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domenica 4 giugno 2023

L'Uovo di Godzilla: Perché le Rinnovabili non Potranno mai Sostituire i Fossili (o forse si?)



Una delle prime incarnazioni del più famoso mostro giapponese. Fonte

Essendo un rettile (forse), Godzilla dovrebbe nascere da un uovo. Ma sarebbe un grosso errore pensare che la bestia adulta sarà piccola perché l'uovo è piccolo. Qualcosa di simile vale per l'energia rinnovabile, spesso criticata perché fornisce solo una piccola frazione dell'energia totale nel mondo. In questo post, esamino il "Paradosso dell'uovo di Godzilla" alla luce di due libri recenti, "Come funziona davvero il mondo" di Vaclav Smil e "Il superorganismo economico" di Carey King. 



Il concetto che "le rinnovabili non potranno mai..." assume molte forme, forse la più comune è che oggi forniscono solo una piccola frazione dell'energia prodotta dai combustibili fossili. E, quindi, questa frazione è destinata a rimanere piccola. Uso spesso la battuta che equivale a dire che Godzilla non potrebbe essere che una bestiolina a giudicare dalle dimensioni del suo uovo.

Una recente riformulazione del problema dell'uovo di Godzilla può essere trovata nel libro di Vaclav Smil, " Come funziona davvero il mondo " (Viking, 2022). Onestamente, è un libro deludente, soprattutto confrontando il suo contenuto con il titolo ambizioso. Non che ci sia qualcosa di specificamente sbagliato in questo. Smil ha eccellenti capacità di riportare dati quantitativi; il suo approccio è semplice e diretto; un buon esempio è la sua analisi dei rischi medi affrontati da una persona comune in termini di probabilità e frequenza. 

Ma questo libro? Riporta molti dati, ma tutti in forma testuale, non un singolo diagramma, nemmeno una tabella. Forse è così che deve essere un libro se deve diventare un "Bestseller internazionale del New York Times". Dopotutto, è noto che la maggior parte delle persone non è in grado di comprendere i diagrammi cartesiani. Tuttavia, i dati non sono sufficienti se non vengono interpretati in funzione delle loro tendenze. Ma l'analisi di Smil è quasi sempre statica; ti racconta la situazione attuale ma non come ci siamo arrivati ​​né cosa possiamo aspettarci in futuro.

Il problema è particolarmente visibile con il trattamento delle energie rinnovabili. L'intera discussione sull'energia è debole, per non parlare del tipico errore di riferire che, durante la crisi petrolifera degli anni '70, l'OPEC (l'organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) "stabilì i prezzi" del petrolio. L'OPEC non fa e non può fare nulla del genere, anche se la sua gestione della produzione di petrolio influisce sicuramente sui prezzi.

A proposito di rinnovabili, il punto principale che Smil fa è che, oggi, rappresentano solo una piccola frazione della produzione mondiale di energia. Considerando l'enorme compito che ci attende, conclude che le energie rinnovabili avrebbero bisogno di molto tempo per sostituire i combustibili fossili, se mai lo faranno. Il problema principale in questa discussione è che Smil non utilizza il parametro "EROI" (energia restituita per energia investita). Questo parametro ti dice che, al giorno d'oggi, l'energia rinnovabile è più efficiente e rende più dei combustibili fossili e di qualsiasi altra tecnologia di produzione di energia. Mancando questo punto, l'intera discussione è viziata. Le energie rinnovabili possono e cresceranno rapidamente, almeno nel futuro a breve termine. E, nel medio e lungo periodo, sono destinati a sostituire la tecnologia inferiore dei combustibili fossili. Lo stesso vale per molti altri dati riportati; rimangono scarsamente utili se non analizzati in modo da dare un'idea di come evolveranno e cambieranno. Paradossalmente, ciò che manca a questo libro è esattamente ciò che promette il titolo: una spiegazione di come funziona il mondo.

La debolezza delle argomentazioni di Smil non significa che le rinnovabili sostituiranno rapidamente i combustibili fossili. Una cosa è ciò che è fattibile e un'altra è ciò che può effettivamente essere fatto entro i limiti di tempo e risorse. Per alcuni scenari dinamici della loro possibile crescita, puoi dare un'occhiata a un articolo che ho scritto insieme ai miei colleghi Sgouridis e Csala. È un po' datato (2016), ma i suoi metodi di base e le sue conclusioni sono ancora validi. E la conclusione è che è possibile sostituire i combustibili fossili con le rinnovabili, ma non è facile. Quello che possiamo dire al momento è che le rinnovabili stanno crescendo velocemente: si schiuderanno in un Godzilla a grandezza naturale, in grado di superare gli ostacoli che incontra?  


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Se volete davvero sapere come funziona il mondo e che ruolo ha l'energia in esso, puoi imparare molto di più dal libro di Carey King " The Economic Superorganism " (Springer 2021). È l'opposto del libro di Smil in termini di metodologia. L'approccio di King si basa sui principi fondamentali dell'economia biofisica: è un tentativo di spiegare come funziona il metabolismo economico del mondo e si evolve dinamicamente. Da qui il titolo, " superorganismo ", un modo per definire il sistema economico in termini simili a quelli di un sistema biologico (io preferisco usare il termine " olobionte " ma è la stessa idea.)

L'idea che l'economia sia un superorganismo deriva dal concetto che l'energia guida l'economia, proprio come fa per gli esseri viventi. Il libro Economic Superorganism fornisce storie, dati, scienza e filosofia per guidare i lettori attraverso gli argomenti di narrazioni concorrenti su energia, crescita e politica. Tra molte altre cose buone, è notevole per il suo tentativo di presentare diversi punti di vista in modo equilibrato. Aiuta anche a distinguere ciò che è tecnicamente possibile da ciò che è socialmente fattibile e a capire come il nostro futuro dipenda da questa distinzione. Su scala globale, la combinazione di un ambiente ricco di risorse, il coordinamento in gruppi, corporazioni e nazioni e la massimizzazione del surplus finanziario, vincolato all'energia e al carbonio, si traduce in un insensata fame di energia,

Ora, il superorganismo è nei guai. Proprio come gli esseri viventi, rischia di morire di fame. Potrebbe essere una buona cosa, considerando come il leviatano economico ha danneggiato più o meno tutto nella biosfera? O forse è ancora possibile addomesticare la grande bestia e costringerla a comportarsi un po' meglio? Forse. Anche se potremmo essere solo cellule di un'enorme bestia, c'è molto che possiamo imparare da questo libro. Sfortunatamente, anche se è scritto chiaramente e ben argomentato, non sarà mai un bestseller del New York Times. E questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il superorganismo merita di collassare.

E le rinnovabili? Il libro di King non prende una posizione sì/no, e correttamente. Fornisce invece una trattazione completa dei vari aspetti della questione. Solo la descrizione del valore del concetto di EROEI vale l'intero libro. E, alla fine, andremo dove ci porterà il superorganismo.


giovedì 9 marzo 2023

La caduta del Leviatano: La fine del capitalismo.

 


Di  | Feb 24, 2023


‘LA CADUTA DEL DEL LEVIATANO’

ovvero

NASCITA, CRESCITA, DINAMICA E FATO DELLA CIVILTÀ’ INDUSTRIALE.

“LA CADUTA DEL LEVIATANO. Collasso del capitalismo e destino dell’umanità” è un libro che si propone di superare la consueta narrativa circa l’insostenibilità e l’iniquità del capitalismo contemporaneo. Non cova infatti, né intenti vendicativi, né assolutori e si astiene dal proporre soluzioni più o meno utopiche. Illustra invece come il Fato della civiltà globale abbia preso forma da una combinazione unica nella storia di ineludibili leggi naturali, imprevedibili incidenti storici e l’affermarsi di una potente mitologia, capace di orientare gradualmente l’intera umanità verso un unico scopo supremo: Crescere!

Nella metafora di Hobbes, il Leviatano era formato da un intero popolo fedele ad un monarca assoluto. Nella nostra trattazione è invece una realtà fisica ben definita come “struttura dissipativa auto-organizzata evolutiva”. L’intero pianeta risulta oramai ricoperto dal suo corpo immane, costituito non solo da oltre 8 miliardi di esseri umani, ma anche da quasi 40.000 miliardi di tonnellate di catrame, metallo, cemento, colture e bestiame che costituiscono oramai un’unica mega-macchina globale di cui il sistema economico capitalista, nelle sue varie articolazioni, costituisce il metabolismo.

Una struttura estremamente efficiente in grado di evolvere con straordinaria rapidità, ma capace di fare un’unica cosa: assorbire sempre più energia e risorse per crescere perché, se la sua espansione si interrompe, muore. Tuttavia, anche la crescita continua lo condanna a un destino infausto, sebbene procrastinato nel tempo. Una condizione ben illustrata dal celebre aforisma: “Non puoi vincere, non puoi pareggiare, non puoi uscire dal gioco”; e neppure barare. La tecnologia assolve infatti a questa funzione fondamentale: barare al gioco della vita. Ha funzionato in passato e lo sta facendo tuttora, ma solo temporaneamente e con conseguenze penose inscindibili dai vantaggi che offre.

Attingendo alle più disparate discipline (dalla fisica alla mitologia, dall’economia alla filosofia, dalla storia all’ecologia) il discorso si dipana per oltre 400 pagine che si sforzano di descrivere fenomeni complessi nella maniera più semplice e divulgativa possibile. L’opera non consiste in un esercizio di esagerato determinismo, improntato a un morboso “tanto oramai non c’è più nulla da fare”; si propone invece di capire cosa sia possibile che accada e cosa no. Compito imprescindibile perché, con poche forze e ancora meno tempo a disposizione, sprecarli è disperante.



Un esempio molto semplice, ma utile per capire la natura del problema: immaginiamo un pietrone sferico su di un piano inclinato. Quali opzioni abbiamo al riguardo? Possiamo reggerlo, lasciarlo precipitare e scansarci oppure inventare un modo per bloccarlo il più a lungo possibile; possiamo pure spingerlo in salita o danzarci sopra mentre rotola a valle. In nessun caso, invece, il macigno tornerà verso l’alto da solo e smetterà di gravare verso il basso.

Sembra banale, ma forse non lo è, visto che l’intera politica mondiale si basa su presupposti altrettanto fantasiosi di un macigno che rotola da solo verso l’alto. Perfino molti premi Nobel dell’economia hanno avanzato teorie basate sulla presunta capacità dell’ingegno umano di violare la fisica e le leggi naturali. Ecco perché il libro si impegna a demistificare concetti tanto alla moda quanto antiscientifici, allo scopo di analizzare il Fato del Leviatano nel modo più realistico possibile.

Il Fato non stabilisce infatti ineluttabilmente il futuro, ma delimita un campo di probabilità decrescenti, fino a zero. Esiste dunque una gamma di opzioni possibili, ognuna delle quali provocherà ripercussioni immediate ed altre più o meno dilazionate nel tempo; talvolta utili e talaltra disastrose, comunque sempre difficili o impossibili da prevedere perché il sistema a cui apparteniamo è troppo complesso per comprenderlo nei dettagli, alcuni trascurabili altri invece cruciali. Malgrado un noto aforisma, ben difficilmente una farfalla scatena un uragano e, comunque, non potremo mai sapere se la tempesta in corso in Italia sia stata davvero innescata da una farfalla brasiliana che volava un secolo fa.

In compenso, conosciamo abbastanza bene alcune delle leggi che governano energia, materia ed informazione per capire che la forza inarrestabile del capitalismo si deve ad una peculiarità che lo differenzia da molti altri arrangiamenti socio-economici elaborati nella storia: quella di estremizzare la tendenza innata delle strutture dissipative, ossia distruggere il proprio “intorno” per crescere in dimensione e complessità. Così, il capitalismo ha letteralmente mangiato l’intero pianeta e con esso tutti i popoli che lo abitano, annientandoli o assorbendoli. Un’invenzione formidabile dunque, che ha prodotto la più grande civiltà di tutti i tempi e consentito all’uomo azioni un tempo ritenute prerogativa degli Dei, come volare e raggiungere la Luna. Ma ad un prezzo: accelerare una dinamica propria di tutte le strutture che assorbono e dissipano energia: l’invecchiamento e la morte. O, per meglio dire, il degrado ed il collasso.

Infatti, malgrado sia nato poco più di quattro secoli or sono e sia giunto a compimento appena trent’anni fa, il Leviatano appare già vecchio e malandato. Il libro illustra quindi i principali malanni che lo affliggono, in ultima analisi tutti dipendenti dalla sua fisiologia perché la stessa dinamica che, in un pianeta ricco di risorse e di biosfera, ha causato la sua smisurata crescita, nel mondo attuale dove ormai abbondano solo gli umani e i relativi schiavi (animali, vegetali e meccanici) sta rapidamente portando al collasso ed alla disintegrazione del Leviatano e quindi del capitalismo, che ne è l’apparato digerente. Al punto che, per sopravvivere, sta ormai divorando non più solo la biosfera ed i poveri del mondo, ma anche buona parte dei capitalisti e dello stesso Capitale.

Normalmente, le opere che affrontano tematiche affini a quelle de La caduta del Leviatano si chiudono con una serie di consigli e buone pratiche per correggere la rotta e salvarsi. Qui non ne troverete perché il sistema non è correggibile, al massimo se ne possono mitigare in modo molto limitato alcune tendenze. E dunque?

Ognuno cercherà il modo di cavarsela il meno peggio possibile secondo le sue opportunità e possibilità, ma noi esortiamo i lettori affinché pensino anche a coloro che verranno dopo di noi. In fondo, l’unico evento capace di cancellare l’umanità sarebbe un collasso generalizzato della biosfera, innescato dall’estinzione di massa in corso e vivacemente sostenuta dalle autorità di ogni ordine e grado, in ogni angolo del mondo, al grido di “Rilanciamo la crescita!”. Non sappiamo se la Vita sulla Terra sopravvivrà, ma è possibile ed è pertanto legittimo sperarlo. In caso positivo, i nostri più o meno remoti discendenti dovranno creare nuove civiltà con il poco di utile che avremo lasciato loro. E di cosa ha bisogno una civiltà? Acqua dolce, cibo, biodiversità, un clima vivibile, ecc., ma non basta. Ha bisogno anche di un mito fondatore perché è la mitologia e non la scienza che guida l’umanità, ora più che mai e così sarà anche in futuro. Perciò, mentre vi preoccuperete di salvare i vostri risparmi, di imparare l’orticoltura e le pratiche agroecologiche o di contrastare le speculazioni dei palazzinari amici del sindaco, pensate ad un mito che possa dare un senso a quanto vi accade ed una speranza per un futuro che nessuno di noi vedrà. Contrariamente al pensiero comune, una nuova mitologia è più importante di una nuova tecnologia perché attribuire un senso a ciò che ci accade e nutrire una qualunque forma di speranza sono due bisogni assoluti per noi umani, senza i quali non riusciamo a sopravvivere a lungo.

Dunque è imperativo elaborare una “grande narrativa” in grado di sostituire il mito del Progresso che ci ha condotti nell’impasse i cui ci troviamo, consapevoli che i miti fondatori sono sempre opere collettive che maturano nel tempo. Nessuno ne è l’autore, ma molti vi partecipano.

SINOSSI

CAPITOLO 1 – Illustra la natura del Leviatano unitamente ai concetti di “struttura dissipativa” e di “superorganismo”, necessari per comprendere la dinamica interna del Leviatano, derivante in ultima analisi da leggi fisiche.

CAPITOLO 2 – Tratteggia la genesi storica del Leviatano. Partendo da alcune peculiarità che rendono unica la specie umana attuale e rappresentano i necessari presupposti per lo sviluppo del Leviatano. Si delineano quindi i passaggi storici fondamentali e alcuni dei soggetti che, ispirandosi a presupposti ideologici diversi, hanno storicamente contrastato il formarsi del Leviatano.

CAPITOLO 3 – Descrive sommariamente la tecnostruttura che non solo permette al Leviatano di esistere, ma che ne è parte integrante e sostanziale, assieme all’intera umanità con i suoi organismi simbionti, commensali e parassiti.

CAPITOLO 4 – Si analizza l’“economia-mondo” che struttura gerarchicamente il pianeta in regioni centrali e periferiche, organizzando i flussi di materia, energia ed informazione caratterizzanti l’economia e la società globalizzata. Viene quindi spiegata la dinamica interna del sistema economico che alimenta il Leviatano, evidenziando l’importanza degli incrementi nella disponibilità di cibo ed energia per costruire società sempre più complesse. Infine, si accenna all’impossibilità di un’economia effettivamente circolare e dunque all’inevitabile alterazione dei cicli bio-geo-chimici da cui dipende la continuità della vita sulla Terra.

CAPITOLO 5 – Si affrontano la mistica del Progresso e i correlati miti della Macchina, del Mercato e della Crescita economica infinita, che hanno plasmato i modelli di pensiero dominanti negli ultimi due secoli, servendo anche a legittimare sia le profonde ineguaglianze sociali e inter-generazionali (spacciate per temporanee), sia il degrado dell’ambiente (ritenuto un fatto inevitabile e marginale).

CAPITOLO 6 – Si elencano le principali dinamiche perverse che stanno minando la funzionalità del sistema socio-economico globale, con le relative ricadute ambientali e sociali. Fra queste, si richiama l’attenzione su fenomeni apparentemente paradossali come l’erosione del reddito da capitale e la pauperizzazione di parte crescente dei capitalisti per opera del capitalismo stesso.

CAPITOLO 7 – Si tenta una diagnosi spiegando perché le “patologie” che affliggono il Leviatano non sono contingenti e neppure reversibili, essendo dovute ai profondi danni inferti alla biosfera ed al degrado quali-quantitativo delle risorse.

CAPITOLO 8 – Disamina delle fosche prospettive dal punto di vista storico e sistemico con particolare attenzione al fatto che, al variare della disponibilità di risorse e della salute della biosfera, le medesime dinamiche che hanno creato il Leviatano lo stanno ora distruggendo.

CAPITOLO 9 – La “morte del Leviatano” appare quindi un fatto procrastinabile, ma inevitabile e le conseguenze saranno di portata tale da modificare irreversibilmente non solo la storia dell’umanità, ma anche quella della biosfera tutta. Del resto, le prime avvisaglie di un tale evento sono già evidenti sotto il profilo ecologico, energetico ed economico. Si tratteggiano poi brevemente i principali tentativi di reazione alla crisi globale, soprattutto in Occidente.

CAPITOLO 10 – Abbozza una proposta avulsa dagli aspetti tecnici e pratici della crisi, bensì concentrata sul modo più appropriato di pensare ad essa, alla ricerca degli elementi su cui costruire un nuovo Mito Fondatore che possa sostituire quello ormai defunto del Progresso, per sostenerci e orientarci nei prossimi decenni che saranno probabilmente fra i più difficili dell’intera storia umana.

L’opera è stata sottoposta a Richard Heinberg, noto giornalista e scientifico e senior fellow del Post Carbon Institute, che si è così espresso: “Questa e’ la panoramica piú completa ed accurata della condizione umana nel 21° secolo in cui mi sia mai imbattuto”.

PER DISCUTERNE

Esistono una pagina FB ed un profilo Instagram (la_caduta_del_leviatano) dedicati al libro che, al di là dall’intento promozionale, possono essere sede di discussione. Occasioni per parlare direttamente di questi argomenti ci saranno in occasione delle presentazioni pubbliche che saranno annunciate sui canali social, man mano che saranno organizzate.

Per ora sono state fissate le seguenti:

15 aprile, presso Comunità dell’Isolotto, Via degli Aceri, 1 – Firenze. Ore 21:00

18 aprile presso Conventino Caffé Letterario, Via Giano della Bella, 20 – Firenze. Ore 18:00

21 aprile presso Circolo Arci Via Vittorio Veneto, 54 – Pontasserchio, comune di San Giuliano Terme (PI). Ore 17:30

Il libro si può acquistare in libreria, sul sito Web della Albatros Il Filo Edizioni, su Amazon e i principali bookstore on line.





lunedì 6 marzo 2023

La fine delle auto come le conosciamo?

Da "The Seneca Effect", Domenica 19 febbraio 2023

Le auto private sono  inefficienti e costose, e probabilmente saranno i primi componenti del sistema industriale a risentire dell'imminente crisi delle risorse. I dati recenti indicano una crisi del mercato dell'auto che si sta sviluppando in questo momento: i prezzi sono in crescita, mentre sempre meno persone possono permettersi l'auto. Vedremo la fine delle auto così come le conosciamo


Non molto tempo fa, durante una discussione sui veicoli elettrici, una persona si è alzata dalla sedia e ha detto ad alta voce: "Il mio turbodiesel me lo tengo!" Il tono e l'atteggiamento implicavano qualcosa del tipo: "e se qualcuno di quegli stupidi verdi cerca di vendermi un'auto elettrica, lo faccio a pezzi". Era un buon esempio della regola fondamentale della politica che dice: "nessuno vuole cambiamenti di nessun genere". 

Sfortunatamente per questo amante del diesel (uno dei tanti), i cambiamenti stanno arrivando, che piacciano o meno. Guardate questi dati recenti di Bloomberg . 


Questo è un grafico sorprendente, uno di una serie che illustra i numerosi rapidi cambiamenti che stiamo vivendo al giorno d'oggi. Mostra l'inversione di una tendenza che ha visto le auto diventare sempre più convenienti negli ultimi 50 anni circa. Ma ora, il mercato sta cambiando rapidamente. I prezzi sono alle stelle e anche le auto usate stanno diventando più costose e difficili da trovare. Aumentano non solo i prezzi delle auto, ma anche quelli dei carburanti (soprattutto il gasolio), della manutenzione e delle assicurazioni. Aggiungete il modo in cui i governi continuano a maltrattare i proprietari di auto, visti come mucche da mungere da tasse e sanzioni. I risultati sono evidenti: molte persone non possono più permettersi le auto, le vendite di auto sono in calo da diversi anni, ma la tendenza sta accelerando e probabilmente lo farà ancora di più in futuro (dati da Statista ). 

Non possiamo dire che quanto sta accadendo sia inaspettato. Già 50 anni fa, il rapporto "Limits to Growth" al Club di Roma osservava che l'interazione tra l'esaurimento delle risorse, l'inquinamento e l'aumento della popolazione avrebbe portato a un declino economico durante i primi decenni del 21° secolo. È quello che stiamo vedendo: le persone stanno diventando sempre più povere. Guardate questi dati (da "American Compass")



L'intero "stile di vita americano", quello che il presidente Bush per primo ha definito "non negoziabile", è stato negoziato già negli anni '90. Forse i "dink" (doppio reddito, niente figli) possono ancora permettersi due auto in garage, ma per la maggior parte delle persone il sogno americano è diventato davvero un sogno. Con tutto che diventa più costoso e gli stipendi non corrispondono alla crescita dei prezzi, gli occidentali della classe media - e in particolare quelli della classe medio-bassa - devono tagliare qualcosa. Non acquistare una nuova auto è spesso la scelta più semplice. 

Entro certi limiti, avere meno auto e tenerle più a lungo non è un male. Riduce i costi e l'inquinamento e libera risorse per altri compiti più necessari. Sfortunatamente, le vecchie auto non possono durare per sempre, anche supponendo che ci sarà una scorta di carburante sufficiente per farle funzionare. E il problema è che, nella maggior parte delle periferie, specialmente negli Stati Uniti, la vita senza auto è quasi impossibile. Senza auto la gente non può andare al lavoro, non può fare la spesa al supermercato, non può portare i figli a scuola e così via. Servire una tipica area suburbana americana con un efficace sistema di trasporto pubblico è un incubo: questi luoghi non sono mai stati progettati con questa idea. Allora, cosa succederà? Abbozziamo un paio di scenari; ricordando che, come sempre, il mondo reale ci sorprenderà.

-- Lo scenario brutto. Non viene apportata alcuna modifica sostanziale. I consumatori rimangono attaccati alle loro attuali preferenze, l'industria si concentra su modelli di fascia alta, dove può ancora realizzare un profitto, e il pubblico si rifiuta di pagare per l'infrastruttura necessaria per il trasporto pubblico. A poco a poco, gli abitanti delle periferie iniziano a rimanere senza carburante, auto riparabili e pezzi di ricambio. Alla fine, una grande parte di loro diventa incapace di muoversi. Alcuni potrebbero essere in grado di lavorare da casa, mentre altri si trasformano in orticoltori locali. Ma nella maggior parte dei casi, nessuna mobilità significa niente lavoro, e niente lavoro significa niente soldi. Ciò porta al completo crollo del sistema economico di vaste aree suburbane. Gli abitanti cercano di trasferirsi nei centri urbani che possono ancora essere riforniti di cibo e altri beni, ma solo pochi ci riescono. Per gli altri, è lo scenario zombi

-- Lo scenario buonoIl sistema di trasporto viene riorganizzato attorno a veicoli meno costosi. L'industria si muove per produrre una nuova generazione di auto leggere ed efficienti ispirate al vecchio "Maggiolino" VW, ma in una versione elettrica che può essere ricaricata dagli impianti fotovoltaici locali. Queste auto possono essere rese ancora più leggere implementando limiti di velocità notevolmente inferiori rispetto a quelli attuali in modo che non necessitino degli attuali ingombranti dispositivi di sicurezza. Col tempo, questi veicoli potrebbero evolversi nel sistema noto come TAAS (trasporto come servizio) basato su proprietà condivisa e veicoli autonomi, ma questo non è strettamente necessario. I nuovi veicoli dovrebbero fornire agli abitanti delle periferie una mobilità sufficiente per poter sopravvivere mentre ci adattiamo gradualmente a un mondo in cui le risorse naturali sono diventate rare e costose. 

Il primo scenario (quello "cattivo") sembra in corso proprio ora. L'azione di propaganda contro i veicoli elettrici e le energie rinnovabili è in pieno svolgimento e ci stiamo muovendo allegramente e con sicurezza verso il disperato tentativo di mantenere in vita cose che non dovremmo cercare di mantenere in vita.

L'altro scenario, quello "buono", richiederebbe una leadership forte e la capacità dei governi di costringere l'industria a produrre veicoli economici, cosa che l'industria non vuole fare. È uno scenario improbabile considerando un altro principio politico fondamentale, " nessuno può pianificare nulla ". Ma non è impossibile. 

Quindi, come al solito, il futuro è incerto. Ci sono scenari intermedi, ma le attuali auto pesanti e costose non hanno certo possibilità di sopravvivenza. Nel lungo periodo (forse anche medio), la fine delle auto come le conosciamo è inevitabile.



Avevo già esaminato questo punto in un precedente post su " L'eredità di Cassandra", cinque anni fa. L'attualità sembra confermare la mia precedente interpretazione. 



mercoledì 5 maggio 2021

Idrogeno: I Veicoli Elettrici Sono Molto più Efficienti


Vi passo qui di seguito (cortesia di Veronica Aneris) l' "Executive Summary" del recente rapporto di "Transport and Environment" a proposito dell'idrogeno come combustibile per veicoli stradali. La conclusione è ed era scontata: l'idrogeno semplicemente non è comparabile con le batterie, specialmente in vista della transizione verso le rinnovabili. Tuttavia, sembra che anche le cose scontate debbano essere spiegate ai nostri decisori politici. Quindi ecco il riassunto, per il rapporto completo, questo è il link. .




Executive Summary

Quale deve essere il ruolo dell’idrogeno nel futuro del trasporto su strada? Sempre più frequentemente ne sentiamo parlare come soluzione strategica per la decarbonizzazione del settore. L’attenzione al tema si è intensificata notevolmente negli ultimi mesi in seno al dibattito sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Tuttavia, malgrado la centralità che gli viene conferita, i limiti dell’utilizzo dell’idrogeno come soluzione per decarbonizzare il trasporto su strada sono molteplici e noti da tempo.

Primo fra tutti l’efficienza energetica, che nel caso dei veicoli a idrogeno a celle combustibili è meno della metà rispetto agli elettrici a batteria. L’idea di utilizzare l’idrogeno come vettore energetico non è nuova. L’enfasi nei confronti dell’“economia basata sull’idrogeno” risale all’ottimismo degli anni ‘50 quando l’energia nucleare aveva fatto nascere il sogno - mai divenuto realtà - di un'energia abbondante e a basso costo. Un secondo - temporaneo - picco di interesse nei confronti di questa tecnologia si è manifestato con l'avvento delle energie rinnovabili nei primi anni del 21esimo secolo. Quello che ha sempre tagliato le gambe all’idrogeno è stata la bassa efficienza associata al processo di produzione, distribuzione ed utilizzo.

Oggi la presa di coscienza politica nei confronti della crisi climatica in atto e la necessità di decarbonizzare l’economia in tempi brevi ha generato un nuovo ritorno di interesse nei confronti di questa tecnologia. Di fatto l’idrogeno verde, prodotto al 100% da fonti rinnovabili, può rappresentare una soluzione importante nel complesso puzzle delle differenti tecnologie che si renderanno necessarie per raggiungere l’obiettivo europeo di zero emissioni nette al 2050. Se da un lato il tallone d’Achille dell’idrogeno - la sua bassa efficienza - resta uno dei limiti principali al suo sviluppo, dall’altro l'imprescindibilità dell’obiettivo di decarbonizzazione potrebbe giustificarne l’utilizzo in quei settori dove non esistono alternative migliori, più efficienti e meno costose, come ad esempio i settori hard-to-abate o l’aviazione.

L’impellenza di effettuare rapidamente la transizione ad un’economia climaticamente neutrale ha però messo in campo una nuova sfida di portata considerevole: il dispiegamento in tempi brevi di grandi quantità di energia rinnovabile. Questo obiettivo è particolarmente sfidante per il nostro paese, per il quale la velocità di installazione di rinnovabili è largamente inferiore a quella necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici 2030 e 2050. L’attuale frazione di energia rinnovabile prodotta è troppo piccola e troppo preziosa perché si possa pensare di sprecarne oltre la metà in processi inefficienti quando vi sono alternative migliori. Se l’impegno dei governi a raggiungere la neutralità climatica è serio, l’efficienza energetica non può certo essere un’opzione e va messa al primo posto. Il criterio alla base della scelta di qualsiasi percorso di decarbonizzazione deve essere quello di favorire - ove possibile - l’impiego di tecnologie a maggior rendimento, minimizzando la necessità di energie rinnovabili addizionali necessarie per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette.

Per il trasporto su strada, che nel frattempo ha visto l’affermazione della mobilità elettrica, largamente più efficiente, meno costosa e già tecnologicamente matura per molti segmenti, l’utilizzo dell’idrogeno non è giustificabile, se non in applicazioni di nicchia, né lo è lo spazio che esso occupa nel dibattito politico attuale italiano sulla transizione energetica. Non a caso alcuni emeriti esponenti della comunità scientifica italiana hanno definito “follia energetica” l’attenzione dedicata all’idrogeno nella definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per tutti quei settori che non siano specificatamente nautica, aeronautica e grandi produzioni industriali (Energia per l’Italia, 2021).

Molte sono inoltre le questioni che ruotano intorno al tipo di idrogeno utilizzato, i costi di produzione e trasporto, e la prontezza commerciale dei veicoli. Questo briefing ha l’obiettivo di fornire alcune informazioni di base rispetto all'attuale catena di produzione, trasporto e distribuzione dell'idrogeno, lo stato dell’arte del mercato e l’eventuale ruolo che può giocare nella decarbonizzazione del trasporto terrestre.

La lettura dei documenti, dei progetti, delle esperienze e della letteratura tecnica e scientifica relativa alle applicazioni dell’idrogeno, quale vettore e stoccaggio energetico, nel settore dei trasporti terrestri, dimostra che non costituisce una strada percorribile e utile per la decarbonizzazione del settore. Anzi, nel caso di competizione tra risorse scarse, è di ostacolo ad altre alternative ambientalmente ed economicamente preferibili, come l’elettrificazione.

Per i veicoli leggeri la risposta alla decarbonizzazione è rappresentata dalla tecnologia elettrica a batteria e in questo senso il mercato ha già deciso. Per i veicoli pesanti, le economie di scala associate al rapido sviluppo del mercato delle auto elettriche amplificano il business case per i camion a batteria e sempre più numerosi sono gli annunci dei produttori di camion sulla messa in produzione di serie di autocarri elettrici, mentre i camion a idrogeno sono ancora in fase prototipale e bisognerà attendere almeno il 2026 per vederne la messa in produzione di serie in Europa.

Per il trasporto merci di lungo raggio (>500km) non è ancora chiaro se la mobilità elettrica sarà in grado di avere tutti i requisiti necessari per sopperire alle esigenze della logistica merci in termini di autonomia e tempi di ricarica. Ma il buon senso da un lato e lo stato dell’arte attuale della tecnologia e del mercato dall’altro indicano che il ruolo dell’idrogeno nella decarbonizzazione del trasporto su strada, se mai ne avrà uno, resterà limitato ad applicazioni di nicchia (decine di migliaia di mezzi, rispetto a milioni). Per queste ragioni è opportuno sviluppare ricerche e sperimentazioni, ma non accettabile lo sviluppo di progetti industriali, come per altro emerge con evidenza dai pochi progetti concreti tra le proposte del PNRR.


Rapporto completo

sabato 20 marzo 2021

Il problema del marinaio naufragato: quando il denaro diventa inutile

 

La crisi del Covid ha messo in luce un problema già esistente: che i soldi sono inutili se non si può comprare nulla. È il problema del marinaio naufragato su un'isola deserta. ( immagine da Wikimedia ): i soldi non lo aiuteranno a sopravvivere. Quindi, blocchi e restrizioni ci hanno dato un assaggio di un futuro in cui il denaro potrebbe non valere nulla semplicemente perché non c'è nulla che puoi comprare. È un problema legato in ultima analisi all'inevitabile esaurimento dei combustibili fossili che sono alla base della nostra economia: con meno energia non possiamo continuare con i consumi cospicui. Quindi, dopo il Covid, la società non sarà più la stessa. Tenendo conto che la storia non si ripete mai, ma fa rima, qui esamino la situazione partendo da un parallelo con la storia dell'Impero Romano.


Da "The Seneca Effect"

di Ugo Bardi

La crisi romana : quando i soldi non potevano comprare nulla

Immaginiamoci di vivere a Roma nel I secolo d.C. (al tempo di Lucius Annaeus Seneca). A quel tempo, Roma, con forse un milione di abitanti, era la città più grande del mondo e probabilmente il più grande emporio mai visto nella storia. Attraverso la Via della Seta che andava da una parte all'altra dell'Eurasia, una carovana dopo l'altra portava a Roma ogni sorta di merce: pepe, cardamomo, chiodi di garofano, cannella, legno di sandalo, perle, rubini, diamanti e smeraldi. E poi avorio, seta, cristalleria, profumi, gioielli, unguenti e molto altro ancora: uccelli esotici, cibo speciale, schiavi da usare come lavoratori e come oggetti sessuali. E c'era l'intrattenimento: a Roma c'erano teatri, corse di carri, giochi di gladiatori, lotte tra animali esotici e tutti i tipi di artisti con i loro trucchi magici, le loro canzoni e i loro spettacoli. 

Chi aveva soldi, poteva godersi tutto questo. E i romani avevano soldi: li coniavano. Avevano il controllo delle più ricche miniere di metalli preziosi del mondo antico, nella regione settentrionale della Hispania. Lì, decine di migliaia di schiavi, forse centinaia di migliaia, erano impegnati in un'opera che Plinio il Vecchio descrisse come "la rovina delle montagne" ( ruina montium ), il processo di frantumazione della roccia in sabbia per estrarre i minuscoli granelli d'oro e argento che conteneva. 

Con l'oro e l'argento che estraevano, i romani pagavano le loro legioni. Poi, le legioni invadevano le regioni al di fuori dell'Impero e catturavano schiavi che avrebbero estratto più oro per pagare più legioni. E, finché le miniere producevano, i romani avevano oro in abbondanza, anche se molto veniva inviato in Cina e in altre regioni dell'Asia per pagare i beni di lusso che importavano e che facevano funzionare la macchina economica dell'impero. Perché esista un impero, il denaro è tutto.

Naturalmente, allora come adesso, non tutti avevano la stessa ricchezza. A Roma, i ricchi si prendevano la maggior parte del bottino, ma un po 'di denaro scorreva agli artigiani, agli artisti, agli impiegati; tutti, dai cuochi alle prostitute, potevano avere la loro parte, forse piccola, ma comunque qualcosa. Anche gli schiavi, indigenti per definizione, potevano possedere un po 'di soldi. È possibile che, occasionalmente, i loro padroni gli regalassero qualche moneta di rame per comprare una coppa di Falerno o un biglietto per le corse delle bighe.

Ma i ricchi romani erano veramente ricchi -- schifosamente ricchi, diremmo oggi. E il loro stile di vita era tutto basato sul mettere in mostra la loro ricchezza. Leggiamo questo estratto da Cassio Dione su un ricco patrizio romano, Vedius Pollio.

. . . teneva nei serbatoi enormi lamprede che erano state addestrate a mangiare gli uomini, ed era abituato a gettare loro quei suoi schiavi che desiderava mettere a morte. Una volta, mentre stava intrattenendo Augusto, il suo coppiere ruppe un calice di cristallo e, senza riguardo per il suo ospite, Pollione ordinò che il poveraccio fosse gettato alle lamprede. Allora lo schiavo cadde in ginocchio davanti ad Augusto e lo supplicò, e Augusto in un primo momento cercò di persuadere Pollione a non commettere un atto così mostruoso. Poi, quando Pollione non gli prestò attenzione, l'imperatore disse: "Porta tutti gli altri vasi per bere che sono dello stesso tipo o qualsiasi altro di valore che possiedi, in modo che io possa usarli", e quando furono portati, ordinò che fossero tutti rotti. ( Storia romana (LIV.23))

Questa storia doveva essere ben nota poiché è stata riportata anche da Seneca, Plinio e Tertulliano. Questo mi fa sospettare che fosse falsa, o almeno esagerata. A parte le "lamprede" che erano probabilmente "murene", potrebbe essere stata un'invenzione di Ottaviano, alias Augusto, che era veramente un esperto di autopromozione . Ma non importa se la storia è vera o no. Gli antichi romani la trovavano credibile, quindi ci dà un'idea del loro modo di pensare. 

Probabilmente, i romani non vedevano la morale della storia nello stesso modo in cui la vediamo oggi. Per loro era perfettamente normale che gli schiavi potessero essere messi a morte dai loro proprietari in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo. Quello che hanno visto nella storia era, piuttosto, qualcuno che aveva oltrepassato i limiti del suo status. Pollione aveva cercato di impressionare l'imperatore, prima con la sua ricchezza, i suoi preziosi vetri, e poi con il suo potere, ordinando la morte di uno schiavo per una sciocchezza. Quindi, fu giustamente umiliato dall'imperatore Augusto che così ripristinava il corretto ordine gerarchico. 

Il punto di questa storia è che mostra che i romani praticavano quello che oggi chiamiamo "consumo cospicuo". Pollione era schifosamente ricco e amava mettere in mostra la sua ricchezza. Sicuramente, non era l'unico: ci sono altri esempi di ricchi romani che mettono in mostra la loro ricchezza con ville sontuose, divertimenti stravaganti, vestiti alla moda, gioielli e entourage di schiavi e tirapiedi. A quel tempo, l'Imperatore era la persona più ricca di Roma. Era tradizione che mostrasse la sua ricchezza e il suo potere distribuendo cibo per i poveri e intrattenendo i cittadini con giochi e spettacoli. 

In breve, la Roma imperiale non era diversa dalla nostra epoca: i ricchi erano enormemente ricchi, ma qualcosa della loro ricchezza scorreva fino al resto della gente. Sicuramente, su tutti i gradini della scala sociale, le persone giocavano al gioco del consumo per stare al passo con i loro vicini. Era sempre la stessa storia. Il denaro è uno strumento per il commercio, ovviamente, ma anche un modo per stabilire la gerarchia sociale. 

Poi, le cose hanno iniziato ad andare storte, come sempre succede. Per l'Impero Romano, il controllo di un territorio che si estendeva dalla Britannia alla Cappadocia richiedeva un apparato militare enormemente costoso e stava diventando sempre più difficile trovare abbastanza soldi per il compito. Non abbiamo notizie quantitative sulla produzione delle miniere di metalli preziosi in epoca romana, ma, dai dati archeologici,  sembra che l' esaurimento fosse già un problema durante i primi secoli dell'Impero. È tipico delle risorse minerari: non si esaurisce nulla all'improvviso, ma il costo dell'estrazione continua ad aumentare.

Sicuramente i romani fecero enormi sforzi per cercare di evitare il declino delle miniere. Ma il dirupo di Seneca è inevitabile quando si ha a che fare con risorse non rinnovabili. La discesa è iniziata circa all'inizio del 2 ° secolo dC. Un secolo dopo, le miniere imperiali avevano cessato di produrre qualsiasi cosa. Non si sarebbero mai riprese. (immagine da McDonnell et al .)

Niente oro, niente impero. Il crollo minerario portò quasi alla fine dell'impero durante il terzo secolo. Era una serie di effetti che si rinforzavano a vicenda. L'oro inviato in Cina non poteva essere sostituito dall'estrazione mineraria. Quindi, meno oro significava meno truppe, il che significava meno schiavi, e questo, a sua volta, significava ancora meno oro. Il risultato fu una serie di guerre civili, invasioni straniere, disordini e declino economico generale.

L'Impero Romano avrebbe potuto scomparire entro la fine del III secolo. In pratica, è riuscito a sopravvivere per un paio di secoli in più, ma in una versione molto più povera. Per prima cosa, i romani non potevano più permettersi i lussi che una volta avrebbero pagato con l'oro che estraevano. Come ci si aspetterebbe, i poveri furono i primi ad essere colpiti, mentre i ricchi tendevano a mantenere il loro stile di vita stravagante il più a lungo possibile. Ma l'intera società era stata colpita.

Per il tardo impero romano, il problema non era solo che il sistema aveva esaurito l'oro. Ad un certo punto, i romani devono aver fermato, o almeno notevolmente ridotto, il flusso di beni di lusso dalla Cina e quindi il relativo esborso di oro. A quel punto, i ricchi romani avevano ancora dell'oro. Basta guardare questo solidus d'oro coniato ai tempi dell'imperatore Costantino il Grande, a metà del IV secolo d.C.

Ma cosa potrevi comprare con queste bellissime monete? A quel tempo, tutto ciò che l'Impero Romano d'Occidente poteva produrre erano legioni ed esattori delle tasse e, senza importazioni dall'estero, Roma era diventata un cupo avamposto militare, non più il più grande emporio del mondo. 

Coloro che avevano ancora l'oro si ritrovarono nella posizione di un marinaio naufragato su un'isola deserta. Noci di cocco in abbondanza, forse, ma non c'è modo di giocare al gioco del consumo cospicuo. Già con Augusto, il primo imperatore, vediamo una tendenza giuridica che mirava a limitare gli eccessi di ricchezza che i romani potevano manifestare. È stato un processo graduale che si è concluso solo con la diffusione del cristianesimo in Europa e dell'Islam in Nord Africa e Medio Oriente. Era inevitabile, ed è successo.

Quindi, in questi tempi tardo romani, l'oro aveva perso gran parte del suo splendore. Chi lo aveva ancora iniziò a seppellirlo sottoterra, con l'idea di conservarlo per tempi migliori. Gli archeologi moderni stanno ancora trovando l'oro sepolto a quell'epoca. Quella è la probabile origine delle nostre leggende sui draghi che vivevano nelle caverne e sedevano su mucchi d'oro. La gente sapeva che era stato sepolto molto oro ma, sfortunatamente per loro, mancavano i metal detector che abbiamo oggi! In ogni caso, quella fu la fine dell'Impero Romano. Come dicevo, niente oro, niente soldi, niente impero. 


Denaro creativo: le reliquie del Medioevo

Quando l'Impero Romano svanì, fu sostituito in Europa dall'era che chiamiamo Medioevo. Quindi, le persone si sono trovate con un grosso problema: come tenere unita la società senza i metalli preziosi necessari per coniare denaro? E, peggio ancora, senza un mercato dove quei soldi che avrebbero potuto essere spesi? Il Medioevo era un periodo di piccoli regni frammentati e villaggi sparsi, ma c'era ancora bisogno di un sistema commerciale che spostasse le merci. Ma come crearlo senza soldi in metallo?

I nostri antenati medievali hanno risolto il problema in modo creativo con un tipo di denaro completamente nuovo. Era basato su reliquie. Sì, le ossa di santi uomini, raccolte meticolosamente, autenticate e rilasciate dall'autorità del tempo, la Chiesa cristiana. Non solo le reliquie erano rare e ricercate, ma potevano anche fornire un servizio che nemmeno l'oro romano poteva fornire quando era abbondante: la salute sotto forma di interventi divini. (Nella figura, reliquie del XVIII secolo di proprietà dell'autore. Sembrano monete, sembrano monete, hanno la forma di monete - sono monete!)


Queste reliquie erano una forma di denaro virtuale ma, in fondo, tutto il denaro è virtuale. Anche una moneta d'oro promette qualcosa (ricchezza) che di per sé non può garantire a meno che non esista un mercato dove poterla spendere. E il fatto che il denaro possa essere speso dipende dal fatto che le persone credano che sia denaro "vero", un atto di fede. Allo stesso modo, una reliquia è un oggetto virtuale che non ha valore in sé. Promette qualcosa (salute) che può arrivare se ci credi. Era, ancora una volta, un atto di fede basato sulla convinzione che i piccoli pezzi di osso che le reliquie contenevano provenissero effettivamente dal corpo di un sant'uomo del passato. 
 
La bellezza del sistema monetario basato sulle reliquie era che le reliquie non venivano "spese" nei mercati. Potevi possedere reliquie, ma potevi concedere i loro benefici per la salute ad altri e conservarle comunque. In altre parole, potevi spendere i tuoi soldi (mangiare la tua torta) e averla ancora! Il mercato delle reliquie era gestito principalmente da istituzioni pubbliche come monasteri e chiese. Possedevano le reliquie più preziose ed erano i luoghi in cui i pellegrini accorrevano per essere guariti dalla potente aura sacra che queste reliquie emanavano.
 
Il sistema commerciale del Medioevo si è evoluto in gran parte attorno alle reliquie. Il viaggio è stato incoraggiato sotto forma di pellegrinaggi ai luoghi santi, e questo creava un'economia di scambio basata sulla carità. Un consumo cospicuo semplicemente non era possibile nell'economia relativamente povera del Medioevo. Di conseguenza, la filosofia cristiana ha de-enfatizzato il consumo e ha condannato la disuguaglianza sociale. La virtù più alta per una persona medievale era quella di sbarazzarsi di tutti i suoi beni materiali e vivere un'austera vita di privazione. Certo, era più teorico che pratico, ma alcune persone lo mettevano in pratica per davvero: basti pensare a San Francesco.
 
Il sistema funzionò perfettamente fino a quando nuove miniere di metalli preziosi nell'Europa orientale iniziarono a funzionare nel tardo Medioevo e ciò riportò la valuta metallica in Europa. Seguì un nuovo periodo di espansione che alla fine portò ai nostri tempi di rinnovati consumi vistosi. Ed è lì che siamo.

 

I romani e noi: gli stessi problemi. 

Sappiamo che la storia non si ripete mai, ma fa rima. Allora, a che punto siamo adesso? Il denaro che tiene unito l'Impero Globale, oggi, non è basato sui metalli preziosi e non rischiamo di crollare perché le nostre miniere cessano di produrre oro. In effetti, ci sono prove evidenti che la produzione di oro e la crescita economica si sono dissociate in tutto il mondo negli anni '50 . Quindi usare l'oro come base per un sistema monetario è passato di moda negli anni '70. 

I nostri soldi non sono legati a niente, al giorno d'oggi. Sono qualcosa che fluttua libero nello spazio, un fantasma di quelle che una volta erano pesanti monete d'oro. Ma ce l'abbiamo ancora e i nostri ricchi sono così schifosamente ricchi da far vergognare quelli romani (anche se i nostri multimiliardari non hanno il diritto di gettare i loro servi nella vasca delle murene, non ancora, almeno) . 

A quanto pare, siamo più intelligenti degli antichi. Non avevano carta, non avevano la stampa, non potevano stampare banconote. E non potevano nemmeno immaginare cosa fosse una criptovaluta. Possiamo fare molto meglio di qualsiasi cosa loro potevano inventare. Quindi non dovremo mai affrontare gli stessi problemi, giusto?

Non è così semplice. Sì, abbiamo carta moneta, criptovalute e simili. Ma non pensate che i romani non abbiano cercato di sostituire l'oro con qualcos'altro. Anche senza carta, avrebbero potuto usare terracotta, papiro, pergamena o qualsiasi altra cosa. Ma se ci hanno provato, non ha funzionato. Il problema è sempre quello del marinaio naufragato. Puoi avere soldi in una forma o nell'altra, ma se non ci puoi comprare nulla, è inutile. Anche se hai oro, non c'è molto che puoi comprare in un'economia al collasso. 

Ed eccoci qui: siamo tutti marinai naufraghi e questo è stato dimostrato più chiaramente dalla pandemia di Covid. Eravamo chiusi a casa, non potevamo andare al ristorante, fare un viaggio, bere qualcosa, andare in spiaggia, andare a ballare, niente del genere. Non che il commercio fosse scomparso: potevamo ancora comprare tutto quello che volevamo da Amazon e farselo consegnare a casa. Ma, come ho già notato, il denaro non è solo uno strumento per comprare cose. È uno strumento per stabilire la gerarchia sociale attraverso il gioco del consumo cospicuo. È un gioco che non puoi fare da solo, a casa, davanti a uno specchio. Non più di un marinaio naufragato, solo sulla sua isola, può ottenere uno status sociale più elevato mangiando più noci di cocco.

Alla fine, la pandemia ha semplicemente portato alla luce qualcosa che avremmo dovuto già sapere: che non possiamo dedicarci in un consumo cospicuo ancora per molto tempo. L'esaurimento dell'oro non è un problema per noi. Il problema è che stiamo gradualmente esaurendo i combustibili fossili, e sono stati quei combustibili che ci hanno permesso di consumare così tanto e sprecare così tanto. La pandemia ci ha dato un assaggio delle cose a venire. Poiché è così funzionale nello spingere l'economia nella direzione in cui deve andare in ogni caso, potrebbe non finire mai.

Quindi, possiamo pensare a una soluzione creativa per il futuro che attende la nostra civiltà man mano che esaurisce le fonti di energia che la alimentano? Forse possiamo trovare ispirazione dal Medioevo. Come ho detto, la storia non si ripete mai, ma forse ci stiamo muovendo verso una fase storica che fa rima con il modo in cui funzionava l'economia del Medioevo. Quindi, la Chiesa Cristiana può essere sostituita dall'entità che chiamiamo "Scienza" (con la "S" maiuscola), che dovrebbe essere in grado di dispensare salute fisica e spirituale ai suoi seguaci. E questo può generare commercio e movimento di persone e merci, oltre a stabilire un nuovo ordine gerarchico.

Potremmo aver già visto indizi di questa evoluzione. In primo luogo, il Covid ha danneggiato pesantemente il sistema sanitario di tutti i paesi. Con la paura di essere contagiati e con gli ospedali che si convertono in centri di assistenza Covid, ora una buona salute non è garantita per tutti: è una nuova forma di consumo vistoso per chi se lo può permettere. Gli antichi pellegrinaggi ai luoghi sacri potrebbero essere sostituiti da viaggi nei migliori ospedali e centri sanitari. 

Allora, ci sarà un equivalente delle sacre reliquie in futuro? Finora, niente del genere è emerso, ma possiamo vedere i certificati di vaccinazione in arrivo come "segni di virtù" che separano gli "abbienti" (coloro che sono vaccinati) dai "non abbienti". (quelli che non vogliono, o che non possono permettersi, di essere vaccinati). Ma questa non è certo una gerarchia funzionale. Alla fine, potrebbe essere sostituito da un "sistema a punti" non dissimile dallo shèhuì xìnyòng tǐxì,  il sistema di credito sociale in via di sviluppo in Cina. Secondo tutte le definizioni, questo è un tipo di sistema monetario che stabilisce un sistema gerarchico non basato su un consumo cospicuo. Potrebbe essere il futuro.

E, come sempre, la storia continua a fare rima. 

 

mercoledì 18 novembre 2020

Conversione ecologica e conflitto. La Contrazione Pianificata dell'Economia

Articolo già apparso su Apocalottimismo in data 16 ottobre 2020.

Di Jacopo Simonetta

Recentemente, l’Università di Pisa ha avviato un interessante progetto di ricerca, chiamato “Ecoesione”. In sintesi, si tratta di capire quali impatti sociali negativi potrebbero venire da effettive politiche di contrasto al cambiamento climatico per poterli prevenire o, perlomeno, mitigare e gestire, evitando l’esplodere della violenza.

Trovo la cosa molto interessante perché, anche se i pareri su quali provvedimenti siano necessari spesso divergono, tutti concordano che siano indispensabili ed urgenti cambiamenti drastici e rapidi a tutti i livelli ed in tutti i settori. Ed ogni volta che qualcosa cambia, qualcuno ci guadagna ed altri ci perdono, sempre. E’ quindi normale che i perdenti si oppongano con tutti i mezzi a loro disposizione e non è neppure detto che abbiano tutti i torti. Per esempio, i disordini fomentati dai “Gilets Jaunes” hanno finito con l’essere strumentalizzati dall’estrema destra, ma non erano nati per questo e, neppure, sono stati una banale rivolta contro le politiche di contrasto al GW, come qualcuno ha detto. La rivolta aveva infatti radici profonde nella discriminazione molto francese fra Parigi e “provincia”, nell’impoverimento della piccola borghesia e dei lavoratori, nel venir meno di molti servizi in vaste zone della Francia rurale; per non parlare dell’atteggiamento spesso spocchioso di Macron.

Insomma, il rincaro del prezzo del gasolio è stata la classica “goccia che fa traboccare il vaso” per una massa di persone che già vive in condizioni disagiate e che per le proprie necessità (lavoro, acquisti, scuola, sanità, ecc.) dipende interamente da vecchie macchine diesel che non si può permettere di cambiare.

Il progetto dell’Unipi si prefigge esattamente questo: evitare errori di questo genere.
Partecipare come “stakeholder” alla riunione di avvio ufficiale del progetto mi ha suggerito tre domande che, credo, sarebbe utile discutere proprio approfittando dello staff d’alto profilo schierato per questo progetto. Le tre domande che pongo sono queste:

1 – Crescita o non crescita?
2 – Quanta decrescita e per chi?
3 – Bisogna superare il capitalismo?
 

In rapporto ad ognuna di queste avanzerò alcune osservazioni, in tre puntate per ridurre il tedio degli eventuali lettori. Niente di nuovo, ma sono aspetti che in molte discussioni si tende a dimenticare.

Crescita o decrescita?

Konrad Lorenz fece notare che l’uomo odierno è tenuto in scacco da una serie di atteggiamenti mentali profondissimamente radicati in ognuno di noi, forse addirittura a livello genetico. Atteggiamenti che in passato hanno favorito il successo della nostra specie, ma che nel contesto attuale la stanno invece portando diritti verso il disastro. Fra questi, dedica un capitolo all’ Amore per la Crescita. Niente ci da gioia come vedere crescere ciò che si ama: la propria famiglia, il gregge, i libri della biblioteca, il conto in banca, i fiori del giardino e qualunque altra cosa cui teniamo.
In relazione alla crescita economica, a questa atavica passione si aggiunge l’oggettiva esperienza degli indiscutibili vantaggi materiali che questa porta con sé.

Per questo, di solito, i promotori di una qualunque variante di “transizione ecologica” parlano apertamente di “crescita verde” o, perlomeno, lasciano intendere che sia possibile salvare la Biosfera ed il clima, pur rilanciando quella crescita economica che dovrebbe risolvere tutti i nostri problemi.

Siamo sicuri che sia possibile e, se si, che sia compatibile con lo scopo prefissato di fermare la catastrofe ambientale planetaria? L’argomento ha una valenza politica di primo livello ed è infatti molto dibattuto, spesso trascurando alcuni fattori particolarmente sgradevoli, ancorché ben noti.
Limiti delle energie rinnovabili. Troppo spesso si da per scontato che le energie rinnovabili possano sostituire quelle fossili semplicemente mediante sufficienti investimenti, ma non è così.

Innanzitutto, per essere usata, l’energia deve essere prima concentrata cosa di cui, nel caso delle fossili, si sono incaricati i movimenti tettonici nel corso di milioni di anni. Nel caso delle rinnovabili dobbiamo invece farlo noi mediante opportuni mezzi tecnici che ci sono, ma che occorre pagare e che, per funzionare, dissipano parte dell’energia captata. Non possono quindi avere lo stesso rendimento termodinamico delle fossili.

In secondo luogo, sono intermittenti e necessitano quindi di opportuni sistemi di accumulo ed una forte ridondanza di tutte le strutture. Le tecnologie disponibili sono molte ed efficaci, ma tutte comportano un aumento dei costi e dei materiali impiegati, una perdita di efficienza ed un aumento degli impatti ambientali.

Anche le energie rinnovabili hanno infatti degli impatti ambientali sia diretti (per esempio la distruzione di intere valli, fiumi e torrenti mediante le dighe), sia indiretti per l’estrazione e la lavorazione dei materiali con cui vengono costruite e manutenzionate. Oggi sarebbe impossibile realizzare e mantenere efficienti impianti fotovoltaici, dighe e pale eoliche senza disporre di grandi quantità di energia fossile a buon mercato. In futuro potrebbe forse cambiare, ma si entra nel campo della fantascienza.




Infine, oggi le energie fossili coprono poco meno dell'80% dei consumi globali, il legname (la cui rinnovabilità è molto parziale) un altro 9% ed il nucleare poco più del 2 %. Complessivamente, le rinnovabili vere coprono meno del 10% dei consumi attuali (il fotovoltaico circa lo 0,1%).
Semplicemente, non è pensabile una vera transizione energetica senza una molto sostanziale riduzione dei consumi finali, mentre questi continuano ad aumentare. Infatti, ed è il punto più critico di tutti, finora le nuove fonti energetiche non hanno sostituito quote di energia fossile, ma si sono aggiunte a quelle, comunque in crescita. Ma l’impatto complessivo, non solo climatico, dell’umanità sul Pianeta dipende prima di tutto proprio dalla quantità complessiva di energia che dissipiamo.

Limiti del disaccoppiamento. 

Secondo la vulgata, la chiave per mantenere, anzi migliorare le condizioni di vita dell’umanità e, contemporaneamente, ridurre i consumi di energia è il progresso tecnologico che assicurerà un crescente disaccoppiamento. Vale a dire una maggiore produzione di beni e servizi a fronte di minori consumi.

Una approfondita metaricerca ha però dimostrato che si tratta in buona misura di leggende metropolitane. In realtà, i casi documentati di effettivo disaccoppiamento sono molto pochi e molto parziali. Al massimo, abbiamo un lieve disaccoppiamento relativo, vale a dire che i consumi crescono meno della produzione, ma crescono comunque e noi li dobbiamo ridurre.

Si potrà obbiettare che, anche se un vero disaccoppiamento non si è ancora visto, l’efficienza della produzione è comunque aumentata e continua ad aumentare, permettendo di contenere la crescita dei consumi, tanto di energia quanto di materiali (la cosiddetta “dematerializzazione”). Ma anche questo non è vero, se non forse, in qualche caso. Il punto qui è il cosiddetto “effetto rebound” (alias “Paradosso di Jevons”). L’osservazione empirica dei dati storici, dall’introduzione del motore Watt nel 1782 ad oggi, dimostra che l’effetto è anzi contrario: l’aumento dell’efficienza riduce i costi di produzione e di uso di beni e servizi, così da renderli disponibili per masse crescenti di persone. Il risultato finale è quindi un aumento e non di una riduzione dei consumi di energia e materiali. Questo operando in un’economia di mercato; cambiando il contesto politico ed economico le cose potrebbero anche andare diversamente, ma questo ci rimanda alla terza domanda.

Comunque, anche al di la delle esperienze finora maturate, ci sono vincoli fisici invalicabili che ci assicurano che un vero disaccoppiamento non è fattibile, perlomeno non su di una scala neppure lontanamente prossima a quella necessaria. L’unico modo per ridurre i consumi in misura adeguata è quindi ridurre considerevolmente la produzione di beni e servizi, una faccenda molto spinosa da proporre ed ancor più da gestire anche perché accadrà comunque, anzi sta già accadendo in buona parte del mondo, malgrado gli sforzi dei governi.

Limiti dell’economia circolare. 

Il secondo pilastro su cui si regge il sogno di una “green economy” è la chiusura dei cicli produttivi mediante il completo riciclaggio dei rifiuti. E’ certamente vero che in questo campo ci sono ampi margini di miglioramento (a condizione però di ristrutturare radicalmente il mercato e la fiscalità), ma un riciclaggio del 100% non è possibile neppure in via del tutto teorica. Ad ogni ciclo una parte del materiale va inevitabilmente perduto, quali che siano le tecnologie usate ed i finanziamenti disponibili. Perciò un’economia circolare è necessariamente un’economia che utilizza una quantità costantemente decrescente di materiale, oppure che preleva una quantità crescente di materie prime in natura.

Naturalmente non tutti sono d’accordo e molti sostengono che invece è possibile perché il progresso tecnologico consente di ridurre progressivamente la quantità di materiali usati per ogni singolo oggetto.
Il che è vero, ma il vantaggio si perde se si fabbricano più oggetti per più persone. Non solo: la riduzione della quantità di materiale incorporato in ogni singolo oggetto ha talvolta effetti deleteri sulle possibilità di riciclare i medesimi.

Insomma, si potrebbe fare molto per ridurre l’estrazione di minerali, biomassa, ecc. dall’ambiente, ma anche da questo punto di vista, per tornare veramente entro dei limiti di effettiva sostenibilità, bisognerebbe pianificare una consistente contrazione della produzione, con tutto ciò che ne consegue.

Limiti non energetici all’economia. I sostenitori del Green New Deal si focalizzano soprattutto sull’energia. Giustamente perché senza energia non si fa nulla, ma esistono anche altri limiti all’economia. Due di cui si parla comunque assai sono la disponibilità di materie prime e la capacità di smaltire i rifiuti, ma ne esiste un altro di cui non si parla praticamente mai: l’integrità funzionale della Biosfera che ci assicura quelli che riduttivamente chiamiamo “servizi ecosistemici”. Sono questi, infatti, che assicurano non solo la disponibilità delle risorse rinnovabili, l’assorbimento della CO2, la trasformazione finale dei rifiuti e molto altro, ma soprattutto consentono che sulla Terra si mantengano condizioni chimiche e fisiche compatibili con la vita biologica. Per essere chiari, il collasso della Biosfera (forse già iniziato e certamente non lontano) comporterebbe (o comporterà?) anche l’estinzione della nostra specie o, perlomeno, la scomparsa definitiva dei presupposti per l’esistenza di una qualunque civiltà.

Civiltà senza petrolio ce ne sono infatti state migliaia; invece civiltà senza acqua, suolo, foreste, biodiversità, ecc. non ce ne sono mai state, né mai ce ne saranno. Anzi, sono molte le società che si sono estinte proprio perché hanno eccessivamente degradato la Biosfera nel loro territorio. La differenza è che finora si è trattato di catastrofi locali o regionali, mentre oggi qualcosa del genere sta avvenendo a livello planetario.

In definitiva, direi che la risposta alla prima domanda è che pianificare una robusta contrazione dell’economia sia una delle condizioni necessarie affinché un progetto di transizione sia realistico. Ciò condurrebbe sicuramente al conflitto, solo che ogni altra possibile strategia è destinata al fallimento e dunque ad un conflitto ancor più grave. Il che ci porta alla prossima domanda: Quanta decrescita e per chi? Ne parleremo la prossima settimana.