sabato 8 agosto 2015

Inizia l'era della grande destabilizzazione: economia e clima sono arrivati a un punto critico.

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

questo mese di luglio è finito nel segno del cambiamento, dei grandi cambiamenti che stanno già iniziando a prendere corpo e che segneranno la seconda metà di questo 2015. Nonostante che sui media si pretenda di proiettare un'immagine di tranquillità e serenità, la cosa sicura è che il clima di nervosismo è in aumento. E non c'è da stupirsi, perché la destabilizzazione che abbiamo di fronte non si riferisce solo alla disponibilità di risorse (e di conseguenza l'impossibilità di continuare con questo sistema economico basato sulla crescita infinita), ma anche alla instabilità climatica rapidamente in crescita ed alla non meno emergente instabilità politica. Cominciamo col riassunto di questo mese di luglio 2015.


Agli inizi del mese la IEA ha emesso un comunicato con tono molto grave, con una messa in scena pensata per sottolineare la gravità e l'importanza di ciò che avrebbe detto. Dato che, nonostante gli avvertimenti degli ultimi anni, il mondo continua a consumare combustibili fossili come se non ci fosse un domani (e di questo passo non ci sarà), la strategia della IEA ora è quella di provare a mettere paura alle grandi società che si dedicano all'estrazione di combustibili fossili, quindi si afferma che possono perdere migliaia di miliardi di dollari in investimenti che non si potranno rendere redditizi, in quanto sempre più settori economici si allontanano dai combustibili fossili. Tale avvertimento sembra, in realtà un po' puerile. In primo luogo, perché c'è una tendenza al disinvestimento (ed effettivamente è così, ma non per la preoccupazione ambientale, come ora diremo) le stesse società lo rileveranno prima di chiunque altro e si adatteranno al volume di investimento effettivo e, in secondo luogo, perché l'evidenza storica mostra che nessun attore economicamente rilevante si è mai sganciato dai combustibili fossili. Ed è facile comprendere il perché: nessuna altra fonte di energia ha le stesse proprietà positive: alta densità energetica, facile da trasportare, versatilità d'uso, grande rendimento... Nessuna società scommetterà su fonti di energia che ne riducano la competitività. Quello che possono fare è ridurre la loro attività se non c'è sufficiente domanda dei loro prodotti, che è esattamente ciò che sta succedendo.

E sicuramente la domanda di combustibili fossili sta crollando, ma non c'è niente che li stia sostituendo. Ciò che succede è che la domanda di energia, di ogni tipo, sta crollando. Ciò che è in corso è un'enorme crisi economica di portata globale, con la Cina, la fabbrica del mondo, in testa alla contrazione della domanda. Le autorità cinesi stanno spendendo soldi a palate per sostenere la loro borsa, con un esito moderato, ma gli alti e bassi della borsa non cessano e in qualsiasi momento la borsa cinese potrebbe collassare. Di sicuro il problema di fondo è che la Cina non può aumentare la sua produzione perché non c'è abbastanza domanda dei suoi prodotti in un Occidente che, anche se si rifiuta di riconoscerlo, è sempre più povero. Pertanto i problemi di domanda di petrolio che spiegavamo mesi fa si aggraveranno nei prossimi mesi, accentuando ancora di più l'attuale caduta dei prezzi.

I problemi della Cina si riverberano aumentando i problemi che si presentavano in altre parti del mondo, principalmente nelle economie esportatrici di materie prime. Un dollaro caro e il crollo globale della domanda di molte materie prime, dalla soia al rame, ha messo in pericolo la maggioranza delle economie del Sud America, ma il loro vicino del nord non si trova in una situazione tanto più prospera. Un una recente analisi pubblicata da Ron Patterson sull'ultimo Drilling Productivity Report del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti si vede che la produzione di petrolio leggero di roccia compatta (light tight oil) è già giunta al suo massimo e sta iniziando il suo declino; a Bakken:



Eagle Ford


Niobrara


e probabilmente sta giungendo al suo massimo a Permian:


e nel resto delle regioni:


Il fatto è che la produzione di petrolio da fracking degli Stati Uniti è giunto al suo massimo a marzo del 2015:


Quando gli sbadati esperti di guardia che popolano le nostre TV si renderanno conto che la produzione di petrolio degli Stati Uniti non sta aumentando come indicavano le proiezioni non aggiornate dell'inizio dell'anno, ma che in realtà sono già mesi che diminuisce, cominceranno a dire che a causa della diminuzione del prezzo del petrolio le società petrolifere statunitensi tengono il petrolio da fracking come riserva, che la pratica del fracklog (la pratica di trivellare ma non terminare i pozzi) permetterà loro di tornare sul mercato quando i prezzi recupereranno e tutta una raffica di cavolate senza senso economico. Tutto per non accettare che in realtà il petrolio da fracking è troppo caro perché l'economia lo possa sostenere (e non parliamo nemmeno del gas da fracking), che se le società petrolifere si sono tenute a galla fino ad ora è stato grazie alle assicurazioni (hedges) di garanzia del prezzo a 80 dollari al barile (che stanno già scadendo senza essere rinnovate) e che, insomma, il fracking è ed è sempre stato una grande truffa che in realtà stava già portando alla rovina le società petrolifere prima della caduta dei prezzi che è iniziata alla fine del 2014. Come sempre a questi esperti, con tutto l'affetto, dedichiamo la nostra guida.

Naturalmente la debacle del petrolio sta iniziando ad avere conseguenze che preannunciano un finale di anno abbastanza complicato per i produttori, pubblici e privati, di petrolio.Qualche giorno fa la Shell ha annunciato che i suoi guadagni sono diminuiti del 14% e che avrebbe licenziato 6.500 lavoratori. Se succede questo ad una delle più grandi multinazionali del settore, immaginate come se la stiano passando le società medie e piccole (forse qualche esperto di cui perlavamo prima potrebbe mettere in un contesto migliore gli attuali “assalti degli orsi” contro il prezzo di mercato della spagnola Repsol). Ma è più preoccupante l'annuncio degli Emirati Arabi uniti della soppressione da oggi, primo agosto 2015, di tutti i sussidi al consumo di benzina nel proprio territori, che verrà venduta a prezzi internazionali. Ciò non è poco: per gli abitanti degli EAU presupporrà un aumento del prezzo del 100%, cosa che possiamo già immaginare che non sarà ben accolta. Gli EAU hanno adottato questa misura per alleviare l'attuale pressione fiscale che comporta per loro il crollo del prezzo del petrolio ma, contrariamente a quello che pensano molti degli esperti da bar, il costo di produzione del barile di petrolio non è solo il costo tecnico di produzione dello stesso, ma anche la minima redistribuzione della ricchezza per evitare che la popolazione si rivolti contro la classe dirigente. Gli EAU si avvicinano al fallimento petrolifero e non erano fra i paesi che avevano bisogno di prezzi più alti: cosa succederà ad altri paesi che hanno bisogno dei prezzi del barile di petrolio più alti? I prossimi mesi promettono di essere agitati, visto che la domanda permane debole e non sembra che il prezzo del petrolio tornerà a salire fino a che la produzione di petrolio non si riduca considerevolmente per mezzo del fallimento di imprese e paesi.

Per coloro che cullano la speranza che una qualche fonte di energia vada a sostituire il petrolio, non resta che segnalare che non sembra che le cose vadano per questa strada. Lasciando a margine le considerazioni benintenzionate sulle energie rinnovabili (le quali sono senza dubbio il futuro, ma il futuro non deve di tipo BAU), quello che si sta vedendo è una contrazione generalizzata dell'uso di materie prime ed energia. Il problema più grave di questa contrazione è che si sta distruggendo capacità produttiva che, date le attuali complessità dell'estrazione di qualsiasi materia prima, è difficile da recuperare una volta perduta. Insomma, che si procede verso una distruzione della capacità produttiva non solo di petrolio, ma di tutte le materie prime, semplicemente perché ciò che rimane non ha più prezzi accessibili, è troppo caro da produrre e la nostra economia ha bisogno di costi più bassi, tanto economici che energetici. Insomma, è il meccanismo perverso dei prezzi alti – distruzione della domanda – crollo dei prezzi – fallimento delle società produttrici – distruzione della produzione e di nuovo daccapo. La spirale della decadenza energetica ed economica. Un esempio di questo effetto di distruzione della domanda – distruzione dell'offerta in spirale ci viene offerta dalla fonte di energia che aveva più possibilità di sostituire il petrolio a breve termine: il carbone. Dopo la sorpresa relativa che ha fatto sì che nel suo ultimo rapporto la IEA riconoscesse che il carbone poteva essere in procinto di raggiungere il proprio zenit produttivo, ci troviamo nella realtà che molte società produttrici di carbone stanno fallendo. Un'altra materia prima cruciale, è imprescindibile per i sogni di elettrificazione di massa di una società alimentata da elettricità di origine rinnovabile (che, sicuramente, non è il modo migliore di sfruttare l'energia rinnovabile) è il rame. Il Cile, il principale produttore del mondo, sta vivendo giorni molto agitati a causa del crollo del prezzo di questo metallo (e della conseguente diminuzione degli introiti) e per l'annuncio che le sue miniere potrebbero in procinto di giungere al temuto picco del rame. E potremmo continuare per un bel po' ad enumerare moltitudini di paesi i cui presupposti sono troppo dipendenti dagli introiti dell'esportazione di materie prime e che proprio adesso si trovano in una situazione economica compromessa (il che è paradossale, se ci pensate bene, visto che sono questi paesi che hanno le materie prime e che le potrebbero conservare per sé).

Nel frattempo, i cambiamenti dei grandi modelli climatici ci indicano che l'ansia economica provocata dall'arrivo del peak everything dovrà essere sommata alla preoccupazione sempre maggiore per il clima. Secondo l'ultimo rapporto del Centro di previsione Climatica del NOAA, stiamo assistendo ad un fenomeno di dimensioni inconcepibili ed assolutamente inusuali: El Niño si sta sviluppando nel Pacifico, sei mesi in anticipo di quanto avrebbe dovuto succedere e con un'ampiezza che fa presagire che avremo El Niño fino a metà dell'anno prossimo. La [temperatura di] superficie del Pacifico è insolitamente elevata, con anomalie di temperatura (deviazioni rispetto alla media storica del mese di luglio) che all'equatore sono fra i 2 ed i 3°C (ed anche di fronte alla California, fenomeno associato alla profonda siccità della zona):


Apparentemente, il Pacifico si era comportato come un tampone, trattenendo parte dell'aumento di calore degli ultimi decenni e moderando l'aumento delle temperature, ma attualmente sta restituendo quell'eccesso di calore, come veniva spiegato in un recente lavoro del Jet Propulsion Laboratory (condotto da Verónica Nieves, una mia vecchia dottoranda, un'altra scienziata espatriata). Ad uno dei nostri esperti da bar che l'oceano si riscaldi in vaste aree fra 2 e 3°C più della media lo lascia freddo, visto che considera che 2 o 3 gradi non siano tanti. Qui si vede di nuovo la mancanza di formazione tecnica dei nostri capi ed opinionisti: basti far notare che la capacità calorica di un litro d'acqua è circa 4000 volte maggiore di quella di un litro d'aria (voi non usate acqua nei vostri radiatori?) e che la profondità dello strato d'acqua surriscaldato può giungere a 700 metri. Stiamo parlando, quindi, di una gigantesca quantità di calore trattenuta dal mare e che questo ora sta restituendo all'atmosfera.

Che effetti porterà questo El Niño di proporzioni mostruose? El Niño è una perturbazione di portata planetaria ed è sempre connessa ad eventi estremi, dalle grandi inondazioni alle siccità estreme. Ed anche ad uragani più intensi. Sicuramente è dovuto ad esso il fatto che durante il mese di luglio abbiamo visto una serie di tre tifoni consecutivi (si, avete letto bene: tre, uno dietro l'altro) che hanno spazzato il Pacifico. Forse perché non sono passati per questo angolo d'Europa in cui vivo, i miei compatrioti non ne erano a conoscenza, ma non ci preoccupiamo: è sicuro che se ci sarà un uragano intenso che ci farà visita i notiziari ci informeranno in gran dettaglio.

E' tanto improbabile che un uragano di una certa entità arrivi in Europa con sufficiente forza da causare devastazioni simili a quelle che fanno ad altre latitudini? Se avete visto con attenzione la mappa delle anomalie della temperatura superficiale dell'oceano più in alto, vi sarete
resi conto del fatto che nell'Atlantico c'è una fascia di acqua calda che si estende dalla Florida alla Spagna e che il Mediterraneo sta ugualmente sperimentando anomalie di temperatura intense. Sono il calore e l'umidità della superficie dell'oceano ciò che alimenta gli uragani, per cui la situazione attuale favorisce uno scenario, quello dell'arrivo di un uragano in Europa, evento che fortunatamente per noi è, nonostante tutto ciò, poco probabile. Le continue ondate di calore africano che ha vissuto l'Europa durante queste settimane hanno contribuito ad aumentare molto la temperatura dell'aria così come quella del mare fino agli estremi ed anche se un uragano continua ad essere una possibilità remota, non lo è così tanto un temporale di grande intensità nella zona del Mediterraneo occidentale dove vivo, simile a quello che si è verificato in un anomalo 30 novembre dello scorso anno. E questo solo per parlare dell'Europa: in tutto l'emisfero nord il calore è opprimente, con temperature al di sopra dei 50°C in Medio Oriente. La presenza di tante anomalie fanno presagire un successo, finalmente, del Vertice sul Clima delle Nazioni Unite del dicembre prossimo a Parigi? E' dubbio. Possiamo già anticipare che si accamperanno le scuse di sempre, si temporeggerà e alla fine non si andrà avanti in niente. Se in mezzo al vertice arrivasse un uragano nella capitale della Senna, forse i delegati li convenuti dovranno accettare che, effettivamente, sta succedendo qualcosa di molto grosso col clima.

L'ultimo grande cambiamento che si è manifestato con più intensità nello scorso mese di luglio è quello politico. Da un alto abbiamo assistito al vergognoso fiasco greco. Come abbiamo già spiegato, il governo di Alexis Tsipras ha ceduto alle condizioni abusive imposte dal grandecapitale internazionale, nel tentativo di evitare mali peggiori alla sua popolazione. Tentativo infruttuoso, visto che le stesse false ricette che hanno fatto sprofondare la Grecia quest'anno finiranno di distruggerla. Ed occasione persa per resistere ad un abuso incessante. Intanto, in Spagna, il governo spagnolo ultimava l'approvazione dei Presupposti Generali dello Stato per il 2016 quasi cinque mesi prima del solito, in piena estate, col silenzio complice e colpevole del resto dei partiti tanto parlamentari quanto extraparlamentari. Lo sfondo sono le elezioni che avranno luogo a dicembre e la necessità di proiettare un'immagine ai padroni del capitale per cui la Spagna adempirà ai suoi impegni draconiani, perlomeno durante l'anno prossimo, nonostante che il governo che uscirà delle urne probabilmente non avrà niente a che vedere con quello attuale (o forse sì, e più di quanto pensiamo). Così, il grande capitale ha un anno per estorcere quello che può al governo spagnolo entrante e per costringerlo a seguire il percorso segnato, che non può essere molto diverso da quello di Portogallo, Italia ed anche Grecia. La stampa ripete in continuazione che la Spagna ha già iniziato la ripresa economica (nonostante i terribili segnali su scala globale che spiegavamo all'inizio di questo post e che fanno presagire una grande recessione globale nascente) e il ministro di turno dice che nessuno discute che la Spagna stia tornando a crescere e il capo dell'opposizione accetta una falsità del genere. La realtà è che le basi dell'esigua ripresa spagnola dell'ultimo anno sono molto deboli. Come ci mostra Jesús Nácher su La proa de Argo, non è cambiato quasi niente nel modello produttivo spagnolo, che continua ad essere sempre poco fattibile e il suo naufragio avverrà in un paio d'anni se gli eventi internazionali non forzano una sua caduta più prematura. Ma questo non importa in questi mesi elettorali, nei quali inoltre bisogna insistere sul fatto che questa strada, quella che propone il governo spagnolo, è l'unica possibile e che allontanarsi da essa può essere la causa del ritorno della temuta recessione (un buon modo di auto-giustificarsi di fronte all'inevitabile, dando in anticipo la colpa ad altri).

Il fatto è che uno dei problemi interni che comincia a togliere il sonno, ai politici spagnoli in generale e al governo spagnolo in particolare, è la sfida della sovranità catalana. Dopo averla trattata con sufficienza per anni e dopo mesi di trattati da avanspettacolo, di annunci e minacce, il governo spagnolo ha compreso che i promotori dell'indipendenza della Catalogna fanno sul serio. I due partiti di maggior peso nel parlamento Catalano, parteciperanno alle elezioni sull'autonomia, che verranno convocate la prossima settimana prossima per il 27 di settembre, con una lista unica e con un unico punto nel loro programma: dichiarare l'indipendenza della Catalogna. Detta lista, più quella di Candidatura d'Unitat Popular (che è a sua volta indipendentista ma che ha preferito presentarsi a parte) possono ottenere circa la metà dei voti validi e con tutta sicurezza (dato il sistema di circoscrizioni elettorali in catalogna) ben oltre la metà dei seggi. Perché si è giunti a questa strada senza uscita è qualcosa che la Storia dovrà analizzare a tempo debito. Il fatto è che la sfida è sul tavolo e la possibilità che gli indipendentisti ottengano più della metà dei voti (fondamentale per dare legittimità alle loro aspirazioni) è remota ma non impossibile. Succeda quello che succeda a queste elezioni, è chiaro che segnano un prima e un dopo nella vita politica spagnola e dato che la vittoria degli indipendentisti è garantita, i problemi si inaspriranno, anche se il governo insiste scioccamente che l'unica cosa che si possa fare è applicare e rispettare la legge (quella spagnola, è chiaro).

Sono molte le spaccature e molti i problemi. Ci impegniamo a credere che non succede niente quando in realtà succede di tutto, e di molto grave. Il nostro mondo si sta destabilizzando politicamente, economicamente e climaticamente. In particolare, e per tornare al tema centrale di questo blog, con l'arrivo allo zenit del petrolio da fracking negli Stati uniti il mondo è giunto, con tutta probabilità, al suo picco del petrolio. Tenetevi, perché da ora in avanti tutto sarà discesa.

Saluti.
AMT