sabato 5 aprile 2014

ESSERE RESILIENTI O NON ESSERE RESILIENTI? QUESTO È IL PROBLEMA.

di Jacopo Simonetta



Man mano che il tempo passa, la narrativa e la retorica dello sviluppo sostenibile si diffondono nel mondo politico ed economico, mentre scompaiono da quello della ricerca scientifica.   Oramai, al di la dei tecnicismi e di comprensibili pudori, gli “addetti ai lavori” sono sostanzialmente concordi: è tardi.   L’autobus della sostenibilità è passato, ora cerchiamo di prendere quello della resilienza.   Ma che cos'è la resilienza?    In generale, la capacità di qualcosa a reagire ad uno shock, tornando ad uno stato simile al precedente dopo un tempo più o meno lungo.   Una molla è resiliente.   Un bosco che ricresca dopo un taglio anche, così come una popolazione che recuperi dopo un’epidemia od una carestia.

Parlando di noi stessi, significa che bisogna adattarsi al mutare dei tempi, modificando in modo più o meno radicale la nostra visione del mondo, il nostro modo di vivere, le nostre aspettative, eccetera.   Siamo sicuri di volerlo fare?
Per finalità puramente pratiche, Orlov propone uno schema di valutazione del rischio articolato secondo l’intensità della crisi ed il livello di preparazione alla medesima.    In pratica, vi sono quattro combinazioni possibili:  

A - Non ti prepari ed il collasso economico non avviene: tutto OK, non cambia niente.  
B – Non ti prepari ed avviene il collasso: sei in guai molto, molto grossi.  
C – Ti prepari ed avviene il collasso: sei nei guai, ma molto meno che nel caso precedente.  
D – Ti prepari e non avviene il collasso: hai fatto la figura dello scemo.

In conclusione, il peggio che può succedere preparandosi è passare da stupido e spendere male i propri soldi, mentre il peggio che può accadere a chi è impreparato è morire di fame.  Quindi conviene prepararsi, conclude Orlov.    Inoppugnabile, ma se si pensa seriamente a porre in atto una strategia di resilienza, già a livello di analisi preliminare, emergono immediatamente una serie di problemi.   L’elenco non è completo, è solo un contributo alla discussione.

1 – Innanzitutto, siamo sicuri di intraprendere questa strada?   L’uomo, al pari degli altri animali è tendenzialmente abitudinario e tende a valutare il futuro sulla base dell’esperienza passata, ma quello che sta accadendo non ha precedenti nell'esperienza personale di nessuno.   Il primo scoglio da superare è quindi crederci abbastanza da cambiare in misura sufficiente la propria visione del mondo e le proprie scelte; cosa che genera immediatamente uno stato di stress molto forte.   Da un lato, infatti, tutto il tessuto sociale e culturale in cui siamo inseriti ci dice che sono momenti duri, ma passeranno e tornerà il benessere per noi; prima o poi arriverà anche per quelli che ancora lo aspettano.   Dall'altro, le nostre letture e riflessioni ci dicono che il sistema economico che ha permesso alla popolazione mondiale di passare da circa 2 miliardi a quasi 8 è irreparabilmente condannato, ma nessuno è in grado di dirci esattamente con quali conseguenze.   Evidentemente, è forte il rischio di isolarsi dalla maggior parte delle persone, che vi considereranno dei fissati o degli iettatori, mentre l’assidua frequentazione  di circoli più o meno catastrofisti rischia di generare visioni apocalittiche, finanche maniacali.
 
2 - Quanto e come prepararsi?   Le possibilità sono praticamente infinite, si va dall'abbassare il termostato di casa od iscriversi ad un GAS, fino al costruire una fortezza stivandola con scorte di viveri e munizioni.   Per decidere sarebbe necessario avere delle idee chiare sulle minacce da affrontare, mentre disponiamo solo indizi molto vaghi circa cosa accadrà e quando    Secondo i modelli esistenti, probabilmente il collasso del sistema economico globale inizierà nel giro di 10-20 anni da ora, ma potremo saperlo per certo solo dopo che sarà accaduto.   Quindi, da un lato c’è abbastanza tempo da indurci a non abbandonare una vita ancora comoda per la maggioranza di noi.   D’altro lato, 10 o 20 anni sono pochissimi per prepararsi davvero a quello che potrebbe succedere, soprattutto tenendo conto che, man mano che la situazione si degraderà, saranno meno numerose le opzioni possibili.   La cosa ha dei risvolti pratici immediati e consistenti.   Ad esempio: investire i risparmi in BOT o comprare argenteria da seppellire in giardino?   Mantenere il proprio posto alla poste o andare a fare il volontario presso una fattoria sperduta?   Seguire una formazione da installatore di pannelli fotovoltaici od imparare a sparare?

3 – La parola “collasso” evoca scenari apocalittici che possiamo intravedere in anteprima in varie parti del mondo, ma non è affatto detto che sia un fenomeno repentino, perlomeno non in rapporto ad una scala temporale umana.   In realtà, la “tempesta perfetta” che sta cominciando a scatenarsi sulle nostre teste è composta da un gran numero di fenomeni parzialmente correlati fra loro.   Alcuni di questi tendono ad indurre crisi croniche e graduali (ad es. il degrado dei suoli, il cambiamento climatico, il peggioramento quali-quantitativo delle risorse idriche ed energetiche, ecc.).   Altri, viceversa, possono colpire in qualunque momento in maniera anche molto violenta (tempeste, sommosse, crisi finanziarie, ecc.).   Altri hanno tempi di sviluppo intermedi (come la possibilità di insediamento di governi totalitari, ecc.)    Altri fattori, infine, avranno un ruolo marginale nella fase di collasso, ma saranno invece cruciali per determinare se e quando ci potrà essere una stabilizzazione o, magari, una ripresa (ad es. la biodiversità). Quali fra questi prevarranno?   Vivremo un collasso repentino e violento alla Orlov, oppure uno graduale e deprimente alla Greer?   Anche in questo caso lo potremo sapere solo dopo, ma come prepararsi se non sappiamo quali sono esattamente le minacce?
4 – Il fatto che il sistema socio-economico globale collassi non significa assolutamente che tutto e dovunque collassi allo stesso modo e nello stesso momento.   Al contrario, l’aggravarsi della crisi provocherà una graduale disarticolazione del sistema globale in sotto-sistemi progressivamente meno interdipendenti.   Nel tempo, le traiettorie evolutive delle singole zone potranno quindi divergere anche di molto in rapporto ad un gran numero di fattori locali (popolazione, risorse, guerre, clima, ecc.).   Cosa accadrà nelle zona dove viviamo noi?    Nessuno lo può sapere e, nuovamente, si pone il problema di prepararsi a qualcosa che, in realtà, non si sa cosa sia.

5 – Mentre ci si prepara per il mondo di domani, bisogna continuare a vivere nel mondo di oggi.   Barcamenarsi contemporaneamente fra le leggi della natura, quelle del mercato e quelle dello stato è un arduo esercizio dai risultati molto aleatori.   Ad esempio, è sicuramente possibile creare una fattoria in grado di funzionare senza petrolio e senza denaro, ma si dovranno comunque pagare tasse, assicurazioni, cure per i malati ed altre cose obbligatorie o necessarie. Ci vorranno dunque dei soldi, ma per guadagnarne bisogna essere inseriti efficacemente in quell'economia di mercato cui ci si dorrebbe sottrarre.    

6 – Ultimo, ma forse principale problema, è il fatto che l’unità di sopravvivenza dell’umanità non è l’individuo, ma la comunità.   Questo comporta la necessità di associarsi ad altri per elaborare e realizzare un progetto comune, sia che si tratti di un GAS che di una fortezza..   Una cosa che moltiplica le difficoltà citate in modo molto notevole.

Queste sono solo alcune delle difficoltà che si incontrano in fase di progetto.   Quelle che sorgono nelle fasi di eventuale realizzazione e gestione sono, ovviamente, molto più numerose.   Nell'insieme, le probabilità di successo sono scarse.    Diciamo anzi che un successo pieno è praticamente impossibile; il meglio che si può sperare è un successo parziale. Niente di strano, dunque, se la maggior parte delle persone potenzialmente interessate si scoraggi.

In definitiva, la scelta si gioca sulle probabilità di successo del nostro progetto, ma soprattutto sulla diversa probabilità che i due scenari peggiori (dimostrarsi stupido, oppure morire di fame) si concretizzino davvero.   E questo è qualcosa che tocca le più profonde radici antropologiche dei nostri modi di pensare e di sentire, così come si sono evoluti attraverso le generazioni e le vicissitudini.   Calamità ne sono sempre accadute, ma quello che ci indicano i dati registrati ed i modelli di previsione in materia di popolazione, economia, clima, funzionalità degli ecosistemi ed altro è qualcosa che non ha assolutamente precedenti storici, né per intensità, né per vastità dei fenomeni coinvolti.   Lo studio della preistoria ci insegna, è vero, che mutamenti climatici ed estinzioni di massa anche più importanti e veloci di quelli in corso (o probabili nel prossimo futuro) sono già avvenuti in passato ed il mondo è cambiato, ma non è finito.    Durante i più recenti fra questi avvenimenti la nostra specie era presente ed è sopravvissuta, ma le difficoltà che hanno dovuto superare alcune centinaia di migliaia di cacciatori paleolitici ha poco a che vedere con quelle che dovranno affrontare 8 miliardi di individui post-industriali.

Siamo capaci di credere veramente che qualcosa che non è mai accaduto nella storia stia accadendo sotto i nostri occhi in questo momento?    Molto difficile.   E per coloro che ci riescono, è elevato il rischio di sprofondare in stati depressivi in grado di bloccare qualunque reazione (“Tanto oramai…”).  Ciò che occorre è riuscire ad immaginare una ragionevole via di mezzo fra il “business as usual” e l’apocalisse.  Il che significa mantenersi in funambolico equilibrio fra un ragionevole ottimismo ed un concreto pessimismo: un esercizio per il quale siamo del tutto impreparati.  Eppure riuscirci è ancor più importante del saper seminare gli zucchini o filare la lana.



Jacopo Simonetta