mercoledì 27 dicembre 2017

Blog: Abbiamo Sbagliato Tutto? (Una mela che costa un'iradiddio)




Qui sopra, vedete una foto che ho fatto in questi giorni di un prodotto in vendita in un negozio vicino a casa mia. Sono circa 10 fettine di mela essiccate dentro un barattolo di plastica trasparente per un peso netto di 30 g. Il prezzo lo vedete sull'etichetta, Eur 3,50.

Scusate se ho fatto uno smudge sul nome del prodotto. In ogni caso, se per caso il produttore ritenesse che il suo prodotto è comunque riconoscibile, mi affretto a dire che questo post non deve essere visto come una critica alla bontà del prodotto stesso e neppure inteso a scoraggiare i lettori dall'acquistarlo (viviamo nell'era del "disclaimer")

Ciò detto, facciamoci un ragionamento sopra. Dai dati di etichetta vediamo che queste fettine costano quasi 120 Euro/kg. Sono sicuramente mele di altissima qualità (disclaimer), ma mi sa che forse queste fettine di mela sono un po care considerando che le mele si vendono a meno di 1 Euro/kg al supermercato. Fa venire in mente la barzelletta di Adamo ed Eva, quando una mela costava un'iradiddio.

D'altra parte, è anche vero che ognuno compra quello che gli pare e se vuol comprare delle fettine di mela a 120 euro al chilo, sono scelte sue (dopotutto, per una mela, Adamo ed Eva ci hanno rimesso il loro appezzamento di terra). Quello che veramente non va in questa confezione è il barattolo di plastica. Un caso classico di "iperimballaggio", questo barattolo è un costo non solo per chi lo compra, ma per tutti quanti. Se finisce in un inceneritore diventerà uno di quei gas serra che cerchiamo disperatamente di limitare. Altrimenti, finirà dispersa da qualche parte e andrà lentamente a pezzi che poi potrebbero finire nella catena alimentare e da lì nei nostri piatti. O magari finirà ad aumentare le dimensioni della grande "isola della plastica" nel mezzo dell'oceano.

Tutte queste cose sono ben note, ciononostante nessuna legge regola la vendita di questi prodotti iperimballati. E questo è uno solo dei tantissimi casi di follia in cui si continuano a produrre cose del tutto inutili, costose, inquinanti, e che fanno danno a tutti.

E allora com'è che stiamo dicendo queste cose da anni e nessuno muove un dito in pratica? Serve a qualcosa tenere un blog come "Effetto Cassandra" dove un gruppo di brave persone (Corna,  Migliorino, Molfese, Simonetta, Rupalti, e tanti altri) fanno del loro meglio per raccontare cose che ritengono utili per vivere meglio e fare meno danni? Come sta che il dibattito sui media è su tutto, salvo che sulle cose veramente importanti (ovvero, quelle che ci fanno vivere)?

Queste sono domande per i lettori di "Effetto Cassandra". Cosa ne dite? Vale la pena continuare con questo blog? Con l'Internet che sta diventando sempre di più un triumvirato (Facebook/Google/Amazon) ha ancora senso tenere un blog, o dovremmo pensare a qualche altra forma di comunicazione? E se si, che tipo di comunicazione? E come potremmo essere più efficaci nel muovere qualcosa?

Se avete un minuto, fatevi sentire. I commenti del blog sono riaperti dopo la pausa di riflessione.




sabato 23 dicembre 2017

Piccola Storia Natalizia





Questa non è proprio una storia natalizia, ma ha qualche caratteristica di un'"operetta morale" che la rende proponibile come tale. L'autrice, Elena Corna, ha una notevole capacità di vedere il mondo da punti di vista diversi, anche non umani. Per esempio, un racconto precedente, è scritto dal punto di vista dei batteri, mentre qui sono i cani a parlare. E' una capacità di cui avremmo molto bisogno - mettersi nei panni (o magari, "nel pelo") delle creature che ci circondano. Sarebbe il modo di evitare di distruggere l'ecosistema e, nel process, noi stessi. Ma non sembra che molti di noi siano in grado di vedere il mondo con occhi diversi da quelli dell' "homo economicus" che non trova nessun valore in un animale vivo, soltanto in uno ucciso e servito in tavola. (UB)


DIALOGO FRA IL CANE COLTO E IL GIOVANE CANE
(…una aspirante operetta morale)

di Elena Corna


Il cane colto: “ Sniff… Sento odore di tristezza. Perchè queste orecchie basse? “

Il giovane cane: “ Pensavo…Pensavo a cosa successe quando il cane incontrò l’uomo…”

Il colto : “ Non per essere pignolo, ma il titolo giusto è L’uomo incontrò il cane …Grande uomo, l’autore; una sensibilità quasi canina…Comunque l’uomo, se vuoi saperlo, incontrò il cane e grazie a lui divenne un cacciatore migliore, un pastore migliore, un cercatore migliore…Avrei voluto vederlo, l’uomo, a cavarsela senza il cane!”

Il giovane: “Lo so questo, ma intendevo il contrario: il cane incontrò l’uomo e cosa divenne?”

Il colto : “Oh bella, lo sanno tutti. Divenne,come si suol dire, il miglior amico dell’uomo!”

Il giovane : “E allora perché si suol dire anche solo come un cane? Cosa rappresentiamo noi? Amicizia o solitudine?”

Il colto : “Già, si contraddicono un po’… Comunque direi amicizia, senza dubbio! Gli umani infatti dicono fedele come un cane.”

Il giovane : “ Sì, ma dicono anche “cane infedele”! L’ho sentito in un sacco di film. Perché? E perché ci associano con l’idea del freddo e del gelo? Fa un freddo cane,dicono!”

Il colto : “Beh, ma ci associano anche con l’idea del caldo. La felicità è un piccolo cane caldo, dicono sempre nei fumetti di Charlie Brown. Certo,ora che ci faccio caso, gli umani sono un po’ incoerenti…Dev’essere perché non sanno mettere d’accordo quei due emisferi del loro cervello…Non ci pensare…”

Il giovane : “Ma io sto a disagio! Mi trattengo anche dall’abbaiare alla luna, perché gli umani dicono sempre canta come un cane:..”

Il colto : “Vedi? Non sanno quel che dicono. I primi can-tanti siamo stati noi cani, si sa. Guarda le parole: “cane” e “cantare” hanno la stessa etimologia. Infatti, quando un antico romano chiedeva a un altro antico romano di cantare, che gli diceva? -Cane!- , gli diceva.* Questo è latino, piccolo, mica robetta.”

Il giovane : “Sarà…Fatto sta che se gli uccelli, o addirittura i ranocchi, strepitano tutti insieme, lo chiamano concerto. Se lo facciamo noi cani, lo chiamano cagnara. Ma la cosa che mi spaventa di più non te l’ho detta ancora…E’ così terribile che mi fa paura pensarci…Perché dicono l’ha ucciso come un cane, ti ucciderò come un cane, eccetera? Dimmi: com’è che uccidono i cani?”

Il colto : “Ah, questo te lo so spiegare. Vedi, è un modo di dire antico, di quando gli uomini erano più come noi animali, e quindi non uccidevano facilmente i propri simili. Perciò “ti ucciderò come un cane” significava “come se tu fossi tutt’altro che un mio simile. Mi segui?”

Il giovane : “Come un cane poliziotto. E quindi?”

Il colto : “E poi gli umani hanno imparato a farsi fuori fra loro nei modi più impensabili (impensabili per noi animali, intendo): si bombardano, si avvelenano, si torturano…Non esistono modi peggiori di uccidere che quelli che usano anche per sé, perciò stai tranquillo. Noi cani di città, poi, moriremo di vecchiaia…”

Il giovane : (con un sospiro di sollievo)“Meno male! Ma, vedi, non è solo la morte che mi preoccupa! E’ la vita! Perché si dice giornata da cani, o vita da cani? Perché?”

Il colto : “Perché gli umani fanno fare a molti cani una vita da cani, ecco perché! Cioè, gli fanno fare tutto quelle cose che non hanno voglia di fare loro: recuperare chi si perde in montagna, fiutare la droga, guidare i loro simili che non ci vedono..”

Il giovane: (con aria pensierosa)“Ma…se gli umani sono così tremendi, com’è che siamo diventati loro amici ?”

Il colto : “Che ti devo dire? Però, di’ la verità: vedere un umano che si abbassa per raccattare i tuoi escrementi dà una certa soddisfazione, non trovi?” Il colto sorride sotto i baffi.

Il giovane “ Ecco…C’è un’ultima cosa che mi angoscia…Non te l’avrei chiesto, è una cosa un po’…personale, ma, di già che hai parlato di escrementi…” Guaisce .

Il colto : “Spara, piccolo.”

Il giovane : “Ecco. Mi sento inibito….”

Il colto agita una zampa in segno di noncuranza.

Il giovane “No, aspetta, non per il fatto di cantare…E’ che gli umani dicono sempre, quando qualcosa fa schifo, che è fatta a cazzo di cane. Allora io non oso nemmeno tirarlo fuori, che so, per dargli una leccatina, capisci? Ma…è davvero così brutto?”

Il colto (ridendo):”Ah, questo è facile! “ Il colto abbassa la voce: “ E’ tutta invidia. Ma l’hai visto, il loro? Tutto grinzoso e penzoloni, con quella specie di pelo ispido! E’ così brutto che lo tengono sempre nascosto. Anche al mare, stanno tutti nudi ma quello lo tengono dentro a un “costume” fatto apposta. Gli piacerebbe, averlo come noi!” 

Il colto avvicina il muso a quello del giovane:” Pensa che nemmeno le femmine della loro specie lo trovano bello. Poveretti…”

Il giovane appoggia il muso alle zampe con aria sollevata.

Il colto : “Ti senti meglio ora?”

Il giovane : “Non sai quanto! Però… a proposito di femmine, com’è che quando vogliono parlar male di una donna dicono che è una cagna? Il mio umano non dice mai alla sua fidanzata cagnolina mia, però la chiama gattina, topolina…Come se poi sapesse qualcosa del comportamento sociale delle tope!”

Il colto : “Boh, questo è davvero incomprensibile. E poi, mi risulta che le tope sono più facili delle cagne. Le nostre femmine non la danno mica a tutti! Ecco, ad esempio: vedi la barboncina che sta passando? “ Sospira. “Eh, l’ho corteggiata, ma mi ringhiava sempre…”

Il giovane : “Eh, sì, è proprio carina…”

Il colto : “E allora smettila di pensare agli umani e vai! Sei un bel cane giovane, buttati!”

Il giovane : “Magari…Però non la lasciano mai sola, la fanno uscire poco…”

Il colto : “Ecco, lo vedi che gli umani non sono molto intelligenti! La vedono mogia e che fanno? La portano dallo psicanalista per cani! Quella avrebbe solo bisogno della compagnia di cani come noi, te lo dico io! ” Sorride.

Il giovane : “Ma davvero? La portano da un umano psicanalista? Mi dispiace per lei… Ma dimmi: la cura sta funzionando, almeno?”

Il colto : “ No che non funziona. Ne sono sicuro perché ieri ho sentito i suoi umani che dicevano: -Certo che quello psicanalista è proprio un cane!“




* “Cane” è l’imperativo del verbo cànere, che significava, appunto, cantare.












mercoledì 20 dicembre 2017

Il dilemma del campeggiatore



Immaginiamo di affrontare un orso in mezzo a una foresta, insieme a un amico. Siete entrambi disarmati e l'orso può correre più velocemente di voi. Qual è la strategia migliore, cooperare o tradire? Potrei chiamare questa situazione il "dilemma del campeggiatore", in analogia con il ben noto "dilemma del prigioniero"



Tu e un amico siete accampati in una foresta abitata da orsi affamati.Immaginate che per qualche motivo avete perso il contatto con il mondo civile e che dovete cavarvela da soli per tornare a casa. Siete entrambi disarmati e gli orsi possono facilmente uccidervi. Qual è la migliore strategia per sopravvivere? Ecco alcune considerazioni sul "Dilemma del Campeggiatore" in base al livello di pericolo.

1. Il pericolo è basso: collaborazione. Sai che ci sono gli orsi nella foresta, ma non hai alcuna prova che ce ne sia uno vicino. Tu e il tuo amico siete d'accordo sul fatto che dovreste cooperare per fare il meno rumore possibile, non lasciare residui di cibo, non dare prova della vostra presenza.

2. Il pericolo è elevato: inganno. Hai visto l'orso e l'orso ti ha visto, ma il tuo amico non lo ha visto. Non dici al tuo amico quello che hai visto, anzi neghi di aver visto un orso in giro. Alla prima occasione, dici al tuo amico che farai una breve passeggiata nella foresta, alla ricerca di frutti di bosco, mentre lui dovrà occuparsi del campo fino che non torni. Appena si è fuori dalla vista, cominci correre il più velocemente possibile, lasciando l'amico ad affrontare l'orso, da solo.

3. Il pericolo è immediato: emergenza. L'orso improvvisamente appare davanti a voi, attaccando. Non c'è che lottare disperatamente per sconfiggerlo.


Probabilmente conoscete una storia abbastanza diffusa sul Web con il titolo "i due campeggiatori e l'orso." Viene raccontata in uno stile fra il serio e il faceto e si conclude con uno dei due campeggiatori che dice all'altro "ma cosa ti allacci le scarpe a fare? L'orso corre più velocemente di noi." E l'altro gli risponde "Si, ma a me basta correre più velocemente di te!" Questa storia è stata una delle fonti di ispirazione per questo post. 

L'altra storia che ha ispirato questo post è il "Dilemma del Prigioniero". È un gioco operazionale in cui ognuno dei due giocatori deve scegliere se collaborare o tradire l'altro, senza sapere quale strategia l'altro sceglierà. Il tradimento porta un vantaggio a uno dei giocatori solo se l'altro giocatore coopera. Se entrambi tradiscono, entrambi soffrono pesanti penalità. 

Il dilemma del prigioniero è stata analizzata in profondità e il risultato è che non ha una strategia ottimale; Gli studi empirici hanno dimostrato che la strategia semplice chiamata "tit per tat" è quella che si comporta meglio nel lungo periodo, ma non c'è garanzia che funzionerà sempre. Quindi, il gioco del prigioniero riflette bene la complessità e l'imprevedibilità del mondo reale, anche se in forma semplificata.

Il dilemma del campeggiatore, come descritto qui, è molto simile al dilemma del prigioniero, con la differenza che il risultato non è solo una penalità: se perdi la partita, muori. Il dilemma del campeggiatore è anche "graduale" nel senso che la migliore strategia dipende dal livello di pericolo. In una situazione di pericolo basso, entrambi i giocatori possono capire facilmente che la collaborazione è la strategia migliore. Ma, come il pericolo diventa sempre più evidente e immediato, il tradimento comincia a sembrare una strategia migliore.

Non mi sembra (ma posso sbagliare) che i teorici abbiano esaminato questo tipo di gioco, per cui per ora queste considerazioni devono rimanere qualitative. Tuttavia, mi sembrano illuminanti quando applicate alla situazione mondiale attuale, in particolare se pensiamo all'orso come "cambiamento climatico", mentre i campeggiatori sono intere popolazioni o strati sociali.

Ad esempio, il trattato sul clima di Parigi può essere visto come parte di una strategia di collaborazione, ma considerando che si è sempre saputo che non è sufficiente per evitare il disastro climatico, può anche essere visto come parte di uno sforzo di inganno. Allo stesso tempo, alcuni governi hanno preso una posizione più o meno esplicitamente negativa; Per esempio gli Stati Uniti, il Canada e la Russia. Questi governi possono credere che la loro situazione geografica possa permettere loro di sconfiggere l'orso climatico o, comunque, di avere risorse sufficienti per evitare il peggio, almeno per una frazione della loro popolazione. Come ho discusso in un post precedente, è possibile che alcune delle élite planetarie siano già arrivate alla conclusione che l'orso climatico sta arrivando e che per loro la migliore strategia è il tradimento, spostandosi verso nord e lasciando i poveri al loro destino; affogare, morire di fame o, al limite, finire bolliti vivi .

Naturalmente, questa interpretazione non può essere dimostrata e potrebbe essere sbagliata. È anche vero che c'è ancora spazio per una strategia collaborativa che potrebbe risolvere il problema climatico attraverso una rapida transizione energetica. Tuttavia, il gioco del dilemma del campeggiatore offre una prospettiva della situazione attuale che non darei come impossibile, e nemmeno improbabile. .

Nota: questo post è stato ispirato da una storia raccontata da Filippo Musumeci, pubblicata in italiano sul blog "Effetto Risorse"

giovedì 14 dicembre 2017

Disoccupazione, Lavoro e Reddito



Un post di Gianni Gatti
da "Parole Libere" per gentile concessione dell'autore


Le rivoluzioni di trasformazione sociale sono almeno tre : 1) dell’agricoltura intensiva, 2) il passaggio alla prima rivoluzione industriale e la manifattura (con elettricità e lavorazioni in serie , 3) la trasformazione da industria di massa a tecnologica fatta di elettronica e digitalizzazione dagli anni 70 in poi con accelerazione indotta nel nuovo secolo.

Esaminiamo alcune possibilità reali di interpretazione dell’ultimo periodo, l’attuale :

1) Il premio del trionfo nella classifica delle cause della disoccupazione, sicuramente spetta all’introduzione di tecnologia , aspetti materiali che negli ultimi cento anni a velocità variabili hanno cambiato modi di produzione dall’agricoltura al manifatturiero (dove l’Italia era uno dei top ten al mondo), all’artigianato, alla comunicazione , ai trasporti , ecc . Non mi pare il caso di spiegare perchè , ma per chi vuole approfondire consiglio “La fine del lavoro” di Jeremy Rifkin , scritto nel 1995 come economista ricercatore negli USA , ma con una preveggenza di analisi davvero sconcertante , come laboratorio del sistema economico-sociale .

Questo tecnologizzazione ha davvero creato benessere ed efficienza nel senso di ricaduta anche indotta sulle masse (ovvio non solo in Italia), cioè la tecnologia che all’origine aveva il compito di “alleviare la fatica”, ha davvero raggiunto lo scopo a distanza di tempo ?

Il reddito e la vivibilità sociale generale sia dal punto di vista della P.A., sia dal punto di vista privato, ha avuto effetto positivo sulla vita di tutti con questa, considerata la” terza rivoluzione industriale” ? 

Ovunque si analizzi aspetti di lavoro pubblico o privato, i numeri dicono che è peggiorato il rapporto in quantità e qualità, fra beni prodotti e livello di vita comune e soprattutto non ha implementato l’occupazione che se una volta era direttamente collegata con il diritto ad un reddito certo , costante anche ai livelli bassi, ora non lo è più affatto con la normalità delle varie formule utilizzate di precarietà e provvisorietà . Si consideri la distruzione o il forte impatto ambientale di tante scelte con unico obiettivo di incrementare guadagno considerando l’uso ad es. della chimica nella dinamica dell’agricoltura e degli allevamenti , beni primari attraverso la diffusione di sementi geneticamente modificati insensibili a diserbanti e pesticidi , anzi appositamente previsti per l’esclusività mondiale che comportano . Oppure di allevamenti giganti in batteria di polli , maiali, bovini, ecc , con cariche di ormoni diluiti nel cibo animale per prevenzione infezioni, che si ritrovano poi nella catena alimentare sotto forma di anticorpi ormai immuni ad ogni contrasto di malattia insorgente agli umani

Qualche banale esempio :

negli anni 1920 alla Ford negli Usa , per fare un auto servivano circa 4.500 ore di lavoro. Oggi la media dei grandi stabilimenti automatizzati va da 12 a 20 ore di media. Per l’operaio o impiegato standard da 1.200 euro/mese acquistare un auto significa debito difficile da pagare, oggi come allora con l’aggravante di altri fattori negativi per danni collaterali connessi a questa attività sia ambientali, sia sociali.

Nel 1920 gli addetti all’agricoltura erano dal 15 al 22 % del totale , oggi si parla complessivamente del 4-5 % e qualcosina è cambiato nella produttività dall’aratro ai trattori multiuso moderni … mentre gli aranci e le ciliege rimangono sulle piante perché pagate un nulla , mentre sui banchetti si trovano prodotti di altre nazioni importati. Mentre la Monsanto e proprietari di semi per vendere la loro merda tossica di Glifosato o simili, hanno creato il vuoto della catena del lavoro, in più costruendo sovranità sul prodotto in intere aree del pianeta

Gli anni ’80 hanno rappresentato il boom della comunicazione dove si sono moltiplicati nuovi mestieri . A quel tempo sono nati colossi della carta stampata e dei media (Mediaset, grandi gruppi editoriali, ecc) moltiplicando addetti alle rotative, alla scrittura dei testi , a tutte le procedure necessarie, nel secolo attuale le tecniche digitali e l’eccessiva concorrenza con ulteriore salto di concentrazioni aziendali multidisciplinari hanno ridotto al minimo gli addetti e un trafiletto di un giornalista su uno dei giornali come Repubblica oggi vale meno di un buon pranzo (a parte pochi personaggi legati al sistema politico). Chi ancora lavora nel settore dei media nella comunicazione deve adeguarsi a tenere i piedi in “dieci” scarpe per campare e su più livelli anche internazionali , innescando fenomeni di assoluta obbedienza ai criteri editoriali senza discrimine personale .
Huber la più grande azienda di noleggio trasporti mondiale è senza la proprietà di un solo mezzo meccanico di trasporto, solo un App…che sviluppa algoritmi che a loro volta mettono in relazione persone. Piaccia o no, è già fra di noi in Italia e nel mondo “buttando a mare” intere categorie di tassisti e noleggiatori.

Siamo vicini al momento, come previsione di sviluppo a breve-medio periodo, in cui scompariranno persino grandi magazzini tipo Ikea. La gente da casa sceglierà prodotti da un catalogo sul web e attraverso punti locali nel territorio, i prodotti verranno ricostruiti, resi fruibili e vendibili attraverso stampanti 3D senza grandi costi di trasporto e magazzinaggio con conseguenze ovvie sull’occupazione ulteriore. Chi ha chiaro come si muovono protocolli, regolamenti tecnici e commerciali fra stati sul software e sulle reti di comunicazione sa che i 6 milioni di lavoratori che scompariranno nei prossimi 10 anni non saranno sostituiti se non in minima parte da forme di operai con preparazioni specialistiche elevate che faranno lavori poco remunerativi e ripetitivi . Inoltre chi controlla i passaggi strutturali di dipendenza delle reti e dei server controlla tutta una catena di conseguenze sociali come vertice della catena operativa degli scambi , delle produzioni e sono accordi politici fra paesi che li decidono.

2 ) Un altro aspetto che ha indotto sicuramente un incremento della disoccupazione, anche se più composito, è la mancanza di infrastrutture e la burocrazia frenante della P.A. , ma non solo. Pensiamo a quante aziende de-localizzano perché non riescono ad abbassare costi di produzione per il livello di tassazione , per la mancanza di reti di comunicazione decenti compreso il trasporto delle merci prodotte , per la mancata applicazione di un vero sistema di supporto al business, per la burocratizzazione tecnica soffocante nei legami politici , alla mancanza di strutture rivolte sia al commercio sia alle fondamentali produzioni in agricoltura e industria .

Difendere il Made in Italy (come per ogni paese) è gridare alla luna !

Ogni merce nata per essere diffusa nel mondo deve avere servizi infrastrutturali complessivi adeguati o cessa di essere competitiva e data la velocità di evoluzione della finanza e del commercio scompaiono altrettanto in tempi brevi.

3 ) l’accesso al credito ha strozzato centinaia di aziende dopo un periodo di “rilascio incontrollato” e produzioni pur con buon mercato non hanno retto alla sfida globale . Le banche facevano affari con la finanza e mescolando titoli tossici e raccolta commerciale hanno creato il vuoto pneumatico attorno soprattutto alle piccole, medie imprese che hanno chiuso in quantità . Pensiamo a quante aziende sane produttive che si sono quotate in borsa per cavalcare il momento che pareva oro e si sono trovate coinvolte in speculazioni che l’hanno messa in ginocchio . Anche con recente formazione in categorie di punta (aerospaziale, ecc), ed ora devono licenziare addetti pur con mercato fiorente davanti ,ma senza liquidità evaporata in titoli tossici o altro similare .

4 ) per assurdo la scuola con la parte “alta” legata alle università e al mondo del lavoro dove la ricerca in altri paesi era fattore di crescita è stata spenta pian piano , impedendo soprattutto nel periodo recente di affiancare altri paesi dove università ed impresa marciano in sintonia. Tutti vediamo il livello di basso “servizio” assegnato alla maggioranza di università e poli di ricerca pubblica , con tagli agli incentivi ed alle ricerche proprio per mancanza di progettazione e finalizzazione delle poche risorse . La fuga dei “cervelli” dei giovani i cui genitori si indebitano per dare loro un futuro , ma la cui unica chance post laurea è emigrare in paesi con ancora offerta di lavoro per sopravvivenza , cioè situazioni in cui le spese le facciamo in Italia e i risultati si concretizzano altrove in un crescendo di dipendenza e sfruttamento globale .

5) la disoccupazione è stata favorita ( o non contrastata negli effetti , vedi art. 18 abolito, job act, legge di stabilità, ecc) da una quota importante del sindacato che non ha detto un amen (salvo rari casi) in quanto il principio guida era : difendiamo il lavoro, pazienza per le condizioni , la sicurezza e la quantità degli occupati . Dal caso Ilva in poi hanno fatto scuola esempi di drenaggio soldi pubblici a favore di privati , con rovina colossale dell’ambiente ed espulsione calcolata di migliaia di persone dal ciclo produttivo oltre a disastri ambientali distruttivi permanenti .Risultato niente lavoro e niente reddito.

Se diamo lettura alle banali nude cifre oggi nel nostro paese (ma non solo) il 10-12 % delle persone ha la proprietà del 75% di tutti i beni materiali come risultato dello “sviluppo” degli ultimi dieci anni!

Mentre autorevoli centri universitari nelle loro ricerche sociali prevedono che nei prossimi 10 anni circa sei milioni di posti di lavoro SPARIRANNO !

Qui non c’è una morale da ricavare ma soluzioni da trovare .

Vivere giorno per giorno facendo come gli struzzi con la testa nella sabbia e gloriandosi di pochi posti di lavoro ottenuti in qualche settore , deve farci porre la domanda : cosa succederà a monte ed anche a valle di quei posti ? Cosa rappresenta il valore intrinseco del significato sociale che vi è dietro a certi investimenti in grandi opere ? Penso per stare in zona di Sv , alla presentazione come trionfo dei governanti locali e del sindacato l’annuncio di 450 posti circa, nella gestione al termine della costruzione della piattaforma Maersk a Vado L. (con investimento di circa 400 milioni di euro pubblici dati a concessionari privati) su cui è assolutamente il caso di riflettere.

Non c’è una visione di prospettiva nel far opere pagate con soldi pubblici che consegniamo a privati (caso Maersk appunto) per loro business per far arrivare commesse di merci a basso costo dalla Cina (Cosco) e frutta dai paesi del Nord Africa e non solo . Nel migliore dei casi distruggeranno commercio e produzioni autoctone , al di là del senso delle grandi opere spacciate per utili , mentre quelle davvero di difesa del Made in Italy, del dissesto idrogeologico non trovano un cent di impegno concreto.

Atti decisi da chi ci governa nelle varie istituzioni nel migliore dei casi sono atti di stupida indifferenza , di mancanza di progettualità ad una situazione dove le poche risorse investite creano benessere per pochi e danneggiano la maggioranza, dove il vantaggio del business è solamente di chi le esegue materialmente e pazienza se non sono integrate e utili, però sempre in modo non evidente . 

Le cause della mancanza di lavoro-reddito ci fanno credere siano tutte da addebitare alla crisi finanziaria , che invece ne è solo parzialmente causa , mentre c’è un sistema globale, di cui la finanziarizzazione è parte , pur con differenze di territori nel mondo. Questo fatto è un po’ coltivato ed un po’ va per conto suo e si sviluppa in autonomia …se non cambiano dei paradigmi a monte

Questa quarta rivoluzione tecnologica e finanziaria, aggressiva nelle dimensioni globali di commercio, ha l’effetto dirompente dell’espulsione di milioni di persone dal ciclo produttivo e quindi dall’accesso ai beni primari (mangiare, bere, casa, sicurezza di vita, ecc) e vanno ad aumentare la folta schiera della domanda di lavoro vista come ricatto alle condizioni imposte dal mercato reale.

E’ un cambiamento epocale che sta avvenendo con lo sviluppo anche qui di una quota importante di popolazione secondo quanto già analizzato nel 1994 da J. Rifkin , che quasi non appare nella comunicazione dei media per la frammentazione , la segmentazione sociale stratificata della massa oggettivamente a livello globale .

Considero cioè la massa importante che va sotto la categoria di “TERZO SETTORE” . Categoria che oggi è stimata ad un terzo della popolazione .Parlo delle migliaia e migliaia (milioni ) di persone che trascinano quello che scompare dai tabulati di spesa dei governi o si riduce sempre più : il volontariato “necessario“.

Quante sono le associazioni, le cooperative , le strutture riconosciute e seminascoste che si occupano di servizi indispensabili, di ogni genere e con vari effetti sociali . Dall’assistenza ai disabili, alla protezione civile, alla gestione dei migranti, dei senza casa, all’alfabetizzazione di quote consistenti oggi di analfabetismo indotto, alla gestione di malattie difficili e uso di droghe o tossicodipendenze , allo studio delle tecnologie informatiche per dare un senso di partecipazione alla società tecnologica inclusiva . Penso a chi studia arti, culture minori e le diffonde , chi protegge il patrimonio culturale, chi opera in cooperative di turismo consapevole , chi si occupa del verde o della vigilanza, chi si occupa degli animali in generale e della loro gestione, chi anche dà il suo contributo alle opere sanitarie negli ospedali, ambulatori, alle campagne di studio per valorizzarle, chi cerca di mantenere memoria di usi e tradizioni, chi sviluppa forme associative per prodotti per l’agricoltura o per allevamenti ecocompatibili, chi dà attraverso partecipazione volontaria possibilità alla terza età, di avere minime forme sostenibili di vita comune, chi è quasi obbligato al termine o durante gli studi all’ultima aberrazione dell’alternanza scuola-lavoro.

Ognuno nella propria esperienza di vita può aggiungere a questo esercito nascosto, ma reale già oggi , fatto di numeri e categorie inquadrabili, ormai indispensabili .

Bene, l’assunto è che in relazione alla mancanza progressiva di lavoro , di mezzi di sussistenza e beni primari pure sanciti dalla Costituzione, nasce spontanea la necessità di un reddito (che ognuno può chiamare aggettivandolo come meglio crede ), ma che dia un freno qui ed ora a questo ecocidio globale in Italia, ma non solo. E perché non vincolarlo al finanziamento strutturato ed organizzato di questo terzo settore attraverso banca pubblica, compreso l’uso modificato del 5 per mille sui redditi, ovviamente in contemporanea a una secca ristrutturazione del modo di tassazione iniquo e soffocante vigente in Italia ?

Perché non usare la tassazione dello stato con la sua indispensabile riduzione e revisione per pagare piccoli , grandi servizi a questo settore lasciando perdere grandi opere, utili solo a caimani di grandi aziende o banche , per far rifiorire i territori in modo diffuso di tanti piccoli lavori e attività, riparando ciò che non si fa più da tempo e dando lavoro dietro minimo compenso alla vita sociale che tornerà valore ?

Ogni euro dato in questo modo, proprio per la parcellizzazione, non andrà in depositi bancari, ma torna in circolo nella società e a strati ognuno fa da sponda ad altri , ma soprattutto risponde alla domanda di fondo : cosa facciamo degli espulsi dal lavoro e dal reddito oggi, non domani in attesa di modifiche strutturali di fondo?

Quindi sovranità monetaria e autonomia decisionale sono decisive .

Non sono un esperto, ma è ovvio che queste poche idee danno la dimensione del lavoro necessario a livello politico e sociale perché questo sia possibile, con passaggi attraverso ai regolamenti, alle leggi, alla giurisdizione per dare regole uguali per tutti (anche quelli che ancora hanno un lavoro) ed eque, compatibili con il sistema complessivo, con l’ambiente, per ritrovare quell’armonia di comunità oggi spezzata da ladri indecenti e cacciatori di futuro.

Sapere verso quale sviluppo va il mondo o almeno quanto è auspicabile socialmente e ragionare sulle specifiche peculiarità per come ingegnerizzare il rapporto fra tempo libero e lavoro, spero nasca anche da queste poche note.

Gianni Gatti 10/11/17


sabato 9 dicembre 2017

I giornalisti e il cambiamento climatico.


Certe volte, il giornalismo italiano non è proprio al top come qualità

Sono usciti qualche giorno fa un gran numero di articoli sui giornali e servizi sul fatto che il 2017 è stato l'anno più siccitoso dal 1800 nella storia italiana. Qualcuno ha segnalato al gruppo di "Climalteranti"  qualcosa di strano che è stato detto al telegiornale di La7. Non ho un link al servizio, ma ho una registrazione (*) e vi trascrivo che cosa è stato detto al minuto 1.34, circa.

Ma la scarsità delle piogge, spiegano gli esperti, nulla ha a che vedere con il riscaldamento globale che invece, come confermano tutti gli studi, sta producendo un aumento delle temperature di circa 5 gradi per secolo. Per quanto riguarda le precipitazione, si tratta solo di un fatto casuale dovuto alla circolazione atmosferica.   

Ora, cosa dire di questa gran confusione di inesattezze (per non dire di scemenze)? Lasciamo perdere il discorso dei "5 gradi per secolo", non diciamo niente del concetto di "un fatto casuale dovuto alla circolazione atmosferica." Ma chi saranno mai questi 'esperti' che "spiegano" con tanta sicurezza che la siccità "nulla ha a che vedere con il riscaldamento globale."

Tutti questi articoli e servizi sui telegiornali avevano un'unica origine: un comunicato emesso dal CNR il 4 Dicembre e che trovate a questo link. Notate che non dice in nessun posto che la siccità "nulla ha a che vedere con il riscaldamento globale." E allora? Da dove è venuta questa idea al/alla giornalista che ha preparato il servizio di La7?

Così, ho telefonato al contatto fornito dal CNR, il collega Michele Brunetti che conosco essere persona seria e preparata. Lui mi ha raccontato che ha ricevuto svariate telefonate da giornalisti a proposito del comunicato del 4 Dicembre. Non si ricordava esattamente cosa avesse detto a quello di La7, ma molti gli avevano fatto la domanda se la siccità del 2017 era causata al riscaldamento globale. Lui aveva risposto che non lo si poteva provare su base statistica. Una risposta corretta anche se forse troppo cauta. In ogni casa, il/la giornalista di La7 l'ha interpretata in modo decisamente scorretto.

In realtà, se è vero che si può dire poco o nulla di clima a partire da un singolo anno, è anche vero che una correlazione statistica di lungo periodo fra riscaldamento e siccità nelle regioni Mediterranee esiste. Lo potete leggere, per esempio a questo link. Oppure qui. Secondo questi studi, il progressivo riscaldamento globale ci porterà una sempre maggiore frequenza di estati siccitose, anche se non possiamo dire quanto sarà siccitoso un anno specifico.

In sostanza, non è vero che la siccità di quest'anno "nulla ha a che fare con il riscaldamento globale." E' un evento che fa parte di una serie in crescita e che si ripeterà con sempre maggiore frequenza se non ci sono cambiamenti nelle tendenze attuali del riscaldamento globale.

Cosa dire di questa vicenda, allora ? Evidentemente, giornalisti e scienziati parlano lingue diverse, cosa che ho constatato direttamente anch'io in varie occasioni. Riusciranno mai a capirsi? A questo punto, comincio a dubitarne. Comunque, continuiamo a provarci.


(*) Se volete la registrazione completa del servizio su La7, scrivetemi a ugo.bardi(verralaparusiacomeladrodinotte)unifi.it 


giovedì 7 dicembre 2017

Il futuro è solare (ma non per tutti)


Dal blog "il Climologo" per gentile concessione dell'autore

Scritto il 6 December 2017 da VMARLETTO

A cura del gruppo Energia per l’Italia



Secondo un recente (e molto lungo) pezzo pubblicato in rete da V. Romanello e F. Andreoli nel sito filonucleare Atomi per la Pace l’energia fotovoltaica sarebbe in un vicolo cieco. In particolare secondo gli autori l’energia necessaria per costruire i pannelli sarebbe talmente elevata in rapporto alla produzione elettrica degli stessi che il loro uso non darebbe alcun vantaggio (in sostanza l’indicatore ERoEI – energia prodotta rispetto all’energia investita – risulterebbe inferiore all’unità).

L’articolo risulta pieno di forzature, tutte dalla stessa parte. Ad esempio si parla di un prezzo di €2.300 per kWp dell’impianto che forse è realistico per impianti piccolissimi (2 kWp). Al crescere della taglia però il prezzo tende a € 1.000/kWp (1,2).
La figura 10 di Romanello/Andreoli sul consumo di energia (massimo alle ore 18) si riferisce al 5 dicembre, giorno nel quale il fotovoltaico fa in effetti un po’ fatica alle 18. In verità, con le estati sempre più torride che inducono a forti picchi diurni di consumo elettrico per i condizionatori, avere in Italia un parco fotovoltaico da 20mila megawatt in piena attività nelle stesse ore è una vera benedizione per le nostre emissioni di gas serra.

Gli autori parlano inoltre di costi di pulizia e manutenzione pari a 15% all’anno che sono largamente esagerati, così come i rischi di incendio.

Nel pezzo si legge inoltre: “Bisogna considerare come la natura dei pannelli possa influenzare lo scenario incidentale in caso di incendio: quelli in silicio non danno particolari problemi, ma quelli all’arseniuro di gallio o al tellururo di cadmio possono rilasciare fumi tossici.” Peccato che in Italia i pannelli utilizzati siano praticamente solo quelli in silicio e che il tellururo di cadmio sia sostanzialmente assente dal contesto europeo anche per problemi regolatori.

Per sostenere le loro tesi gli autori fanno riferimento anche a un articolo di Ferroni e Hopkink apparso nel 2016 sulla rivista tecnica Energy Policy, il quale sosteneva conclusioni analoghe presentando una stima del citato parametro ERoEI (Energy Return on Energy Invested) inferiore a 1 (0,82). I conti però sono fatti per la Germania (per l’Italia bisogna scalare tutto in alto del 30-40%) e la lunghezza di vita del pannello (17 anni) sembra largamente sottostimata. In letteratura si citano invece valori di ERoEI pari ad almeno 5 e tipicamente 10 e oltre, assumendo tra l’altro una durata di vita dei pannelli di 30 anni. La durata dei pannelli dipende chiaramente anche dall’incentivo a mantenerli in funzione, e a continuare nelle normali operazioni di manutenzione dell’impianto.

L’articolo di Ferroni e Hopkirk tra l’altro generò una reazione molto pronta e critica da parte di un nutrito gruppo di scienziati tra i quali Ugo Bardi, professore di chimica all’università di Firenze, che in merito a questa vicenda ha risposto ad alcune domande.

D. Prof Bardi è vero che i pannelli fotovoltaici “non valgono la pena”?

R. Dipende da cosa si intende per “valerne la pena”. Se l’idea è di creare un futuro pulito e sostenibile per noi e per i nostri discendenti, direi proprio di si.


D. Quali sono i limiti dell’analisi di Romanello e Andreoli?

R. Romanello e Andreoli citano in pochi paragrafi i risultati di una ricerca in corso in tutto il mondo per valutare le prestazioni dei pannelli fotovoltaici in funzione dei vari parametri energetici. Come per tutte le cose, i risultati di queste valutazioni variano col tempo. Via via che i pannelli diventano più efficienti per via dei miglioramenti tecnologici la loro resa migliora. Migliorano anche le tecniche di analisi, per cui si arriva a valutazioni sempre più affidabili basandosi sull’uso rigoroso di standard internazionali condivisi. Purtroppo, non sempre questi standard vengono applicati, per cui alcuni risultati pubblicati si trovano a essere “fuori dal coro.”

Questo è il caso del lavoro di Ferroni e Hopkirk citato da Romanelli e Andreoli. Usando valori non-standard per i parametri e selezionando condizioni sfavorevoli, questi autori sostengono che il fotovoltaico ha una resa particolarmente bassa. Questo, semplicemente, non è vero. Il fotovoltaico ha oggi una resa molto vicina a quella dei combustibili fossili. Con l’andare del tempo, via via che la resa dei fossili diminuisce a causa della necessità di usare risorse non convenzionali, il fotovoltaico va a porsi come una sorgente pulita e conveniente di energia.

D. Quali sono le più recenti valutazioni in merito all’efficacia del fotovoltaico come sorgente di elettricità pulita ed alternativa a quelle tradizionali (fossili e nucleare)?

R. C’è un lavoro del gruppo di Christian Breyer e altri che riassume la situazione. In sostanza, il fotovoltaico funziona e funziona bene. Tutta la fuffa in proposito è politica, non scienza.

Il lavoro citato da Bardi è recentissimo e si intitola “Global Energy System based on 100% Renewable Energy – Power Sector” ed è un corposo rapporto presentato durante la conferenza sul clima COP23 di Bonn. Nel riassunto del rapporto si legge che “La transizione globale al 100% di elettricità rinnovabile è fattibile in ogni ora di tutto l’anno ed è meno costosa del sistema attuale, largamente basato su fonti fossili ed energia nucleare. La transizione energetica non è più questione di fattibilità tecnica o economica, bensì di volontà politica.”

Il messaggio è quindi molto chiaro, chi dà ascolto a ragionamenti costruiti ad arte per gettare cattiva luce (è il caso di dirlo) sull’energia solare, commette un errore gravissimo, specie se è in grado di condizionare le scelte politiche, o addirittura in posizioni di comando.

Ancor prima di Breyer, il lavoro certosino del prof. Mark Jacobson di Stanford e colleghi da anni indica chiaramente che la strada verso il 100% rinnovabili al 2050 è non solo praticabile ma foriera di grandi vantaggi in termini di occupazione, salute umana e, ovviamente, protezione del clima.

Le politiche energetiche italiane da qualche tempo appaiono invece influenzate da cattivi maestri (o da cattiva volontà). I cittadini però devono sapere cosa sta succedendo per davvero in questo settore, che è cruciale e strategico non solo per il benessere e l’economia ma anche per la protezione della salute, della natura e del clima planetario.


(1) https://www.greentechmedia.com/articles/read/report-how-much-does-a-solar-pv-system-cost-in-2016#gs.GPlbUi4

(2) Fraunhofer ISE (2015): Current and Future Cost of Photovoltaics. Long-term Scenarios for Market Development, System Prices and LCOE of Utility-Scale PV Systems. Study on behalf of Agora Energiewende.


A cura del gruppo Energia per l’Italia

lunedì 4 dicembre 2017

Non si uccidono così anche i cavalli? (Il dirupo di Seneca dell'umanità)



Vedi un po' dove si ritrova il "dirupo di Seneca"!! Con la popolazione dei cavalli negli Stati Uniti (sorgente)


Nel suo blog, "micidial" Massimo Bordin fa un'osservazione molto azzeccata. Dice:
C'è stato un periodo della storia - il periodo più lungo della storia dell'umanità - nel quale i cavalli avevano tantissime cose da fare. Venivano impiegati per trasporti di uomini e alimenti, calessi e carrette. In guerra, come in pace. Oggi, per vedere un cavallo bisogna andare all'ippodromo, al maneggio o al circo. La stragrande maggioranza degli occidentali non ha mai avuto a che fare con un cavallo, gli risulta completamente inutile, se non per attività ludiche o sotto forma di bistecche, in carenza di ferro.
Bordin fa poi notare come lo sviluppo dell'automazione e dell'intelligenza artificiale sta facendo diventare gli esseri umani altrettanto inutili dei cavalli, in guerra come in pace. Cita poi il recente rapporto McKinsky, dicendo:
Per rimanere "vivi", i lavoratori dovranno cercare la riqualificazione in diversi campi e come se fosse l'acqua nel deserto. "Ma i governi e le aziende - sostiene magnanimamente il report - dovranno contribuire a facilitare quella che dovrebbe essere una transazione durissima".
Comparando gli esseri umani ai cavalli, citando il termine "transizione durissima" e usando la frase "rimanere vivi" (sia pure con il 'vivi' fra virgolette) Bordin fa venire subito in mente che cosa ci potrebbe essere in serbo per l'umanità: un "dirupo di Seneca" (ovvero un rapido collasso) della popolazione simile a quello subito dai cavalli nel ventesimo secolo.

Il collasso della popolazione umana, in questa ipotesi, non sarebbe causato dai disastri generati dal riscaldamento globale o dall'esaurimento delle risorse ma, semplicemente, dal fatto che  la maggior parte degli esseri umani diventerebbero inutili - ovvero non avrebbero più alcun valore economico.

Non che gli esseri umani verrebbero sterminati; non risulta che i cavalli siano stati sterminati (beh, non tutti, perlomeno). Semplicemente, quando i cavalli hanno cessato di essere utili, non sono stati messi in condizione di riprodursi. E, in effetti, sembra che sia proprio quello che sta succedendo agli esseri umani, con la natalità che sta crollando più o meno ovunque (anche se in Europa e in Italia crolla più della media).

E allora? E allora, beh, consoliamoci: i cavalli hanno passato un brutto periodo, ma ci sono ancora; anzi, la loro popolazione è in aumento. Chissà se sarà questo il destino degli esseri umani.



domenica 3 dicembre 2017

Un sogno di Freud (L'invidia del pelo)

Dopo che c'e stata qualche polemica sui commenti di questo blog, cerchiamo di rasserenare un po' gli animi con un racconto molto creativo e intelligente di Elena Corna, di cui abbiamo già visto un post giorni fa. Non ha a che fare con le catastrofi, per una volta! Leggetelo, perché è molto divertente. 



UN SOGNO DI FREUD
Un racconto di Elena Corna




“…Non ti spaventare…Mi chiamo Emmelina Freud e sono la tua pronipote. Ti parlo dal 1996.”

Sto sognando e so che sto sognando. Interessante. Mai successo. Perché sogno la mia pronipote? Perché il mio inconscio desidera una pronipote? Perché il 1996?

“No, zio, questo non è un sogno della categoria che studi tu. Sono io che sono venuta nel 1923 per dirti una cosa importante.”

I sogni sono un appagamento del desiderio…

“Guarda che ci sono diversi tipi di sogni, mica solo quelli lì. “

 Diversi tipi di sogni? E’ un’ispirazione questa che sto avendo?

“Per favore, zio. Sono tua nipote e ti appaio in sogno dal futuro, punto e basta. Accettalo, santi numi! E ora ascoltami.  Non ho molto tempo. A che ora hai messo la sveglia?”

Non ho messo la sveglia, domani non ho impegni al mattino.

“Benissimo, allora cerca di dormire finché non finisci il sogno.  Ti devo parlare per evitarti un grosso errore.”

Errore?

"Sì. So che stai scrivendo un nuovo saggio, è lì sulla tua scrivania.”

Certo. Sulla sessualità infantile. Importante.

“Sì, ma zio. Cito: “…non si pone un'alternativa tra maschile e femminile, ma tra genitale maschile da un lato e l'essere evirati dall'altro. Quando constata la 'propria inferiorità organica', la bambina suppone di aver posseduto una volta un membro  e di averlo in seguito perduto per evirazione" .

E’ il brano sull’invidia del pene, sì.

“Ecco, zio, l’invidia del pene non esiste. Stai prendendo una cantonata e la vorrei prevenire. Guarda che in futuro su questa cantonata rideranno anche i polli. So che sto interferendo nel corso della storia ma chi se ne frega, non è un’interferenza di quelle che cambiano il corso delle cose. Però si potrebbe evitare una figuraccia alla nostra famiglia in generale e a te in particolare.”

Ma come? Lo sviluppo della psiche della bambina, vero, dalle mie osservazioni…

“Zio, l’invidia del pene non esiste. Senti questa barzelletta: ci sono un bambino e una bambina che confrontano i loro giocattoli e il bambino mostra un giocattolo dopo l’altro vantandosi. A ogni giocattolo la bimba risponde con un altro giocattolo. “Io ho questo!” “E io ho questo!” “E io ho anche questo, tu ce l’hai?” “Certo, e ho anche questo..” Alla fine il bambino, esauriti gli oggetti, abbassa i pantaloni e dice: "E io ho questo! Tu questo non ce l’hai!!” E la bambina, serafica: "Pfui, io con la mia di quelli ne prendo quanti ne voglio.”

Ma, Emmelina, è solo una barzelletta! Io sono uno studioso…

“Dai, che lo sai bene anche tu che le barzellette nascondono una scheggia di verità. Non sei tu che hai scritto qualcosa sui motti di spirito?...Va bene, ora te lo argomento secondo i tuoi canoni…

Interessante. Chissà se al risveglio ricorderò tutto questo. Difficile. Sta parlando da dieci minuti. Convincente, però. Sì, può essere. Sto davvero prendendo una cantonata che lederà la mia credibilità? Va bene, mi hai persuaso. Sì, sì, hai ragione. Ben argomentato. Come le sai tutte queste cose?

“ Ho due lauree. Sai, alla fine del ventesimo secolo le donne studiano.”

C’è un problema, Emmelina cara. Durante una conferenza ho accennato al mio nuovo studio, ora la comunità scientifica se lo aspetta… anche se sono rimasto un po’ sul vago…

“Per Giove, non avrai parlato di evirazione e ferita narcisistica eccetera?”

No, sono certo di no. Però ho accennato all’invidia. Anzi, sono sicuro che hanno colto solo quella parola. Sai, volevo lasciare un po’ di aspettativa. Si aspettano comunque un saggio sull’invidia.

“ Beh, con tutte le invidie che ci sono, devi solo deviare l’oggetto dell’invidia.”

Sì, ma sono banalità. L’invidia della ricchezza, della bellezza, dei quarti di nobiltà…Queste cose le sanno tutti. Ci vorrebbe un’invidia inedita. Un’invidia profonda.  Un’invidia inconscia.

“ Ecco, zio, un’ idea ce l’avrei. Mi è venuta vedendo un video…”

Un cosa?

“Un esperimento. Un esperimento sociale. I ricercatori si avvicinavano a persone sconosciute…”

Dove?

“Dappertutto. Per la strada, nei bar, in treno. Dunque, si avvicinavano e li accarezzavano sulla testa o sulle spalle per vedere come reagivano. L’idea era venuta guardando la gente che normalmente, appena vede un cane a passeggio, lo accarezza sulla testa. Allora ci si è chiesti perché tutti considerano normale accarezzare dei cani estranei e non i propri simili. Così gli sperimentatori andavano qua e là accarezzando le capocce di perfetti sconosciuti. E quelli come pensi che reagissero?”

Male, molto male.

"Infatti. E sai perché?"

Ma è ovvio. Invasione della sfera privata. Mi stupisco che tu ti stupisca. La nostra civiltà reprime il contatto fisico, non siamo scimpanzé che si spulciano. Perché diavolo uno dovrebbe venire ad accarezzarmi la testa?

“Tutto questo è vero, ma c’è di più. Ti chiedi perché diavolo uno dovrebbe venire ad accarezzarti la testa. E te lo chiedi anche perché sai benissimo che non c’è niente di piacevole nell’accarezzarti la testa. Cioè, né la tua né quella di altri. A te viene mai voglia di accarezzare la testa di qualcuno?”

Se penso a certe testoline…

“E non pensare al sesso come tuo solito, zio Siggy. Dimmi chi c’è che accarezza la testa di un altro.”

Ma Emmelina, dove vuoi arrivare? Le mamme accarezzano i figli, i mariti le mogli eccetera.

“Appunto. Si fa per affetto, non perché sia piacevole.  Invece quasi tutti accarezzano cani e gatti anche sconosciuti. E lo fanno perché lo trovano piacevole. Che ne dici?”

E’ molto gradevole, sì. 

“Perché? Continua. Perché, zio?”

Piacevole. Soprattutto i gatti. Affondare le dita in quel pelo…

“Touché! E’ il pelo che è piacevole. “

Sì, il pelo è bello. Tutti quei colori, quelle striature, quel calore, quella morbidezza... Diamine, appena mi sveglio vado a mettere le mani sul gatto dei vicini.

“Ecco, zio. Gli umani sono attratti dal pelo di cani e gatti perché è bello e anche perché… loro non ce l’hanno. L’abbiamo perso, il pelo. Una cosa così bella come il pelo ce la siamo persa o insomma non ce l’abbiamo. E lo invidiamo. “

L’invidia del pelo?! Mi stai prospettando un’invidia del pelo?

“Già. Pensaci, zio: le donne non vanno in giro con dei cetrioli o delle cose a forma di pene, ma amano andare in giro con le pellicce. Le pellicce sono belle, le donne le vogliono perché pensano che le rendano più attraenti. In sostanza, piacciono alle donne che pensano che piacciano anche agli uomini. Se questa non è invidia del pelo!”

Geniale, Emmelina, davvero geniale.  Indubbiamente, sei mia nipote. Grazie, grazie. Spero di ricordarmi questo sogno… Appena mi sveglio mi metto al lavoro. Dopo aver affondato le mani nel pelo del gatto, beninteso. 

“Ora devo andare zio, è quasi mattina e fra poco ti sveglierai. Ma ti ho detto quello che volevo. Ce l’abbiamo fatta per un pelo.”
…………………………………………………………………………………..

Che bella mattina di sole. Guarda guarda, devo essermi agitato stanotte. Per un pelo non sono rotolato giù dal letto. Per un pelo…Qualcosa mi risuona. Ho la sensazione di aver fatto un sogno importante…Cos’era?...Per un pelo… per un pelo Martin perse la cappa. Cercare il pelo nell’uovo. Non avere peli sulla lingua. Mah. Forse potrei scrivere qualcosa sui proverbi e i modi di dire…Ci penserò.


Commenti disabilitati su "Effetto Cassandra"

Gentili lettori,

scusate, ma mi è parso il caso di disabilitare i commenti a questo blog, perlomeno per un certo periodo. Insieme con i vari autori che pubblicano su questo blog facciamo il possibile per mettere a disposizione di tutti dei post che siano interessanti e informativi. Sui commenti, purtroppo, ultimamente abbiamo visto soltanto sfoghi personali e insulti - cose perfettamente comprensibili vista la situazione, ma mi pare il caso di ridurre la "temperatura" dei commenti mettendo in pausa tutto per un po'. (Nota: gli autori del blog possono ancora commentare e se avete qualcosa da dirmi, scrivetemi pure a ugo.bardi(pispolino)unifi.it)

venerdì 1 dicembre 2017

La Svizzera a 2000 Watt.

di Jacopo Simonetta

Il 4 ottobre scorso il Movimento Decrescita Felice e l’Associazione Italiana Economisti dell’Energia hanno organizzato a Roma, in Campidoglio, un’interessante convegno dal titolo: “ Modelli per la valutazione dell'impatto ambientale e macroeconomico delle strategie energetiche” (qui il link al sito per consultare tutte le relazioni).
In una serie di articoli cercherò di riassumere le presentazioni, tutte molto interessanti sia per le cose che sono state dette, sia per le cose che sono state taciute. Per prima vorrei qui trattare quella che il 4 ottobre è stata esposta per ultima, dal dr. Marco Morosini, perché, pur non avendo un contenuto tecnico rilevante, ha un contenuto politico potenzialmente rivoluzionario.

Di che si tratta?

Società a 2000 Watt” è un’idea elaborata nel 1998 da due politecnici federali: quello di Zurigo (ETH) e quello di Losanna (EPFL). Adottata nel 2002 come linea-guida dal governo federale e diventata legge locale nel 2008 a Zurigo, sempre tramite referendum (78% di si). Nel 2016 è stata approvata dal parlamento federale e nel 2017 resa attuativa con referendum nazionale (58% di si). In sintesi si tratta di porsi un obbiettivo vincolante: entro il 2050, ridurre i consumi pro-capite di energia di circa 2/3 rispetto ad oggi, portando le emissioni di CO2 a una tonnellata a cranio all'anno.

Perché è importante?

“Ridurre i consumi e le emissioni” è un mantra che oramai abbiamo sentito tante volte da dare la nausea, perché questa volta potrebbe essere diverso? Per svariate ragioni che si possono così riassumere:
1 - Non si tratta di una generica indicazione o di una dichiarazione di buoni propositi, bensì di una legge dello stato che stabilisce un obbiettivo preciso entro un tempo dato.
2 – Non si usano concetti vaghi ed elastici come “sostenibilità”, mentre si usano termini precisi: “Società” - significa che coinvolge tutti i cittadini in cambiamenti sostanziali - e “2000 Watt” - una quantità precisa espressa mediante un’unità di misura conosciuta.
3 – Si specifica che gli interventi dovranno svilupparsi secondo un ordine preciso di priorità: Primo ridurre i consumi di energia; secondo aumentare l’efficienza; terzo incrementare il ricorso alle rinnovabili; quarto uscire dal nucleare.

Il punto qualificante ed innovativo dell’intera faccenda è proprio che, per la prima volta in un documento governativo, si ha il coraggio di dire chiaro e tondo che gli obbiettivi non saranno centrati senza, per prima cosa, una diffusa adozione di stili di vita nettamente più sobri dell’attuale. Un fatto condensato con lo slogan “Fare meno con meno”, in contrasto con il “Fare di più con meno” di cui solitamente si parla. Insomma, dare finalmente la priorità alla Sufficienza sull'efficienza.
Naturalmente,  ben venga l’efficienza, ma solo in un quadro di riduzione programmata dei consumi finali; altrimenti non si farebbe che reiterare il perverso meccanismo che ha moltiplicato per 20 (circa) i consumi pro-capite dai tempi in cui Mr. Watt progettava le sue caldaie a vapore. E che ha finora vanificato qualunque tentativo di ridurre davvero le emissioni climalteranti.

Cambiare rotta

Finora, i tentativi di pianificare una reale riduzione dei consumi si sono puntualmente arenati su tre secche ideologiche principali:

Secca 1 – “La riduzione della prosperità materiale non necessaria perché l’aumento di efficienza ridurrà il consumo energetico”. Solo in teoria, perché durante tutta la storia dello sviluppo industriale lo smisurato aumento nell’efficienza delle tecnologie ha comportato un aumento e non una diminuzione dei consumi finali. Può sembrare strano, ma è così.

Secca 2 – “La riduzione del consumo energetico non è necessaria se si userà il 100% di energie rinnovabili.” Falso per due ordini di motivi: il primo è che anche le energie rinnovabili hanno impatti ambientali spesso considerevoli, mentre richiedono materiali rari e processi industriali energivori. Il secondo è che ad oggi le energie rinnovabili coprono poco più del 10% del consumo globale (principalmente con l’idroelettrico che è la tecnologia più efficiente, ma anche più impattante). Non è realistico pensare di poter rendere maggioritaria questa percentuale senza ridurre di almeno 2/3 i consumi finali.

Secca 3 –“La riduzione del consumo energetico e della prosperità materiale non sono possibili perché sono inaccettabili per la popolazione e per l’economia”. E’ stato vero finora, ma se gli svizzeri riusciranno a portare avanti il loro progetto, avremo l’esempio di un’intera nazione che accetta una contrazione economica pur di ridurre il proprio impatto sul pianeta!

Se gli svizzeri riusciranno a centrare gli obbiettivi è presto per saperlo, ma questa volta sono partiti col piede giusto e davvero è già tanto.

lunedì 27 novembre 2017

La Politica può cambiare le cose?



Nel loro grande e ultimo aggiornamento - I nuovi limiti dello sviluppo, 2004; - del loro primo lavoro D. e D. Meadows e Jorgen Randers affermano: "l'umanità può rispondere in tre modi ai segnali che indicano come l'uso delle risorse e l'emissione di inquinanti siano cresciuti oltre i limiti sostenibili. Un modo è non riconoscere, occultare o confondere i segnali"; "un secondo modo di rispondere è alleviare le pressioni derivanti dai limiti ricorrendo ad artifici tecnici o economici"; "il terzo modo è volgersi alle cause sottostanti, fare un passo indietro e riconoscere che il sistema socioeconomico umano, così com'è organizzato oggi, non è governabile, ha superato i limiti e va verso il collasso; dopo di che, cercare di cambiare la struttura del sistema" (pag.282-284). 
 
Ora, poichè secondo gli autori "tutto quello che possiamo fare è intervenire sui flussi produttivi da cui dipendono le attività umane riportandoli a livelli sostenibili attraverso scelte, tecnologia e organizzazioni umane..." (pag.35), cosa può voler dire cambiare la struttura se è l'"economia-politica" la struttura del sistema?

Fra le scelte necessarie che l'umanità dovrebbe compiere vi è, come noto, una autoriduzione della popolazione: si dovrà raggiungere una stabilità fra natalità e mortalità, poichè la popolazione è uno dei due "motori della crescita esponenziale nella società umana" (insieme al "capitale produttivo"; pag.50) e tende a crescere a tassi iperesponenziali.

Se cambiare la struttura significa regolare il sistema economico, bisognerà fare i conti con "l'anello di crescita del capitale" il quale ha fatto si che "l'industria crescesse maggiormente della popolazione" generando crisi da sovraproduzione e bassa domanda. Inoltre, bisognerà fare i conti col fatto che "le forme attuali di crescita perpetuano la povertà e ampliano il divario fra ricchi e poveri" (pag.66).
La questione che si pone perciò è: è possibile modificare il sistema economico evitando che vi siano accumulazioni di capitale (monopoli) e disuguaglianze?

Vi sono "fattori che regolano la crescita e che possono contenere il sistema entro confini accettabili" (pag.54)? Si tratta appunto di capire se vi siano feeback negativi (nel senso utilizzato in LTG 2004) entro un'economia monetaria, in grado di riequilibrarla e se questa possa assumere una forma diversa dal capitalismo neoliberista attuale. Poichè "sono all'opera due strutture generali [...] che per ragioni sistemiche danno al privilegiato potere e risorse per accrescere il loro privilegio" e che "tendono ad essere endemici in ogni società se questa non introduce coscientemente strutture di compensazione per contrastare le disuguaglianze" (pag.69).

Quali potrebbero essere queste strutture di compensazione? Si tratta di interventi politici come "imposte progressive sul reddito", ecc. Ma siamo sicuri che questo cambierebbe la struttura del sistema? Chiediamo dunque: è possibile cambiare il sistema economico mantenendo inalterata quella "struttura politica" che gli fa da sfondo? Qual è questa struttura? La questione è assai spinosa perché pone il problema di "chi e come" può cambiare una struttura.

La nostra cultura risponde all'unanimità che solamente tramite mutamenti di carattere politico è possibile cambiare le strutture della nostra società. Ma se fosse persino la Politica una struttura, o meglio, un sistema? In che senso?

La cosa non dovrebbe stupire se si risale all'accezione con cui si denominava nel XVIII secolo: Economia politica classica. Ebbene si: l'economia è una forma di politica e non è disgiungibile da essa (dopo Torleb Veblen, fra i più recenti Jean Baudrillard è quello che l'ha mostrato meglio), perciò l'idea che l'economia sia qualcosa di regolabile dalla politica è un'idea ingenua ma assai difficile da rigettare, poichè la dimensione politica è il fondamento della nostra cultura (in particolare mantenere la divisione fra la sfera privata degli elettori e quella pubblica dei decisori) e di ciò che ci vantiamo di chiamare democrazia.

Si tratta di dimostrare che la creazione della ricchezza non può aver luogo senza un correlativo aumento della popolazione. Un'affermazione certamente scandalosa. Vi sono condizioni alla base che sono:

1- un continuo aumento dei flussi estrattivi: energia a basso costo e materie prime
2- un aumento costante della produzione industriale
3- aumento costante della domanda di beni e servizi e dunque dei consumi

Ora, la popolazione deve crescere per alimentare i consumi o può aumentare il PIL procapite mantenendo stabile la popolazione? Qui infatti, come dicono in LTG "la bassa crescita della popolazione comporta un maggiore PIL procapite" invece, al contrario, nei paesi poveri l'"aumento di popolazione genera più povertà e ancora aumento di popolazione" (pag.66).

 
 [fonte: "Ambiente, Risorse, Sviluppo Sostenibile; di Selenia Arigliano]

A livello globale non esistono "diverse" economie bensì una medesima economia globalizzata. Ora, non è un caso che la Cina sia entrata nel WTO sin dal 2001 e che da allora sia diventata l'autentico motore della crescita mondiale, infatti è più o meno da allora che le economie occidentali hanno incominciato a rallentare. E la Cina non è esattamente un paese piccolo.

Dall'altra parte se non fosse per l'India non vi sarebbe un'adeguato "output" a consumare una fetta della produzione mondiale. Questi due paesi sono quelli che dobbiamo ringraziare quando elogiamo la crescita (e quando deridiamo il "made in China"; i governi mondiali hanno ben pensato di chiudere un'occhio nei confronti della odiosa ideologia comunista, trattandosi di affari..). Qui sotto, in azzurro "the rest of the world" comprende Cina e India, mentre notiamo come i paesi OCSE in blu scuro e tutti gli altri colori tendano al declino in termini di consumi energetici:

Risultati immagini per tverberg global consumption
[fonte: Gail Tverberg, Our Finite World]

Se consideriamo che la popolazione dei paesi sviluppati cresce ad una media dello 0,4% è evidente che ci pensa il resto del mondo a compensare questa situazione (Asia in media 0,9% e paesi poveri oltre 2% annuo). E' per questo che gli investitori occidentali si rivolgono ai mercati emergenti, poichè là trovano quella spinta alla crescita della popolazione e del capitale produttivo che si è ormai esaurita in Occidente. Quando toccheranno anche loro i "limiti dello sviluppo"? A quel punto vedremo anche là diminuire i tassi di crescita della popolazione.

Conclusione

Non sembra verosimile che la sfera politica possa generare feedback negativi tali da cambiare o equilibrare la struttura del sistema invertendo la tendenza al BAU delle nostre società. Ragion per cui attendersi dei cambiamenti su larga scala (come la COP21) dai politici non ha alcun senso poiché la "classe politica" mantiene tutti gli interessi nel perpetuare questo sistema e mostrerà sempre resistenze al cambiamento.

Se la Politica è un sistema, accoppiato all'economia, vediamo che andare a modificarne la struttura sembrerebbe qualcosa di una misura tale da non essere nemmeno compresa. Come cambiare la politica senza una rivoluzione politica a sua volta? Tale è la nostra forma mentis.

And so, what's next?




mercoledì 22 novembre 2017

Le Ultime Frontiere dell'Etologia





Nonostante il titolo molto scientifico, questo è un racconto di genere fantastico. Un po' erudito, un po' dissacrante, un po' divertente, un po' ironico; forse lo possiamo definire come fantascienza o, semplicemente, come una sottile riflessione sulla natura umana. Di Elena Corna potete anche leggere "La Metamorfosi Liquida" su questo blog. 


Le ultime frontiere dell’etologia

di Elena Corna


La sala, se vogliamo chiamarla così, era gremita. Per ascoltare i due illustri etologi erano accorsi una quantità di altri etologi, studenti di etologia, studenti in generale e anche non studenti: maschi, femmine, giovani, anziani, colti e meno colti. Naturale: in una società minimamente evoluta la curiosità intellettuale è necessariamente molto elevata. Mentre gli intervenuti si acciambellavano allegramente e sistemavano i loro generi di conforto, il moderatore Bibi si apprestava a presentare i due relatori.

        “Abbiamo il piacere di avere con noi Tututututu e il suo assistente Pepepepe, che ci presenteranno i risultati della loro ultima indagine, svolta nell’ambito del Progetto sulla ricerca dell’autocoscienza delle specie animali.”

Scroscio di applausi, se vogliamo chiamarli così. I due relatori erano infatti due luminari, come dimostra la lunghezza del loro nome (più volte la sillaba del nome è ripetuta, più il portatore del nome si trova in alto sulla scala della conoscenza).

         “ Per quelli di voi che non erano presenti alle precedenti serate, dirò due parole su questo Progetto, che mira a rispondere al fondamentale quesito: ‘Sono le specie animali terrestri autocoscienti, oltre che senzienti?’ Ebbene, il Progetto ha dimostrato che sì, gli animali sono autocoscienti. Non sono state esaminate tutte le specie, s’intende. Sono così numerose! Tuttavia le ricerche svolte finora sono confortanti. E’ stato dimostrato che sono dotati di autocoscienza quasi tutti i mammiferi, molte specie di volatili e anche di gasteropodi. E’ noto che più una specie è elementare, più lo studio è difficile. Ma un’uguale difficoltà si incontra anche nello studio delle specie complesse, proprio a causa della loro complessità. Ecco perché l’indagine di cui parleremo stasera era stata lasciata fra le ultime, proprio perché riguarda una specie particolarmente complessa. Ma cedo ora la parola agli illustri Tututututu e Pepepepe , che tenteranno di rispondere alla domanda: ‘E’ la specie umana dotata di autocoscienza?’
        
In mezzo a un altro scroscio di applausi, Pepepepe accenna un sorriso, se vogliamo chiamarlo così, ed esordisce: “Innanzitutto vorrei ringraziare i colleghi della Facoltà di Linguistica che hanno collaborato con noi e che stasera non sono qui; si scusano, ma è in corso un importante convegno sulle modalità di comunicazione telepatica. Se tutto va bene, già dopodomani potranno essere comunicati i risultati, che ci diranno se le onde-pensiero possono trasmettere i significanti, oltre che i significati.”

Il mormorio di ammirazione che si leva dall’uditorio costringe Pepepepe a una pausa.

Con un gesto, Bibi ristabilisce il silenzio.

“Ci vuole spiegare, professore, il motivo del sodalizio fra etologi e linguisti?”

“ Il motivo è la natura sperimentale di questa ricerca. Infatti, essendo la specie homo sapiens dotata di un linguaggio articolato, abbiamo pensato di studiarne l’autocoscienza dalle tracce linguistiche. In parole povere, il primo segnale di autocoscienza si ha quando un essere, mettiamo un polpo, pensa: “Io sono un polpo”. Nel caso di una specie che comunica prevalentemente con un linguaggio verbale, abbiamo pensato di monitorare l’uso che fa del termine che la definisce, ossia umano. Molto semplice.”

Interviene l’emerito Tututututu:”Collega, occorre dire all’onorevole pubblico che i linguaggi umani sono molteplici…”

“Sì, certo, stavo per dirlo: la specie ha elaborato migliaia di lingue, per cui era necessario sceglierne una. La scelta è caduta sull’italiano.”

Mormorio interrogativo fra la folla. Prontamente, Bibi mostra un punto su un grande mappamondo, per quelli che ignorassero l’ubicazione o l’esistenza di luogo nomato Italia. Il mormorio si placa ma non del tutto.

“La scelta, che può apparire peregrina, ha una sua logica -continua Pepepepe- Volevamo un idioma non troppo antico, che avrebbe potuto rivelare un apparato concettuale obsoleto, né troppo recente; né molto raffinato, come il greco, né schematico. Insomma, una lingua che riflettesse la media, per così dire, dell’homo sapiens. Abbiamo fatto la scelta giusta? Non si sa. Ma non entro nel merito e passo la parola all’esimio collega”.

Il pubblico pende dalle labbra, se vogliamo chiamarle così, di Tututututu.

“All’inizio della ricerca, il nostro sensore lessicale ha fiutato il termine umano, come era ovvio aspettarsi, in svariati testi soprattutto didattici, in cui è associato a parole come anatomia, riproduzione, società e anche dimensione. Dunque essi sanno di essere una specie a sé stante con un funzionamento differente da quello, poniamo, di un manzo o di un pappagallo. L’indagine, per noi, era già finita. Ma ecco che, proprio mentre stavamo per chiudere il rapporto, il sensore ha segnalato un giacimento del termine umano su molti giornali…”

Diligentemente, il moderatore sventola alcuni esemplari di giornale ad uso di coloro che non fossero a conoscenza di tale manufatto.

“ …a proposito della caccia alle foche. La questione era questa: sollecitato dalle proteste di molti umani amanti delle foche, il governo di un territorio chiamato Canada ha ripetuto numerose volte che le foche sarebbero state uccise  in maniera umana. Molto strano: la specie umana infatti pratica tutte le forme possibili di uccisione, spesso con estrema crudeltà. Uccide continuamente, sia cospecifici sia altri.”

Un mormorio di orrore sale dalla sala.

“So che è strano, ma è una caratteristica della specie…”

“Professore,- interviene una voce- sarà perché sono troppi? Sappiamo bene che la mancanza di spazio vitale è il fattore principale che induce all’aggressività…”

“Che cavolo dici?-interrompe un'altra voce- Essi se la prendono con le foche, e non c’è competizione territoriale con le foche!”

“Ehm…-continua Tututututu- sì, in effetti sono un po’ troppini, e questo è un fattore importante… ma c’è sicuramente dell’altro. Comunque, ora non possiamo parlare di questo. Permettetemi di tornare al punto: uccidere in maniera umana non può significare altro che uccidere spietatamente. Forse i sostenitori del massacro delle foche hanno inteso dileggiare gli oppositori? Questa sembra l’unica ipotesi possibile; comunque, l’evidenza richiedeva un approfondimento, perciò abbiamo puntato il sensore sul parlato. E lì abbiamo fatto una scoperta bizzarra.”

Il professore fa una pausa per guardare la curiosità gonfiarsi, con la soddisfazione di un pizzaiolo che fa lievitare la pasta a regola d’arte..

“Abbiamo scoperto che l’associazione più frequente nel linguaggio è quella fra il termine umano e una categoria di essere umano, per esempio un impiegato, un infermiere o un poliziotto. ‘Che fortuna, ho trovato un medico umano!’ dicono. Tuttavia, è assodato che nelle società umane non esistono impiegati, infermieri o poliziotti che non siano umani. Non abbiamo trovato nemmeno un funzionario che fosse uno scimpanzè, una megattera o un individuo di un altro pianeta. Dunque, ci siamo chiesti, perché gli umani si stupiscono quando trovano qualcuno umano? Lo sanno di già di avere a che fare con un altro umano! Ebbene, signori, trovare qualcuno umano, nel linguaggio corrente, significa trovare qualcuno solidale e comprensivo! Essi allora si stupiscono,  perché di solito gli umani sono arroganti e spietati. Essere arroganti e spietati perciò è considerata come la norma per gli umani. Ma allora, quando trovano un individuo gentile e solidale dovrebbero sì stupirsi, ma dire: ‘ Che fortuna, ho trovato un funzionario disumano!’ “

Un mormorio di approvazione  si diffonde fra l’uditorio.

E’ Pepepepe a riprendere il discorso, mentre il collega si tuffa in una pozza d’acqua (nota: c’è chi beve portando l’acqua dentro se stesso e c’è chi beve portando se stesso dentro l’acqua; questo vale tanto nella vita quotidiana quanto ai congressi)

“ Vedo che non vi sfugge la mancanza di logica dimostrata dalla specie in esame. Ebbene, caro pubblico, non è tutto qui!”

Gli risponde una serie di splash  e di munch munch, segno che il pubblico, ormai rilassato, ha attaccato i generi di conforto.

“Paradossalmente, e vi prego di notare il paradosso, il termine disumano viene usato per definire dei comportamenti particolarmente aggressivi; quando uno stupra, tortura, incrudelisce, allora viene chiamato  disumano. Eppure, la capacità di incrudelire e di far soffrire gratuitamente è specificamente umana. Per loro stessa ammissione, gli umani non hanno mai visto nessun altro comportarsi così. Non gli altri animali, che uccidono solo per fame, o per difendersi in  caso di minaccia, non i vegetali, che poveretti stanno fermi, non gli dèi, che stanno solo nei miti, non gli alieni, che per ora non hanno avuto il piacere di conoscere. Quindi, tutto ciò che definiscono disumano è in realtà tipicamente umano.”

“Ma è assurdo…”  “Non ha senso…” interloquisce qualcuno dal pubblico.

Riemergendo, Tututututu annuisce vigorosamente e riprende la parola. “E invece è così! Ciò che afferma il collega è corretto. Ma c’è di più! Puntato sui media, il nostro sensore è quasi andato in tilt, per il numero esorbitante di volte in cui ricorre il vocabolo umano.”

“Professore, un attimo! Mi lasci spiegare cosa si intende per media!” lo interrompe Bibi, issando sul tavolo dei relatori un esemplare di TV e alcune riviste.   Dopo una breve e ansante (l’apparecchio Tv si era rivelato piuttosto pesante per il fisico di Bibi) spiegazione, Tututututu riprende il discorso:

“C’è di più, gentile pubblico. Devo fare una premessa: sappiate che gli umani sostengono di avere in esclusiva alcune doti che gli altri animali non hanno: raziocinio, capacità di astrazione e di calcolo, autocontrollo. Essi ritengono di essere l’unica specie terrestre dotata di tali qualità. Ebbene, una combinazione frequente è quella del termine umano con i sostantivi “doti” o “qualità”. Continuamente i media segnalano le ‘qualità umane’ di qualcuno. Ora, è logico aspettarsi che si faccia riferimento al raziocinio eccetera, giusto?”

Una moltitudine di teste, se vogliamo chiamarle così, annuisce convinta.

“ Invece no, caro il mio pubblico! Le doti di umanità spesso decantate definiscono un insieme di adattabilità, di empatia e di disponibilità verso i propri simili. Quando un umano si distingue per le sue ‘doti di umanità’ si intende questo.  Ma tutte queste facoltà, che sono, per così dire, più sentimentali che raziocinanti, sono esattamente quelle che vengono riconosciute agli altri animali! Anzi, è difficile per gli umani raggiungere il grado di fedeltà, di abnegazione e di affetto incondizionato di cui sono capaci, ad esempio, i cani. Perciò, le migliori doti che l’umanità si riconosce sono alla fine quelle animali. Inoltre, in un confronto fra un individuo impulsivo e passionale e un altro logico e calcolatore, è sempre il primo che viene definito umano. Perché, io mi chiedo e vi chiedo, non è mai l’umano logico e pianificatore che viene complimentato per la sua umanità? Eppure è proprio lui che dimostra quelle caratteristiche che l’homo sapiens  ritiene una sua esclusiva conquista! Perché?”

Assetato per la lunga tirata e per la frustrazione del ricercatore che non ha cavato un ragno dal buco, il prof. si immerge lasciando la domanda a palleggiare nella sala.

“Boh?”

“In effetti è paradossale…”

“Sono pazzi, quegli umani”

“Ce lo dica, professore!”

“Col cavolo che lo so!” gorgoglia Tututututu riemergendo.

“Vi prego di scusare il professore, questa indagine è stata particolarmente faticosa e la stanchezza si fa sentire” interviene Pepepepe.

“Continuerò io, non per dare una risposta ma per dimostrare che non è stato possibile trovarla, la risposta. La questione infatti è più complicata ancora. Permettetemi di riprendere il filo: l’unica cosa chiara è che le doti umane sono qualcosa di cui vantarsi.

Ma qui si riscontra un altro paradosso: quando un umano vuole giustificare una sua debolezza, dice sempre (il nostro sensore l’ha rilevato in modo massiccio): In fondo sono un essere umano!”  Il che è un’ovvietà. Si è scoperto che la frase significa pressappoco:’ Sono un essere debole, imperfetto e impulsivo, non si può mica pretendere da me un comportamento lineare o efficiente etc.’ Il che è un’altra ovvietà. Lo sanno tutti nel cosmo che nessun essere fatto di materia è perfetto.”

“Forse essi non lo sanno…” interloquisce timidamente una voce.

“E allora non sono autocoscienti. Punto e basta” aggiunge un’altra voce.

“Nooo! Ha ragione il nostro amico della quarta fila!- irrompe Tututututu- Sono pazzi! Si è mai vista una volpe, che non è riuscita a prendere la preda, giustificarsi con i suoi cuccioli dicendo ‘In fondo sono solo una volpe?’  O si è mai visto un gatto che sbaglia un salto dire alla sua bella ‘In fondo sono un gatto’? La gatta penserebbe  ‘Certo che sei un gatto, cretino, te ne accorgi ora? Che pensavi di essere, una gazzella?’ Egli è sempre consapevole della sua gattità e non cerca scuse ovvie e quindi vuote!”

“Ehm…- interviene Pepepepe- ripeto, perdonate l’esimio professore. Si è impegnato molto in questa indagine e vi assicuro che passare parecchio tempo fra gli umani farebbe saltare l’equilibrio di chiunque. Ricapitolando, sì, l’asserzione è un’ovvietà, ma non è poi un gran male asserire un’ovvietà, come ben sapeva monsieur de Lapalisse. Il punto è un altro: coloro che usano spesso la frase ‘sono un essere umano’ per giustificare, ad esempio, dei frequenti scatti di ira, rivelano la poca volontà di ragionare sui propri comportamenti e, soprattutto, di migliorarli; in definitiva, chiedono agli altri di essere accettati così come sono; che nessuno chieda un minimo di evoluzione, per carità! Guarda caso, la capacità di evolvere è proprio quella di cui si vanta l’essere umano quando si paragona con  i comportamenti più ‘automatici’ degli altri animali o delle macchine. Quindi, i moltissimi umani che ripetono ‘sono un essere umano’ si infilano in un bisticcio concettuale, mettendosi allo stesso livello di entità incapaci di sviluppo, con cui mai vorrebbero essere confusi.”

“Ma professore!- protesta dalla prima fila uno studente con la faccia (se vogliamo chiamarla così) da secchione – A me pare che il ricorrere di questa frase dimostri che gli umani sono coscienti della loro imperfezione, per quanto ovvia sia!”

“Buona osservazione, caro Kakaka, ma allora perché ogni volta che un treno deraglia…Oh, sì, certo…Ecco, ora il nostro Bibi vi mostrerà cos’è un treno”

Velocemente, Bibi e altri montano sul tavolo un modellino di treno con annessi e connessi e ne spiegano la funzione, sotto lo sguardo attento dei convenuti.

“Carina quella cosa, mi piacerebbe averne una” sussurra una voce.

“Ma fammi il piacere, va’!” sibila un’altra voce, evidentemente della moglie.

“Certo che quegli umani ne hanno fabbricate, di cose strane!” esclama un terzo.

“Già! E questo non è niente!- esclama Tututututu, al cui udito finissimo non era sfuggito il commento – 

Dovreste vedere le banche, il teatro futurista e il reggiseno! ”

“ Scusi, prof., ma vorrei evitare che il discorso deragliasse – interviene sorridendo Bibi, fiero della sua battuta – Si parlava del fatto che essi sono coscienti della loro imperfezione…”

“Appunto. Tuttavia, ogni volta che un treno deraglia o succede qualche catastrofe del genere, essi danno la colpa a un ‘errore umano’ e si scandalizzano moltissimo. Sembra che l’interesse principale sia scagionare del tutto le macchine, le attrezzature e chi le ha inventate. La colpa ricade su chi le ha manovrate. Ma perbacco, chi le ha inventate doveva pur sapere che sarebbero state manovrate da umani! Doveva pur tenerne conto! E’ ovvio che un errore umano è probabile! Quindi, se questa specie è cosciente della sua imperfezione, perché inventa meccanismi complicati che devono essere manovrati da imperfetti umani e poi ci rimane male se quegli imperfetti umani fanno errori? Perché?”

“Ma insomma, professori, questa specie è autocosciente o no?”

“Eh, non si sa. Le evidenze, come speriamo di aver dimostrato, sono discordi. Il termine umano sembra indicare tutto e il contrario di tutto. L’unica cosa certa è che gli umani sentono il bisogno di affermare continuamente di essere, appunto, degli umani. Non si è capito però da chi ci tengono tanto a differenziarsi, dato che non sono minacciati da nessun’altra specie: né da altri animali o da robot, che non sono in grado, né da semidei o entità spirituali, che danno prova di grande discrezione, né da alieni, che a quanto pare stanno alla larga.

Dunque, perché l’asserzione di umanità è tanto inflazionata? Possiamo solo fare delle ipotesi.”

“Forse- azzarda una voce dal pubblico- essi non sono dotati di memoria...Hanno paura di dimenticarsi chi sono e così devono ricordarselo spesso. Magari ogni giorno si svegliano e pensano: ‘Dunque, cosa sono io? Sono un ragno e quindi devo fare la tela, oppure sono un tiglio e devo fare la fotosintesi, o forse sono un umano e devo guidare un treno? Che ne pensa, prof. Tututututu?”

“Carino però, quel treno…” bisbiglia distratto il tizio di prima, guardando il luminare tutto intento a manovrare il modellino.

“Gugu, non penserai mica di frequentare gli umani! Sono pazzi, l’ha detto anche il prof.!” sibila la (forse) moglie.

“Davvero, Gugu, sono pericolosi! Ha ragione Lalala!-  sussurra una terza voce del gruppetto- E’ l’unica specie conosciuta che pratichi la tortura! Quando ce l’hanno detto a scuola, nessuno ci poteva credere!”

“Lo so, lo so…Scherzavo…”  

Con autorevolezza, Pepepepe riprende la parola: “Poiché. ehm, in questo momento il prof. Tututututu è occupato, risponderò io. No, è da escludere che non abbiano memoria.”

“Ci sono! -esclama lo studente Kakaka dalla prima fila- Essi si stanno allenando! Si preparano a un momento in cui lo spazio sarà pieno di stazioni stellari brulicanti di umani, vulcaniani, venusiani, aquile reali e altri esseri, e allora gli farà comodo giustificare le loro eventuali goffaggini dicendo: ‘Scusate, sono un essere umano!’ “

Il dibattito a questo punto è irrefrenabile.

Lulu:   “Intendi, così come ora dici ‘Scusate, sono straniero’, se per esempio ti trovi in difficoltà in un luogo che non conosci?”

Kakaka: “Esattamente, sì”. 

Dydydy: “A me sembra una cavolata. Probabilmente essi si sono dati una definizione che non gli corrisponde…Intendo dire, forse vorrebbero essere in un certo modo ma poi di fatto non sono ancora riusciti a essere in quel modo.”

Sjsj. “Ma non sono loro che si vantano di evolversi? Che hanno fatto, in tutto questo tempo?”

Zeze: “ Boh, per me una specie che si definisce umana ma poi chiama disumane le proprie caratteristiche peculiari, è una specie che ha dei problemi.”

Cococo:“ E allora è come dicevo io. Non sono autocoscienti. Punto e basta”

Bibi: “ Amici, per favore! Il professore vorrebbe continuare!”

Pepepepe:” Ecco, c’è da aggiungere un’ultima cosa. Un’ ulteriore difficoltà…”

Tutti: “Un’altra?!?”

Pepepepe:”Sì. Un’ulteriore difficoltà sta nel fatto che, di solito, una specie è autocosciente oppure no. Invece nel caso degli homo abbiamo l’impressione che in generale non lo siano, ma abbiamo anche la certezza che qualcuno di essi lo è perfettamente.”

Mormorio di stupore.

“Il prof. Tututututu ha studiato i rilevamenti nella letteratura e pare che lì si trovi autocoscienza pura in dosi massicce. Solo che il sensore tirava verso il passato del territorio in esame, negli scritti di…-scusate, mi sono segnato due appunti…ah, ecco- di un certo Lucrezio e di un certo Virgilio, ad esempio, ma qui il sensore ha segnalato che doveva essere tarato su un’altra lingua, il latino. Però non avevamo tempo di iniziare una nuova indagine, così abbiamo cercato nelle epoche più recenti. E abbiamo trovato un tal Leopardi.”

Bibi: “ Ah, un felino, dunque!”

Pepepepe: “No, no, è un umano. Leopardi è il nome. Leopardi Giacomo.”

Bibi: “Oh, sì, certo, mi scusi…”

Pepepepe: “ Questo Giacomo dimostra inequivocabilmente una perfetta autocoscienza, oltre che lucidità, intelligenza, umorismo e poesia.”

Zeze:” E non poteva insegnarle agli altri??”

Pepepepe: “Ci ha provato, ma pare che l’abbiamo trattato male…”

Cococo: “ E allora è come dicevo io. Non sono autocoscienti. Punto e basta. Anzi, è come dice il professor Tututututu: sono pazzi, e questo Giacopardo non era umano, era un infiltrato.”

Pepepepe: “Ecco, vorrei terminare la serata con la lettura di una sua poesia, che tradurrò per voi. Mi scuso per gli scarsi risultati del nostro lavoro e per la confusione dell’esposizione, ma…”

Il pubblico applaude calorosamente e, quando l’atmosfera si placa, Pepepepe comincia a leggere.

Ora in sala ci sono solo silenzio e qualche splash splash…
“E il naufragar m’è dolce in questo mare.”

Silenzio. A qualcuno è spuntata qualche lacrima (se vogliamo chiamarla così).

Quando l’atmosfera torna un po’ più densa ( il che accade quando un’atmosfera smette di essere rarefatta), Sjsj è la prima a parlare, sporgendosi mollemente fuori dalla sia pozza d’acqua:

“Professor Tututututu, ha intenzione di continuare questa ricerca? Magari andando fra quei latini?”

“Nemmeno per sogno! E poi, quei latini sono tutti morti. Al loro posto ci sono i romani, e io in quel guazzabuglio non ci torno. Anzi, l’ultimo verso della poesia mi ha dato un’idea.  Ho intenzione di avviare una ricerca sulla vita sociale delle oloturie. Chi vuole iscriversi al gruppo e venire con me, me lo faccia sapere!”

Scroscio di applausi.

Gugu:” Se si va in treno, quasi quasi ci vado io.”

Lalala: “ Ma piantala! E poi le oloturie stanno nel mare!”

Gugu: “Lo so, lo so, scherzavo…”