberia. Ha emesso così tanto CO2 che l'aumento della temperatura risultante ha quasi ucciso tutta la vita sulla Terra. La reazione di erosione dei silicati, alla fine, ha assorbito tutta quella CO2 e riportato le temperature a valori più accettabili per la biosfera. Ma ci sono voluti milioni di anni. Quindi, se vediamo la registrazione delle temperature, vediamo che oscillano e questo non ci dovrebbe sorprendere poi tanto. Ecco i dati che abbiamo per i 550 milioni di anni passati, più o meno, il periodo cioè che chiamiamo “Fanerozoico”:


Come ho detto, la regolazione non è perfetta, ma il fatto che le temperature oscillino intorno a un valore costante ci dice che c'è una regolazione in atto. Vedete, il punto è che il pianeta ha bisogno di quella regolazione, perché la radiazione solare è lungi dall'essere costante. Aumenta di circa il 10% ogni miliardo di anni, a causa di ragioni che hanno a che fare con l'evoluzione delle stelle. Così, in un periodo di mezzo miliardo di anni, come il Fanerozoico, ci saremmo dovuti aspettare che la temperatura salisse, risultato del fatto che il Sole diventa sempre più brillante. Invece questo non lo vediamo. Quello che vediamo, piuttosto, è una riduzione graduale delle concentrazioni di CO2, come vediamo qui (i dati, ancora una volta, provengono dal lavoro di Berner):






Sì, è irregolare, ma non c'è dubbio che la concentrazione di CO2 sia scesa, in media, durante l'ultimo mezzo miliardo di anni. E se facciamo un piccolo calcolo che tenga conto l'aumento della luminosità solare (lo potete trovare nel libro di Berner), possiamo vedere che le cose tornano bene. La variazione della concentrazione di CO2 è quello che ha mantenuto la Terra né troppo calda né troppo fredda, giusta nella media, durante il passato geologico. 

Ora, immagino che vi stiate chiedendo cosa accadrà in futuro. Come avete visto nella figura, su tempi dell'ordine delle centinaia di milioni di anni, la concentrazione di CO2 tende a scendere e continua a farlo (a parte l'intervento umano in termini di uso di combustibili fossili, ma questo non è parte del sistema di regolazione). Alla fine, arriveremo ad un punto in cui il sistema non può più ridurre la concentrazione. Eh, si, e anche prima che si arrivi a quel punto, non ci sarà abbastanza CO2 per la fotosintesi delle piante. E senza fotosintesi, non può esserci vita sulla Terra – tutto muore.

Questo di fatto è il destino ultimo della biosfera. Di Gaia, se preferite. Quindi, se Gaia è un essere vivente, come tutti gli esseri viventi deve morire. Sarà un processo lento – molto lento per gli standard umani. Ma accadrà. Nella simulazione qui sotto, di S. Franck e altri, potete vedere il lento esaurirsi della biosfera che si dovrebbe estinguere in un miliardo e mezzo di anni nel futuro. Vedete che i vertebrati si dovrebbero estinguere molto prima, forse in meno di un miliardo di anni:


Ed ecco un'immagine del destino finale della Terra. Cioè quello di venire sterilizzata dal Sole che diventa sempre più brillante. Gli oceani evaporeranno e, alla fine, la superficie si fonderà, sottoposta ad un calore tremendo. 



Questo è chiaramente un futuro lontano. Forse, allora, i nostri discendenti, se ce ne saranno, avranno trovato un altro luogo per vivere, intorno ad un'altra stella o da qualche parte nella galassia. La nostra principale preoccupazione è che anche il futuro prossimo potrebbe dare, ai nostri discendenti prossimi, molti problemi con la temperatura terrestre. 

Il problema è che abbiamo armeggiato col termostato senza capire esattamente cosa stessimo facendo. Ed abbiamo emesso in atmosfera una grande quantità di gas che erano stati rimossi dall'atmosfera come parte del meccanismo di regolazione. Gas che erano stati immagazzinati sottoterra sotto forma di ciò che chiamiamo “combustibili fossili”: carbone, petrolio e gas naturale. La perturbazione portata nel sistema è molto grande ed estremamente rapida, se confrontata con qualsiasi evento accaduto nella storia passata della Terra. 









Avrete probabilmente visto questo grafico che è molto, molto preoccupante. Il fatto è che una tale concentrazione di CO2 non c'è mai stata nella storia della Terra durante gli ultimi milioni di anni. Quando abbiamo avuto concentrazioni del genere, decine o  centinaia di milioni di anni fa, il Sole era meno caldo di quanto non lo sia ora e, tuttavia, la Terra era un luogo molto più caldo di quanto non lo sia oggi. Potremmo essere in grado di adattarci ad un pianeta più caldo, ma il processo non sarebbe indolore. Pensate solo che scioglimento delle calotte glaciali continentali sommergerebbe tutte le nostre città costiere.

Non possiamo sperare che il termostato dei silicati ci salverà dal riscaldamento causato dalla CO2. Questa reazione


è dannatamente lenta per i nostri standard. Essa rimuoverà, alla fine, la CO2 che abbiamo emesso dall'atmosfera, ma ci vorranno decine di migliaia di anni, come minimo. Guardate queste simulazioni di Dave Archer e vedrete qual è il problema:


Visto? Parte della CO2 che abbiamo emesso in atmosfera sarà ancora qui fra 40.000 anni da adesso. In realtà ci starà molto più a lungo. Quindi, vedete quanto sia importante la reazione che vi ho mostrato. La reazione di erosione dei silicati è ciò che mantiene “Gaia” viva – o meglio, essa è Gaia. E non fate l'errore di pensare che Gaia sia una Dea e che, in qualche modo, si prenda cura di noi. No. È più corretto dire che Gaia se ne frega di noi – il che è ciò che ci si aspetta da una reazione chimica, dopo tutto. Siamo noi che abbiamo armeggiato con questa reazione chimica e saremo noi a doverne affrontare le conseguenze. 

Alla fine, non possiamo sperare di forzare il pianeta a fare ciò che vogliamo che faccia. Quindi dobbiamo imparare a vivere nel flusso dei cicli della Terra. Per questo, dobbiamo sapere un po' di chimica. La mia idea oggi, era quella di mostrarvi un po' di chimica. Ma più che la chimica, dobbiamo imparare i nostri limiti, altrimenti non sopravviveremo a lungo. 

Questa è la nostra Terra, non un pianeta di fantasia, cerchiamo di conservarla come l'abbiamo trovata:



















lunedì 2 luglio 2012

Un assaggio del tempo che verrà


Prima o poi, ci dovremo ben accorgere che quello che sta succedendo non è "normale", che il cambiamento sta spostando gradualmente il sistema climatico verso una serie di estremi che, in questa estate del 2012, si stanno manifestando come una serie spaventosa di ondate di calore e incendi. La stampa, comincia timidamente ad accennare che, in effetti, c'è qualche correlazione fra queste cose e il riscaldamento globale. Reuters lo dice esplicitamente in questo comunicato del 28 Giugno, arrivando anche a citare le previsioni dell'IPCC che si avverano (traduzione di Ugo Bardi). Immagine da "Desdemona's Despair"


Da Reuters del 28 Giugno 2012

"Quello che stiamo vedendo è una finestra su quello che veramente ha l'aspetto del riscaldamento globale," così ha detto Michael Oppenheimer durante un intervista telefonica. "Ha l'aspetto del calore, ha l'aspetto del fuoco, ha l'aspetto di questo tipo di disastri ambientali.... Questo ci da una vivida immagine di quello che ci possiamo aspettare di vedere sempre più di frequente nel futuro"

In Colorado, gli incendi boschivi che sono divampati per settimane hanno ucciso quattro persone, ne hanno messe in fuga migliaia e distrutto centinaia di abitazioni. Dato che la copertura nevosa era meno spessa e si è sciolta prima, la stagione degli incendi è cominciata più presto del solito nell'Ovest degli Stati Uniti, con incendi fuori controllo in Colorado, Montana e Utah.

Le alte temperature che aiutano a creare questi incendi sono consistenti con le proiezione del Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite che dicono che questo tipo di estremo calore, con scarso raffrescamento nutturno, è uno degli impatti negativi del riscaldamento globale.

sabato 30 giugno 2012

Groenlandia: di male in peggio


Le notizie sul riscaldamento globale si susseguono un po' come quelle della ritirata di Russia della seconda guerra mondiale. Va malissimo, ma si cerca di non parlarne troppo sulla stampa.

L'ultima mazzata che non troverete sulla stampa ci arriva da un recente studio di Box e altri sulla riflettività (chiamata anche "albedo") dei ghiacci della Groenlandia. Come vedete nella figura, la riflettività del ghiaccio diminuisce - specialmente in Estate - col progredire del riscaldamento globale. 

In estate, la fusione del ghiaccio superficiale mette allo scoperto il ghiaccio profondo che è più scuro per vari motivi, incluso la concentrazione di impurezze. Essendo più scuro, il ghiaccio assorbe più calore e si scioglie più velocemente. Un altro caso di "feedback positivo" che sta ulteriormente accellerando la già rapida fusione della calotta di ghiaccio della Groenlandia. Il fenomeno sembra ormai irreversibile o, perlomeno, non abbiamo idea di come o quando lo si potrebbe arrestare.

Ulteriori informazioni li potete trovare sul blog di Jason Box, "meltfactor.org". Ma, di fronte al disastro in corso, forse si può capire anche chi preferisce guardarsi i campionati europei (finché sarà possibile).


venerdì 29 giugno 2012

Importare energia, esportare miseria

Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti. 


Immagine da  http://www.indiacause.com


Il recente ribasso dei prezzi del petrolio ha prodotto una reazione di ottimismo da parte degli operatori, del pubblico e dei politici rispetto alla possibilità che abbiamo di mantenere la produzione attuale a prezzi accessibili. E' un ottimismo forse un po' eccessivo, come ci fa notare Antonio Turiel in questo post uscito su "The Oil Crash" del 4 Maggio 2012




di Antonio Turiel

Cari lettori,

ieri, durante la conversazione su Radio Barbuja, è uscito un tema interessante. Fin dall'inizio del dibattito abbiamo constatato che, secondo i dati dell'ultimo Oil Market Report dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), la produzione di petrolio mondiale è aumentata nel primo trimestre di quest'anno, chiudendo così un periodo di due anni (tutto il 2010 e il 2011) durante i quali la produzione non è stata in grado di soddisfare la domanda e si è dovuto ricorrere alle riserve dell'industria per mantenere un'apparenza di normalità. A prezzi molto alti, questo sì. La parte del leone nel chiudere questo buco l'ha fatta il grande aumento di produzione del OPEC (in gran parte dal progressivo ristabilimento della produzione libica), ma è anche significativa la crescita della produzione degli Stati Uniti. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno aumentato costantemente la loro produzione di petrolio (precisiamo, di tutti i liquidi di petrolio) e stanno già arrivando ai 10 milioni di barili al giorno, come mostrato nel grafico  che segue queste righe, preso dal post “Il mito secondo il quale gli Stati uniti saranno presto esportatori di petrolio” di Gail Tverberg, pubblicato sul suo blog Our Finite World (in inglese).

Immagine da http://ourfiniteworld.com


Sembra, pertanto, che effettivamente gli Stati uniti siano riusciti ad invertire una tendenza di decenni e stiano rimontando la caduta dal momento del loro picco del petrolio, avvenuto nel 1970. In realtà, la tendenza nelle produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti non si è affatto invertita significativamente: quello che sta succedendo veramente è che la produzione di altri liquidi del petrolio sta aumentando molto: biocombustibili, petrolio di scisti (shale oil), liquidi del gas naturale... Tutti petroli sintetici, fabbricati con un enorme ingresso di energia ed altre materie (in genere acqua e gas naturale), con un potere energetico inferiore al petrolio greggio – tipicamente contengono circa il 70% di energia in volume, il che rende il conteggio attuale in milioni di barili molto confuso – e con EROEI molto bassi e che oscillano, a seconda del tipo di liquido, del petrolio e all'autore del calcolo, fra 1,5:1 e 5:1. Se si guarda anche nei dettagli il piccolo aumento di produzione del petrolio greggio, vediamo che esso proviene soprattutto, come osserva Gail Tverberg, dalla produzione di tight oil, petrolio intrappolato in rocce poco permeabili come gli scisti. Questo petrolio ha proprietà simili al petrolio greggio (contrariamente ai petroli di scisto, oil shale, che sono in realtà idrocarburi poco cotti e che poi devono essere lavorati per ottenere un succedaneo del petrolio per sintesi col gas naturale), e se ora si è potuto cominciare a sfruttare è per via dello sviluppo dello sfruttamento del petrolio da scisti, che si estrae col fracking delle lastre di scisto. L'uso di una tecnica tanto complessa ed aggressiva per estrarre una risorsa marginale fa sì che l'EROEI del tight oil sia a sua volta molto basso, in ogni caso inferiore a 5.


Abbiamo, quindi, che gli Stati Uniti stanno aumentando significativamente la loro produzione, ma lo stanno facendo con petroli a basso EROEI. Come sappiamo, esiste un valore minimo o soglia dell'EROEI medio delle fonti energetiche di una società strutturata che alcuni autori situano intorno a 10. Pertanto, si potrebbe dire che l'attuale aumento produttivo degli Stati uniti è un semplice miraggio e se si può mantenere è perché il petrolio greggio che importano ha un EROEI migliore e quindi in questo modo l'EROEI medio statunitense rimane superiore. Tuttavia, abbiamo già visto che il rendimento economico dipende dal rendimento energetico espresso con l'EROEI (salvo se ci sono sovvenzioni che diminuiscono i prezzi, come segnalava puntualmente Juan Carlos Barba ieri), cosicché tale aumento di produzione di petrolio a basso EROEI per l'autoconsumo dovrebbe essere nocivo per l'economia statunitense, visto che riducendosi il suo rendimento energetico si riduce anche quello economico. Ma questo non è assolutamente così: l'economia statunitense, nonostante non sia stata risanata, si mantiene in buona forma in questi primi vagiti della nuova recessione. Come si spiega questo paradosso?

Si spiega perché l'economia statunitense non è un sistema isolato, ma ha una forte interrelazione con il resto delle economie mondiali. Inoltre, gli Stati Uniti hanno una divisa forte, il dollaro, che è accettato in tutte le transazioni internazionali. Quindi, ciò che sta succedendo è che gli Stati Uniti stanno comprando all'estero i materiali che servono per lo sfruttamento interno (i tubi d'acciaio per i pozzi del fracking, i fertilizzanti per coltivare i propri campi, il petrolio greggio che importano...). Pagano tutti quei materiali in dollari, dei quali controllano l'emissione (sapete già che gli Stati uniti sono stati sottoposti a due turni di alleggerimento quantitativo - quantitative easing – il che in soldoni significa stampare banconote a bizzeffe per pagare i propri debiti).

Grazie alla conversione del costo energetico in costo monetario e al deprezzamento energetico reale della moneta, gli Stati Uniti sono in grado di sfruttare una risorsa locale di bassa qualità con un buon ritorno economico. Tuttavia, in termini energetici i conti non tornano. Gli Stati Uniti stanno importando energia contenuta nei materiali che gli vengono venduti da altri paesi ai quali danno un passivo di qualità bassa (JC Barba dixit), i dollari, cioé uno scambio asimmetrico nel quale l'energia rappresentata dalla loro moneta non equivale all'energia contenuta nei materiali importati. Insomma, questo tipo di transazione implica un pompaggio, da parte degli Stati Uniti, delle risorse energetiche del resto del mondo. Gli Stati Uniti possono sfruttare quelle risorse povere locali perché il resto del mondo li finanzia energeticamente.

Se si guarda su scala globale, questo comportamento degli Stati Uniti sta portando ad una diminuzione anticipata dell'energia netta, più rapida di quanto si potesse sperare. La soluzione non convenzionale degli Stati Uniti è buona per quel paese, ma nociva in termini globali. Lo spostamento di risorse per lo sfruttamento delle fonti locali statunitensi di bassa qualità sta facendo in modo, logicamente, che quell'energia non venga destinata allo sfruttamento di altre fonti di miglior rendimento e questo fa diminuire la disponibilità energetica del resto dei paesi. La situazione è simile a quelle di una mischia in mezzo al mare, dove uno si arrampica sull'altro per poter respirare meglio mentre il resto delle persone affoga.

I leader politici europei che guardano con invidia il nuovo paradigma energetico americano si sbagliano completamente nella loro analisi, se credono di poter esportare un tale modello in Europa. Al mondo pesa già mantenere il drenaggio energetico da parte delle risorse non convenzionali statunitensi, difficilmente potrebbe mantenere un altro giocatore allo stesso gioco. In realtà l'euro non è già più tanto forte quanto il dollaro. E in realtà noi ci troviamo nella parte bassa della mischia, forse subito sotto al piede americano, ma con le narici già al pelo dell'acqua. In realtà dovremmo capire che la strategia americana ci fa precipitare più rapidamente verso la scarsità energetica.

Quanto ancora durerà tutto questo? Tanto quanto il dollaro continuerà ad essere una divisa accettata a livello internazionale. Poco a poco i paesi esportatori si renderanno conto che il potere d'acquisto del dollaro fuori e dentro agli Stati Uniti non è lo stesso, che il dollaro costa troppo poco agli Stati Uniti. Forse tenteranno di usare i propri dollari per comprare massicciamente attività nel paese nordamericano, o forse diversificheranno il loro paniere di divise o, semplicemente, smetteranno di accettare dollari. In quel momento sopravverrà un cambiamento di paradigma, la vera rivoluzione che segnerà la fine dell'era presente.  Forse perdurerà altri cinque anni, forse dieci. Forse gli Stati Uniti, grazie a questa strategia, riusciranno rincuorarsi e a respirare confortevolmente durante questi anni di bonus, mentre il resto del mondo precipiterà lungo un declino dell'energia netta in modo più accelerato. Mentre la gran parte di noi affoga, ecco.

Saluti.
AMT



mercoledì 27 giugno 2012

Riprendiamoci la nostra terra

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Lorenza Zambon, attrice e giardiniera, ci racconta la storia di una coppia che ha deciso di demolire alcune loro proprietà e riportare l'area a suolo fertile. Pochi metri quadri guadagnati, circa un trilione ancora da recuperare.



Non è facile determinare l'area del mondo ricoperta da costruzioni umane, cioè da strade, case, parcheggi, edifici, centri commerciali e tutto il resto. Ma è stato fatto molto lavoro in tempi recenti e le stime cominciano a convergere su valori ragionevoli. I risultati per quanto riguarda la percentuale di area coperta con strutture permanenti variano da circa lo 0.5% (Schneider et al., 2009) a circa il 3% (Global Rural-Urban Mapping Project, 2004). Tradotto in aree, questi valori corrispondono ad un minimo di 700.000 chilometri quadrati e ad un massimo di circa tre milioni di chilometri quadrati. Per visualizzare queste aree, pensate che la prima corrisponde approssimativamente alla Francia (550.000 chilometri quadrati) e la seconda all'India (3,2 chilometri quadrati).

A parte quale dei due risultati dovremmo considerare come più affidabile, i dati mostrano chiaramente che gli edifici si trovano prevalentemente in aree fertili e pianeggianti. Lì, la percentuale coperta da strutture è molto più alta della media mondiale. Per esempio, i recenti dati per l'Europa indicano che, nel Gennaio 2012, gli Stati europei più urbanizzati sarebbero l'Olanda e il Belgio con, rispettivamente, il 13,2% ed il 9,8% della superficie. Come vedete sotto (da Schneider et al.), l'urbanizzazione in Europa è, in effetti, concentrata sulle pianure fertili. Apparentemente, ci siamo impegnati nell'impresa di distruggere la terra che supporta la nostra stessa esistenza fisica.



Non abbiamo dati che ci raccontino quanto velocemente questo pavimentare la terra sia avvenuto fino ad ora ma, se è proporzionale alla produzione di cemento, la crescita è stata spettacolare (dati del USGS).


E' impressionante il fatto che la curva non mostri segno di cedimento. Forse ci sarà un picco negli anni a venire, ma il cemento è una forma di “inquinamento persistente”. Ridurne la produzione – o persino fermarla completamente – non trasformerà la terra pavimentata in terra fertile. Ma noi non possiamo mangiare cemento. Potremo mai riavere la nostra terra?

Ripristinare la fertilità della terra coperta col cemento è un compito enorme, ma non impossibile. Per questo,  Lorenza Zambon, attrice e giardiniera, ci racconta la storia di una coppia di Torino che ha deciso di dare ai propri figli un fazzoletto di terreno fertile come regalo. Lo hanno ottenuto demolendo alcuni garage in cemento che avevano ereditato.  

E' stato un bel po' di lavoro; hanno dovuto tagliare il cemento e farlo a pezzi e portare via i calcinacci. Poi, per ristabilire la fertilità del suolo ci sono voluti camion e camion di terra, humus ed altro. La Zambon non ci dice quanto sia durata quest'impresa né quanto sia costata, ma è stata sicuramente lenta, difficile e costosa. E' stata anche un'idea sovversiva: nella visione generalmente accettata, pavimentare il terreno significa “svilupparlo” e significa fare soldi. Quindi, distruggere la proprietà per ristabilire il suolo fertile è qualcosa che nessuno sano di mente normalmente fa. 

Ma qualcuno lo ha fatto. Il risultato finale è stato un fazzoletto di suolo fertile dove crescono erba e fiori. Solo poche decine di metri quadri, non molto in confronto ai trilioni che rimangono da recuperare. Ma è un primo passo!

Questo post è stato ispirato da un discorso fatto da Lorenza Zambon a Firenze il 24 Marzo 2012. Se volete ascoltare Lorenza parlare su questo tema, potete trovare una delle sue presentazioni qui