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domenica 29 ottobre 2023

Geoingegneria e Scie Chimiche -- Il grande flop di Ugo Bardi





Un paio di settimane fa, mi sono provato a sollevare la questione della geoingegneria sul "Fatto Quotidiano" e credo sia stata forse la prima volta che se ne è parlato su un quotidiano al di fuori delle rubriche scientifiche sul clima. 

Il risultato: un flop clamoroso. Pochi l'hanno letto, quasi nessuno l'ha capito, i commenti sono stati di una banalità devastante. Immaginatevi di provare a spiegare al vostro gatto come sta che i croccantini arrivano nelle loro scatole. Al massimo vi guarderà con i suoi grandi occhi di gatto e vi dirà "miao". Più o meno, siamo a questo livello in tutto il dibattito sul cambiamento climatico. 

Non che le cose vadano molto meglio nel resto del mondo, ma in Italia la divisione è fra quelli che hanno concluso con ferrea logica che "siccome ci hanno imbrogliato con il covid, ne consegue che ci stanno imbrogliando anche sul clima"  e quelli dall'altra parte che invece si sono attestati sul discorso che "siccome la maggioranza degli scienziati ci crede, allora ne consegue che il cambiamento climatico è una cosa vera". Fra le due posizioni, c'è un numero incredibile di svirgolati che non sa dire altro che "ma guardate in cielo, non vedete cosa sta succedendo?" Ma gli sciachimisti non si sono fatti vivi a commentare il mio articolo che era probabilmente incomprensibile per loro 

Purtroppo, qui mentre tutti si aspettano che gli arrivino i croccantini tutti i giorni, la situazione climatica si sta deteriorando in modo drammatico. Vediamo cosa succede la prossima estate. Se la tendenza alla crescita delle temperature rimane quella che si è vista questa estate, allora siamo tutti del gatto: siamo croccantini da sgranocchiare.  


Dal "Fatto Quotidiano" del 16 Ottobre 2023
di Ugo Bardi

Contro la crisi climatica si valuta il ricorso alla geoingegneria: cos’è e cosa prevede



Non lo avete ancora letto sui giornali italiani, ma la notizia sta venendo fuori nel mondo: a livello globale, questo settembre si piazza come il mese più caldo rispetto alla media mai misurato nella storia. Con il 2024 che si prospetta ancora più caldo con l’arrivo dell’oscillazione oceanica chiamata “El Niño”, ci stiamo accorgendo che non stiamo più parlando di un problema dei nostri nipoti, e nemmeno dei nostri figli. L’emergenza climatica è qui, adesso.

E allora, cosa fare? Certe strategie che una volta sembravano percorribili ci appaiono oggi come inutili perdite di tempo. Per esempio, il tentativo di ottenere un accordo globale su una riduzione significativa delle emissioni si sta rivelando un fallimento epocale, forse ancora peggiore di quello di instaurare il paradiso dei lavoratori in Unione Sovietica. Allo stesso modo, non sembra molto pratico pensare di poter rimediare stando al buio e al freddo e mangiando solo patate coltivate nell’orto (ed essendo anche felici di farlo).

Una strada molto più promettente è quella dell’energia rinnovabile che, in effetti, sta crescendo in tutto il mondo con una rapidità inaspettata. Ma, anche con molto ottimismo, non ce la potremo fare a eliminare i combustibili fossili prima del 2040-2050. E anche se ci riuscissimo, potrebbe essere troppo tardi. Quindi ci vogliono strade nuove e l’attenzione di quelli che si occupano di queste cose si sta rivolgendo rapidamente verso il concetto di “geoingegneria”. Non ne sentite ancora parlare in tv o sui giornali ma, per esempio, Scientific American ha pubblicato un articolo in proposito nel suo ultimo numero. E’ probabile che fra breve troverete la geoingegneria al centro del dibattito sul clima.

Ma cos’è questa geoingegneria (a volte chiamata “ingegneria climatica”)? Per prima cosa, sgombriamo il campo dalle tante fesserie che girano sul web in proposito. La principale è quella delle cosiddette “scie chimiche”, ovvero che le innocue scie di condensazione di vapore acqueo degli aerei siano in realtà un tentativo di avvelenarci sparpagliando composti venefici. Purtroppo, a furia di diffondere sciocchezze come questa, il concetto stesso di “geoingegneria” sembra diventato una specie di babau che spaventa un po’ tutti.

L’ingegneria, di per sé, non è né buona né cattiva. Per esempio, costruire un ponte è normalmente una cosa buona, ma può anche essere un inutile e pericoloso spreco di soldi (e qui viene in mente il ponte sullo Stretto, ma non entriamo nell’argomento). E’ la stessa cosa per l’ingegneria climatica che prevede di intervenire sui parametri dell’ecosistema terrestre per rimediare ai danni fatti dalle azioni umane. Anche qui si possono fare danni se non si fa molta attenzione, ma nella situazione in cui siamo può darsi che non ci sia altra scelta.

In ogni caso, la geoingegneria non è una novità: da migliaia di anni gli esseri umani modificano il clima con le loro azioni, perlomeno da quando hanno imparato ad accendere il fuoco e a impegnarsi nell’agricoltura. Oggi, si ragiona su molti possibili interventi per gestire l’emergenza climatica. Uno è quello di schermare la radiazione solare (si chiama “Solar Radiation Management”, SRM). Ce ne sono varie versioni, alcune promettono di essere soluzioni rapide e relativamente poco costose per raffrescare la Terra. Ma è anche una strategia incerta e con possibili conseguenze negative su cose come, per esempio, il regime delle piogge.



Ci sono altre possibilità decisamente più “soft”. Una è la cattura e il sequestro del carbonio atmosferico. Si chiama “direct atmospheric capture” (DAC). L’idea potrebbe funzionare, ma è costosa, e se non la si accoppia a una riduzione rapida dell’uso dei combustibili fossili rischia di diventare qualcosa di simile alla storiella di quell’economista che aveva proposto di abolire la disoccupazione mettendo metà della popolazione a scavare buche e l’altra metà a riempirle.

Infine, c’è anche una “geoingegneria naturale” che è molto promettente. Si tratta di gestire gli ecosistemi in modo tale che possano influire sulla temperatura dell’atmosfera come hanno fatto egregiamente negli ultimi milioni di anni. Fra le tante cose, si comincia oggi a capire che l’effetto delle foreste sul clima è ben più complesso del semplice accumulo di carbonio. Quindi, riforestare si presenta come una buona strategia per raffrescare la terra in modo naturale e a basso costo. Lo stesso vale per gli ecosistemi marini, che possono assorbire grandi quantità di carbonio atmosferico se gestiti nel modo giusto.

Ce la possiamo ancora fare? Certo la storia recente non ci dà molte ragioni di essere ottimisti a proposito della capacità del genere umano di gestire emergenze globali. Ma non tutto è perduto; c’è ancora speranza.



mercoledì 13 settembre 2023

Una discussioncina sul clima

 


Lo so che non ci si dovrebbe mai mettere a discutere su facebook di nessuna cosa, che tanto nessuno mai cambia idea e neppure ammette di avere avuto torto. Tuttavia ho fatto un eccezione per un thread che mi è capitato davanti in un sito di amici delle foreste. Dovresti pensare che, in principio, persone che si occupano della salute delle foreste dovrebbero essere i primi a preoccuparsi delle conseguenze del riscaldamento globale. Dovrebbero andare d'accordo benissimo con i climatologi, i quali sono spesso i primi a sostenere la necessità di riforestare (con qualche eccezione, ma è un'altra storia). Invece, mi sono stupito di vedere che in quel sito gira l'idea che la scienza del clima è tutta un imbroglio, che è una scusa per chiuderci in casa come al tempo del Covid, che non c'è prova che il CO2 generi riscaldamento, Insomma, le solite cose che girano nei peggiori siti anti-scienza. 

Fra le altre cose, un membro del forum ha citato positivamente le esternazioni di John Clauser, premio Nobel per la meccanica quantistica, che si è improvvisato climatologo per sostenere che "non esiste un emergenza climatica", apparentemente perché più fa caldo più ci sono nuvole, e siccome le nuvole riflettono la luce del sole, tutto si aggiusta da se. E la scienza del clima, chissà perché, non ne tiene conto. Non entro nei discorsi di Clauser, perché non dice nulla che sia verificabile: sono solo sue opinioni non basate su dati o studi (ti verrebbe da pensare che un premio nobel avrebbe il dovere di essere un po' più rigoroso, ma lasciamo perdere). Se vi interessa una breve discussione sulle affermazioni di Clauser, le trovate sul Blog di Dana Nuccitelli

Quello di cui vi volevo parlare, invece, è di come è andata la discussione. Vedete all'inizio del post la domanda che mi fa una signora, ovvero "ci sono studi che calcolano l'effetto delle nuvole?" con la persona che aggiunge "a me non risulta."

Bene. Sono andato su Google Scholar è ho trovato 740.000 studi che citano "clouds" e "climate change". Al che la signora ha precisato che voleva solo sapere se l'effetto delle nuvole è calcolato nei modelli. Non era proprio questo, ma sono tornato su Google è ho trovato 164.000 studi che citano "clouds" e "climate models". Diciamo che mi sembrano sufficienti per confutare l'affermazione della signora che "non le risultano" studi del genere, In entrambe i casi, ho incluso delle schermate dei risultati della mia ricerca. Al che la signora mi risponde


E qui ti trovi di fronte all'abisso. A parte la maleducazione di darmi di ignorante senza ragione, a parte che sono vent'anni che mi occupo di clima e che cosa fanno e non fanno i modelli lo dovrei sapere, l'abisso è che questa signora mi accusa di aver fatto esattamente quello che una persona seria fa quando ti chiedono un informazione. Non solo rispondi, ma fornisce i dati su cui basi la tua risposta.E invece questa qui te la rigira come se fosse un'ammissione di ignoranza. Come è possibile ridursi a questo livello in una discussione?

Dopo di che la discussione è andata avanti come sempre su Facebook, con la signora che ha continuato a inistere che i modelli non prendono in considerazione le nuvole e, fra le altre cose accusandomi di "trincerarmi dietro gli studi scientifici".

Beh, ho lasciato quel gruppo e non se ne parla più. Ma alla fine dei conti che conclusioni possiamo trarre? Beh direi le seguenti

1. Non metterti mai a discutere sui social con qualcuno che ne sa meno di te di un certo soggetto. Se non ti può sconfiggere con la competenza, finisce sempre per sconfiggerti con la persistenza.

2. La vicenda del COVID ha distrutto completamente il prestigio della scienza nella mente di moltissime persone, anche intelligenti, ma che ora si trovano con il dente avvelenato e rifiutano qualsiasi ragionamento che sia vagamente basato su fatti e dati scientifici.

3. Ogni discussione razionale su problemi importanti è ormai diventata impossible. Non vale più neanche la pena di provarci. 

E allora? E allora, andrà come deve andare e avremo quello che ci meritiamo -- queste sono le regole dell'universo. 









sabato 26 dicembre 2015

La grande bufala delle scie chimiche

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Di George Monbiot

Il vero problema – il riscaldamento causato dalle emissioni degli aerei – ci richiede di agire. Ma concentrarsi sulle “scie chimiche” assolve le persone dalla responsabilità di farlo.



Un aereo di linea vola dall'aeroporto di Heathrow a Londra mentre il cielo è solcato da scie di condensazione. Foto: Toby Melville/Reuters 

Passi anni a cercare di portare le persone ad interessarsi alle emissioni degli aerei. Poi alla fine il problema viene colto – ma nel modo più perverso possibile. Gli inquinanti diffusi dagli aerei sono un grande problema. Danno un contributo significativo al riscaldamento globale, eppure sono esclusi dai negoziati internazionali, come la conferenza che si sta svolgendo a Parigi. Di conseguenza, l'espansione dell'aviazione è scevra da preoccupazioni sul cambiamento climatico. Questa esclusione è ridicola, se non altro perché le emissioni degli aerei hanno un ruolo particolare nel riscaldare il pianeta, a causa dell'altitudine alla quale vengono rilasciate e degli impatti moltiplicatori del vapore acqueo ed altri gas prodotti dagli aerei. Gas che a volte formano scie di condensazione nel cielo.

domenica 4 dicembre 2011

Narrativa contro scienza: un commento di Antonio Turiel


Esaminando il dibattito sul riscaldamento globale e sul picco del petrolio, sono giunto alla conclusione che l'unità elementare di comunicazione nella discussione pubblica è sempre una storia – una narrazione di qualche tipo. In altre parole, tendiamo ad interpretare la realtà in termini narrativi, come potete facilmente comprendere con un semplice sguardo ai titoli dei giornali. Ho sostenuto di recente che il notevole successo dei negazionisti del cambiamento climatico è dovuto allo sviluppo di una narrativa fantastica che descrive come un gruppo di scienziati malvagi abbiano manipolato i dati delle temperature per convincere il pubblico di un inesistente riscaldamento globale. Questa narrativa è così seducente per la percezione umana che è praticamente impossibile combatterla coi soli dati. Ci sono altri esempi: uno è il caso delle “predizioni sbagliate” che il Club di Roma, come viene spesso detto, avrebbe proposto nello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo”. E' un'ostinata leggenda che si rivela essere quasi impossibile da demolire semplicemente mostrando che i pretesi"errori" non esistono.

Così, molta gente tende ad essere attratta da piacevoli fiabe piuttosto che da scomode verità. Ciò non significa che la realtà debba necessariamente essere spiacevole, negativa o apocalittica. Tuttavia, se vogliamo far passare il nostro messaggio al pubblico, i soli dati non sono sufficienti; i risultati scientifici devono essere presentati in modi che tengano conto il lato umano dei problemi. Come riuscire in quest'impresa rimane una questione aperta, ma Antonio Turiel, titolare del blog “The Oil Crash", l'ha esaminato in un post recente dal titolo "huyendo de la realidad" dedicato in gran parte alla leggenda delle“scie chimiche”.


Come probabilmente sapete, c'è chi sostiene che le "scie chimiche" sono il risultato di un complotto efferato che implica l'uso di aerei per diffondere veleni che appaiono come strisce bianche nel cielo. Ovviamente, non esistono dati che possano anche solo vagamente far pensare che le ben note “contrails”, generate dagli aerei in volo, non siano fatte di vapore acqueo ma, piuttosto, siano terribili veleni. Tuttavia, la narrativa del concetto di “scie chimiche” è seducente nel suggerire che i nostri problemi sono il risultato dell'azione di un gruppo di malefici nemici dell'umanità che agiscono dietro le quinte. Cercare di contrastare questi racconti fantastici per mezzo di dati risulta inefficace; per questo bisogna cercare di utilizzare altri racconti, proprio come fa Antonio Turiel nel post che segue.



UB






Fuggire dalla realtà

Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash"

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti

Revisione di Sara Francesca Lisot














Immagine delle cosiddette “scie chimiche” tratta dal blog di Pakouss, http://infopakous.blogspot.com/



Cari lettori,

ho una grande serie di temi di cui mi vorrei occupare nei prossimi post, serie che si intensificherà con la pubblicazione, la settimana prossima, del nuovo World Energy Outlook della Agenzia Internazionale per l'Energia (di cui proverò a dare una prima valutazione appena possibile, a partire da mercoledì). Tuttavia, ho sentito la necessità di scrivere un post riprendendo l'idea del picco (sempre provvisorio) della stupidità umana, come sottolineava Ugly Youth (nickname di un lettore del blog, ndT) in un commento ad un mio post, e in linea con una discussione su Facebook sulla ben conosciuta questione delle chemtrails (scie chimiche) sulla quale ad un certo punto sono stato interrogato su questo blog. So che con questo post non mi farò degli amici, ma credo che in momenti di confusione come quello attuale, ed altri di maggior confusione che verranno in seguito, sia importante guardare al nostro mondo con buon senso ed umiltà. Buon senso per non cercare spiegazioni complicate a ciò che sembra ben rispondere ad una logica più semplice; umiltà per riconoscere la pochezza e l'irrilevanza dell'essere umano, per quanto lui si creda seduto su un trono da semidio per la sua scienza e le invenzioni tecnologiche.

Per chi non sapesse che cosa sia la storia delle chemtrails, la riassumerò brevemente (oltre al link a wikipedia che ho appena messo): sembra che da qualche tempo alcune persone si siano fissate su alcune strane scie (dette “chemical trails o chemtrails” ndT) lasciate da aerei in volo. Nonostante si insista nello spiegare che tali scie si producono per condensazione di vapore acqueo (il che dipende dall'umidità relativa dell'aria, dalla temperatura delle ali dell'aereo, dalla potenza di spinta dei reattori, ecc), gli "sciachimisti" credono che in realtà si tratti di una sorta di irrorazione della popolazione con sostanze chimiche che garantiscono il controllo mentale della massa da parte dell'oligarchia dominante. Partendo da questo assunto, si sviluppa tutto un discorso di teoria della cospirazione e di malvagi “illuminati” che cospirano in grotte nascoste per farci del male. Il problema di questa storia è che non si regge in piedi in nessun modo.

In primo luogo, se l'obbiettivo fosse di disperdere una sostanza perché sia assorbita dalla popolazione, ci sono metodi più sicuri e comprovati per farlo. Per esempio con la fornitura di acqua potabile. Le grandi città del mondo civilizzato (suppongo che nel terzo mondo manchi il controllo mentale, considerando come si usino le armi per il controllo) hanno i loro impianti di potabilizzazione dell'acqua nei quali sarebbe facile aggiungere l'ingrediente a sorpresa voluto, sia questo pentotal di sodio o haloperidol. Inoltre, sarebbe molto più facile regolare le dosi che arrivano alla popolazione e controllarne la dispersione, e far sparire le prove sospette negli impianti di depurazione dei liquami.

Ma, bene, immaginiamoci che, per un qualche motivo, la dispersione debba avvenire per via aerea. Disperdere sostanze dagli aerei a reazione che volano a migliaia di metri di altitudine non sembra un'idea molto intelligente. Forse avrete notato che quando si irrorano le piantagioni o si cerca di spegnere gli incendi si usano aerei ad elica - aerei o elicotteri – che sono in grado di volare più vicini all'obbiettivo, onde evitare che il carico si disperda troppo – e pensate che nel caso dello spegnimento degli incendi stiamo parlando di una sostanza – l'acqua – molto densa. Perché? Perché se lanciamo una qualsiasi sostanza non solida da un'altezza di migliaia di metri, la sua dispersione sarà più complicata e caotica man mano che si avvicina a terra. Si dice che i primi metri dal suolo verso l'atmosfera (diciamo i primi cento metri) formano il cosiddetto “strato limite atmosferico”, in cui la velocità del vento deve essere adattata ai valori più alti degli strati superiori fino a quando non ha un valore esattamente pari a zero a contatto con la superficie. Dipendendo dalla struttura topografica e dalla rugosità del suolo c'è una zona di dispersione, lo strato limite, in cui la velocità del vento non solo va diminuendo, ma cambia rapidamente direzione, seguendo un disegno a spirale se la topografia è piana; e se la topografia è più complicata seguirà un disegno sufficientemente più complesso che può estendersi fino a pochi metri sopra i tetti degli edifici. Non avete mai notato,nei giorni di forte vento, i mulinelli che si formano nelle grandi strade? O come il vento che soffia da est quando camminiamo lungo una via, soffi da nord appena girato l'angolo? Non avete mai notato l'andamento capriccioso di un foglio di carta o di un sacchetto di plastica? Questo è ciò che accade sui tetti delle case, solo in forma più violenta a causa della maggior forza del vento. E questo senza tenere conto di quanto possano essere cari tutti quei voli per le irrorazioni. Se quello che si desidera è intossicare la popolazione, installate alcuni piccoli dispersori sui tetti di alcuni edifici nelle aree più transitate oppure disseminatele fra i comignoli di alcuni edifici, ed otterrete lo stesso effetto ma in forma più discreta e controllata. D'altra parte, non si capisce perché vogliano controllarci con le esotiche scie chimiche visto che c'è già la più prosaica ma efficacissima televisione.

E' certo che tutti questi metodi non hanno la vistosità delle scie chimiche, che ci fanno immaginare una lotta alle prese con il Dottor No, come se fossimo giustizieri vendicatori alla James Bond (e, già che sogniamo, con una bella Ursula Andress fra le braccia). Alla fine, i propugnatori delle chemtrails scelgono una narrativa eroica, di lotta intrepida contro un potere demoniaco, onnisciente e quasi onnipotente, dopo la cui caduta si stabilirà un nuovo ordine; niente di nuovo, quindi, rispetto alle vecchie storie di un Hermes che, spada in mano, taglia la testa al mostro dai cento occhi. Non ci siamo evoluti molto dal periodo ellenico, a quanto si può vedere.

Questa narrativa è simile in tutto a quelle dei difensori delle free energies (di fatto, sono sempre le stesse persone). Abbiamo già commentato qui l'assurdità e l'infondatezza delle free energies (certo è che in inglese free energy è un termine ambiguo, che significa sia energia libera, sia energia gratis, che alla fine è ciò che si pretende per continuare a vivere a tutta velocità come fino ad ora); ciò che è interessante adesso è vedere come i meccanismi psicologici sono gli stessi che nel caso delle scie chimiche e ciò spiega il perché gli affiliati di queste due teorie coincidano. I due gruppi precedenti coincidono anche frequentemente con i difensori della grande cospirazione mondiale degli illuminati e del Nuovo Ordine Internazionale. Non conosco tutti i dettagli di questa teoria della cospirazione in particolare, ma in sostanza è che c'è una casta segreta di ricchi e potenti che formano un consiglio che prende decisioni che reggono il destino del mondo e che detengono un piano demoniaco per sottometterci tutti ad una schiavitù senza fine. In realtà, questa affermazione è anch'essa abbastanza assurda: è ovvio che i più ricchi e potenti cospirino per preservare la loro situazione di privilegio ed influenzano in modo illegittimo i nostri rappresentanti politici, sovvertendo il significato di democrazia; però lo fanno alla vista di tutti, senza nascondersi e, alla fine, senza vergognarsene, perché in alcuni casi arrivano perfino a credere che sia la cosa migliore da fare, anche se non è la più corretta; e non è che gli serva un tavolo di quercia in una caverna buia con un cranio di caprone appeso alla parete per agire in questo modo.

D'altra parte, anche se alcuni di questi potenti avessero i propri piani per anticipare il caos che sta arrivando, dubito che tutti coincidano nell'analisi dei problemi e nelle soluzioni da applicare. E in ultima analisi, non è scontato che possano farla franca, poiché rimane sempre l'incertezza del fattore umano: i loro miliziani saranno sempre fedeli? I leader politici eseguiranno sempre le direttive imposte? Il popolo rimarrà sempre sottomesso? La Storia dimostra che è impossibile tenere tutto in pugno e totalmente sotto controllo. Però, di nuovo, la narrativa eroica della lotta contro i grandi malvagi che hanno rubato la nostra meritata prosperità che fu e che potremmo recuperare se ci liberassimo di loro, è molto più attraente che la volgare e mediocre realtà.

Gli economisti, insieme ai politici, cadono, curiosamente, nella stessa prassi di autoinganno, cercano un discorso più attraente che realistico. Per esempio si parla di recuperare il sentiero della crescita anche se la realtà è che questa crisi economica non finirà mai; di accettare sacrifici ora a vantaggio della futura prosperità quando, in realtà, ogni aggiustamento ci porta al collasso catabolico; di piani di riscatto necessari per far riprendere l'economia quando in realtà servono per tappare i buchi delle grandi banche; di politiche di promozione dell'impiego che in realtà sono il degrado delle condizioni dei lavoratori; ecc. E ancora, i nostri leader cercano una narrativa eroica, grazie alla cui costanza e senso dello Stato, ottengono che tutto torni alla situazione precedente, vale a dire, alla crescita senza fine.

Al contrario di questo modo di esprimersi, la narrativa dell'Oil Crash è molto più grigia, Non è nera come molte volte si dice. L'Oil Crash non è la fine dell'Umanità; non lo è , ovviamente, se non vogliamo che sia così. L'Oil Crash non è la narrativa dell'apocalisse; è piuttosto la narrativa dell'umiliazione. Perché consiste nell'accettare che l'essere umano ha dei limiti, che per una volta non potrà vincere. E questo all'Homo Invictus sorto dalla Rivoluzione Industriale, che ha prosperato infinitamente negli ultimi due secoli, risulta difficile da mandare giù. Questo è il problema in realtà con l'Oil Crash: la superbia dell'uomo moderno. Per il nostro ego è meglio credere che c'è un uomo malvagio che controlla tutto, piuttosto che accettare che la situazione sfugge al controllo dell'uomo, anche se fosse uno spregevole. Il problema della narrativa eroica è che non solo è errata, ma che ci porta al disastro. E allora se di narrativa si tratta, consideriamo un'alternativa...

La storia dei tre boscaioli
di Antonio Turiel

C'erano una volta tre boscaioli che avevano la loro casa, con i loro orti e le loro galline, nella pianura di un grande fiume. La terra era fertile, l'acqua pura e i boschi davano legna in abbondanza. La vita era semplice ma agiata e piacevole. Un giorno uscirono come sempre di buon mattino a cercare legna nel bosco e al ritorno trovarono le loro proprietà devastate. Le porte delle case divelte e l'interno completamente pieno di fango; gli orti rivoltati e molte verdure erano scomparse; ed alcune galline erano morte, mentre altre vagavano sperdute per il vicino bosco.

I boscaioli erano costernati. Quella era una buona pianura ed una buona terra, poco popolata e generosa coi sui abitanti; non conoscevano né il furto né la violenza. Cosa era mai successo? Notando che i danni si estendevano a tutta la pianura, tutti conclusero che la causa della distruzione fosse stata una improvvisa piena del fiume, che per fortuna li aveva colti fuori dalle proprie case. Tuttavia, in oltre duecento anni di storia non si era mai vista una piena di tale dimensione, per cui i boscaioli non sapevano che atteggiamento tenere, se si sarebbe ripetuta oppure no. Cosicché ognuno di loro si mise a riflettere su quali fossero state le cause e su come prevenirle in futuro.

Il boscaiolo della bassa pianura aveva osservato che il boscaiolo della zona a monte si era a poco a poco impadronito di molti terreni, comprandoli a basso prezzo da altri boscaioli che aveva ingannato con mille trucchi. Inoltre, ragionava, il boscaiolo che stava a monte stava tagliando sempre più legna nel bosco, secondo lui perché aveva buoni clienti in città. Il boscaiolo della bassa pianura concluse che il boscaiolo a monte aveva costruito una diga più a monte, diga che prima faceva riempire d'acqua e che poi apriva di colpo per farli fuori tutti; incluse anche le sue proprietà, per non destare sospetti, ma visto che aveva molte proprietà al di fuori della pianura queste distruzioni lo colpivano meno che alla maggior parte degli altri. Per questo, continuava il suo ragionamento, quando era arrivata la piena non lo aveva colto in casa: perché lui era lassù al fiume che stava aprendo la diga. Il suo spregevole piano era evidente: voleva rovinare lui ed il boscaiolo che viveva a mezza pianura per ottenere le loro terre in cambio di quattro soldi. Così, il boscaiolo della bassa decise di non perdere mai d'occhio il boscaiolo a monte della pianura e che avrebbe dormito nella sua casa solo quando lo avrebbe fatto anche lui. Col passare del tempo, il boscaiolo della bassa trovò sempre più elementi che quadravano oltre ogni dubbio con la sua interpretazione dei fatti ed il suo atteggiamento con chiunque ponesse dei dubbi si fece sempre più aggressivo, specialmente contro il boscaiolo di media pianura, di cui era arrivato a pensare che fosse stupido a non vedere l'evidenza oppure che stava in combutta col boscaiolo dell'alta pianura.

Il boscaiolo dell'alta pianura aveva perso molto denaro con l'inaspettata alluvione. Tutte le sue proprietà confinavano col fiume e tutte erano risultate gravemente danneggiate, ma siccome aveva molte proprietà, gliene restavano ancora a sufficienza per vivere con agio. Gli era costato molto arrivare ad avere la sua attuale posizione e non gli sembrava vero che il duro lavoro di tanti anni si potesse perdere per un capriccio della natura, un evento brutale che si era presentato per la prima volta in duecento anni, per quanto si sapesse, poiché non c'erano registrazioni anteriori e, chi lo sa, forse erano almeno mille anni che non si verificava una cosa del genere. Dopo l'incidente, il letto del fiume era tornato ai livelli abituali e in nulla si distingueva dal suo stato normale. Inoltre, con l'apporto di sedimenti alluvionali le sue terre cominciarono a produrre di più di quello che avevano prodotto prima. Giunse alla conclusione che la piena del fiume fosse stata una cosa fortuita, un evento raro che accade solo una volta ogni tot generazioni e che di fatto aveva portato cose positive, come, ad esempio, che gli altri boscaioli gli avevano venduto le loro terre a un prezzo molto buono. Alla fine, ragionava, la fortuna aiuta gli audaci e l'alluvione era una grande opportunità. Si convinse, alla fine, che le cose andavano a meraviglia e che non avesse nulla da temere in futuro.

Il boscaiolo di media pianura era un uomo paziente ed osservatore, taciturno. Gli piaceva fermarsi per lunghe ore sulla veranda di casa sua guardando il fiume, il bosco, le montagne... oppure perdersi passeggiando nel bosco, fino al punto di conoscere ogni albero, ogni pietra, ogni piccolo ruscello... Era da tempo che vedeva che gli inverni erano sempre più rigidi sulle montagne, dove da un anno all'altro si accumulava più neve, a giudicare da come si vedevano le cime. Inoltre, erano stati tagliati troppi alberi lungo il fiume e questo dava l'impressione che la terra non riuscisse più ad assorbire tanto bene l'acqua del fiume quando questo usciva dal suo letto. Lo aveva riferito al boscaiolo dell'alta pianura, ma questi diceva che stava esagerando e che lui invece stava ottenendo molti benefici vendendo buon legno in città e che in fondo quello che stava succedendo era che provava invidia. Lo disse al boscaiolo della bassa pianura, ma questi era troppo intento a seguire il boscaiolo dell'alta pianura ed andava sempre a tagliare dove andava quello e non ascoltava altre ragioni. Il boscaiolo di media pianura concluse che negli anni a venire, quando sarebbe arrivato il disgelo, sarebbero potute avvenire nuove alluvioni anche più grandi di quella che aveva distrutto le loro case ed aziende e decise che la cosa più ragionevole era spostarsi in terreni un po' più alti. Gli costò molto sforzo e molto tempo spostarsi verso l'interno. Per primo si portò l'orto e bivaccava di fianco ad esso. Gli altri boscaioli ridevano di lui, pensando che fosse un eccentrico che dormiva per terra mentre aveva una bella casa di fianco al fiume. Poi fece un recinto per le galline ma in un primo momento stavano insieme a lui nel suo bivacco ed era sempre pieno di piume, e lo chiamavano “faccia di pollo”. Col tempo si costruì una casa nuova, vivendo con grande austerità per potersi comprare l'attrezzatura e la ferramenta di cui aveva bisogno; gli altri lo additavano chiamandolo mendicante.

Finì di costruire la sua casa in tempo per vedere, da distanza di sicurezza, come sul fiume ingrossato passavano galleggiando i cadaveri dei boscaioli della bassa e dell'alta pianura.

Saluti,
Antonio Turiel