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domenica 25 giugno 2023

Scienziati contro la Guerra



Appello per fermare la guerra in Ucraina


Siamo un gruppo di scienziati, ricercatori, medici e cittadini preoccupati per la salvaguardia della salute umana come pure dell'ecosistema terrestre. Vediamo che, dopo oltre un anno dal suo inizio, la guerra in Ucraina non dà evidenza di arrivare a una conclusione. In aggiunta all’impatto diretto sulla popolazione in termini di sofferenza umana e infrastrutture sociali ed economiche, cui bisogna far fronte con la solidarietà internazionale ed evitando di alimentare ulteriormente il conflitto, la guerra sta facendo enormi danni sociali e ambientali. Alcuni dei principali effetti negativi comprendono:

1.   Inquinamento dell'aria: durante le operazioni militari, l'uso di armi convenzionali (bombe, missili e proiettili) genera inquinamento atmosferico come risultato dalla combustione di carburanti, esplosioni e incendi che rilasciano particolato, gas tossici e altre sostanze inquinanti..
2.   Contaminazione del suolo: l'impiego di armi convenzionali contamina il suolo a causa delle esplosioni, delle sostanze chimiche presenti negli ordigni o dei rilasci di materiali pericolosi. La contaminazione del suolo danneggia l'ecosistema locale e ha effetti a lungo termine sulla salute umana, sull’agricoltura e sulla biodiversità.
3.   Inquinamento delle acque: gli scontri militari causano l'inquinamento delle risorse idriche. Le esplosioni possono contaminare i fiumi, i laghi e le falde acquifere con sostanze chimiche, metalli pesanti e altre sostanze nocive. Tutto questo ha un impatto negativo sulla fauna acquatica, sulla flora e sulla qualità dell'acqua potabile.

 4.    Distruzione degli ecosistemi: le operazioni militari coinvolgono la distruzione diretta degli habitat naturali, come foreste, fiumi e laghi, zone umide e aree protette. La perdita di habitat può portare all'estinzione di specie animali e vegetali, interrompere le catene alimentari e compromettere l'equilibrio ecologico di intere regioni. Il risultato è la compromissione della stabilità degli ecosistemi e un’influenza negativa sulle reti alimentari e sull'equilibrio naturale.
5.   Effetti a lungo termine sulla salute umana: l'uso di armi convenzionali causa danni alla salute umana sia direttamente che indirettamente, attraverso l'esposizione a sostanze chimiche tossiche e all'inquinamento ambientale. Le conseguenze a lungo termine includono malattie respiratorie, problemi neurologici, disturbi genetici e aumenti del rischio di cancro.


Questi gravissimi danni ambientali e umanitari, che ricadono in primis e in maniera drammatica sul territorio Ucraino e sulla popolazione locale, hanno inevitabilmente effetti in tutta Europa e nel mondo intero. In aggiunta, il gran numero di mine sparpagliate nelle zone di combattimento, sia pure regolato da alcuni trattati internazionali, rischia di rimanere una minaccia per la popolazione civile locale per molti anni. Per non parlare dei danni alla salute che deriverebbero dall'uso di munizioni all'uranio impoverito. La distruzione della diga di Nova Kakhovka ha messo a rischio il sistema di raffreddamento degli impianti nucleari di Zaporizhzhya. Secondo l’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA) si tratta di una “situazione potenzialmente pericolosa." Ricordiamo che i sei impianti della centrale di  Zaporizhzhya formano una delle centrali nucleari più grandi del mondo e i danni che potrebbero derivare dalla mancanza di raffreddamento, come pure da un attacco militare diretto, sono spaventosi. Per non parlare della possibilità di un'ulteriore espansione del conflitto con l'uso di armi nucleari.


Secondo l’ultimo rapporto Sipri, la spesa militare mondiale è stata nel 2022 di oltre duemila miliardi di dollari, più grande dell’intero PIL Italiano. Questo significa che oltre l’equivalente di tutta la ricchezza prodotta dall’Italia, una delle nazioni “ricche” del mondo, viene dilapidata in spese militari. Le stime sui costi della guerra in Ucraina sono incerte, ma sono certamente una frazione importante di questa cifra.  E questo non include i costi futuri per ricostruire e bonificare le zone interessate dalla guerra. Non possiamo permetterci di sprecare queste risorse preziose in una guerra quando ne abbiamo bisogno per sostenere la transizione ecologica e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDG). Questo è vero specialmente in un momento in cui assistiamo ad un'accelerazione del riscaldamento globale, come pure del degrado degli ecosistemi che sostengono la vita terrestre. Abbiamo bisogno di tutte le risorse disponibili per affrontare questa situazione che sta mettendo a rischio la sopravvivenza del genere umano


Invitiamo pertanto il governo italiano ad adoperarsi con decisione per una soluzione diplomatica del conflitto, in particolare per una tregua immediata che fermi l'uso delle armi, ponga fine al conflitto, garantisca tutto il supporto umanitario possibile alle popolazioni coinvolte, permetta di bonificare le zone contaminate e consenta di mettere in sicurezza gli impianti nucleari vicini alla zona del fronte.



 Firmato


  1. Simona Agger, architetto,  Member of the Board of  SIAIS  (Italian Society of Architecture and Engineering for Healthcare), HCWH-EU  (Health Care Without Harm- Europe), EuHPN  (European Health Property Network), IFHE International  (International  Federation of Health Engineering).

  2. Nicola Armaroli, Research Director – Istituto ISOF-CNR,  PHEEL Unit. Bologna

  3. Marino Badiale, Dipartimento di Matematica, Università di Torino

  4. Vincenzo Balzani, già professore Ordinario, Università di Bologna

  5. Ugo Bardi, Club di Roma,  già Docente Dipartimento di Chimica, Università di Firenze

  6. Antonio Bonaldi, medico di Sanità Pubblica già direttore sanitario di Aziende Ospedaliere-Universitarie

  7. Carlo Cacciamani, dirigente presso arpa-simc, Università di Bologna.

  8. Marco Cervino, fisico, ricercatore in ISAC-CNR, Bologna

  9. Mario Cirillo, ingegnere, già direttore del Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale di ISPRA.

  10. Paolo Crosignani, già primario di epidemiologia ambientale, istituto tumori, MIlano.

  11. Daniela Danna,Ricercatore Universitario, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università del Salento. 

  12. Roberto Danovaro, ecologo, Università Politecnica delle Marche

  13. Aldo Di Benedetto già Dirigente medico Ministero della Salute

  14. Andrea Di Vita, fisico, Visiting Scientist al Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale,Università di Genova

  15. Rosella Ferraris Franceschi già prof. Ordinario nel Dipartimento di Economia Aziendale Università di Pisa, Già Preside della Facoltà di Economia, Uni. Pisa, Già Membro eletto del CUN (consiglio universitario nazionale) presso Ministero dell'Università.

  16. Carlotta Fontana, architetto, Professore ordinario di Tecnologia dell’Architettura, Politecnico di Milano

  17. Francesco Forastiere, medico epidemiologo. Direttore scientifico della rivista Epidemiologia e Prevenzione.

  18. Andrea Gardini, medico

  19. Emilio Gianicolo, Dr. Rer. phsyik reasearch associate at Universitätsmedizin der Johannes Gutenberg-Universität Mainz, Germany

  20. Anna Gigli, già ricercatrice presso l'Istituto di Ricerche della Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, Roma.

  21. Francesco Giorgelli, biologo Vicepresidente CUG UNIPI Formatore Qualificato Salute & Sicurezza

  22. Francesco Gonella, Professore ordinario di Fisica, Università Ca' Foscari Venezia.

  23. Paolo Lauriola, medico epidemiologo, " Coordinatore Rete Italiana Medici Sentinella (RIMSA)".

  24. Tommaso Luzzati, docente di Economia Ecologica e Sustainable development Dipartimento di Economia e Management, Università di Pisa.

  25. Cristina Mangia, Ricercatrice Ambientale. CNR, Lecce

  26. Alberto Mantovani, medico veterinario, tossicologo già direttore di ricerca ISS.

  27. Giulio Marchesini R.Professore “Alma Mater” di Scienze Tecniche Dietetiche, Università di Bologna. Honorary Professor, Aarhus University, Denmark

  28. Maria Teresa Maurello, medico di Sanità pubblica. Già direttore UOC Igiene e Sanità Pubblica Az.USL Toscana Sud-Est.

  29. Daniele Menniti, ingegnere, Ordinario di Sistemi Elettrici per l'Energia Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale Università della Calabria

  30. Eduardo Missoni, medico specialista in medicina tropicale, docente di salute globale e sviluppo presso SDA Bocconi, Università Milano-Bicocca e Università Statale di Milano.

  31. Walter Moladi, studioso temi climatici e energia. Torino

  32. Vitalia Murgia, medico pediatra, Docente al Master inter-ateneo in Clinical Pharmacy Università Milano, Cagliari e Granada.

  33. Lorenzo Pagliano, fisico, professore Associato di Advanced Building Physics al Politecnico di Milano, Direttore di end-use Efficiency Research Group.

  34. Maria Grazia Petronio, medico di Sanità pubblica. Già direttore UOC Igiene e Sanità Pubblica Az.USL Toscana Centro e membro CT VIA-VAS Ministero Ambiente.

  35. vanes poluzzi - dirigente - ARPA Emilia Romagna, Università di Bologna

  36. Paolo Rognini, docente di Ambiente e Comportamento Umano,  Università di Pisa.

  37. Francesco Romizi, giornalista ambientale

  38. Roberto Romizi, medico di medicina generale, Arezzo.

  39. Tiziana Sampietro, medico, già direttrice centro dislipimie ereditarie, Fondazione Monasterio, Pisa.

  40. Rosa Tavella, medico ospedaliero internista, Lamezia Terme.

  41. Micol Todesco, Direttrice della Sezione di Bologna, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

  42. Mauro Valiani, medico del lavoro, già direttore del Dipartimento di Prevenzione Az.USL di Empoli.

  43. Margherita Venturi, Dipartimento di Chimica "G. Ciamician," Bologna 

  44. Sandra Vernero, medico, cofondatore e past president di Slow Medicine ETS, coordinatore di Choosing Wisely Italy.

  45. Monica Zoppè, biologa all’Istituto di BioFisica CNR, Milano. Esperta di comunicazione scientifica e di rischi legati alle sperimentazioni biologiche


Nota: Le firme di questo appello sono individuali e non implicano il coinvolgimento delle rispettive istituzioni di appartenenza. Se volete firmarlo, inviate una mail a ugo.bardi(aggegginostrano)unifi.it specificando il vostro nome, cognome, qualifica, e istituzione di appartenenza

 


lunedì 27 febbraio 2023

«Gli Usa hanno attaccato il North Stream»





L'intervista di Fabian Schneider a Seymour Hersh, tradotta in Italiano da "Jacobin Italia"

di Fabian Schneider

Il premio Pulitzer Seymour Hersh racconta il suo scoop sulla missione segreta ordinata da Biden per danneggiare il gasdotto che dalla Russia conduce alla Germania e lasciare al freddo l'Europa


Il 26 settembre 2022, nel mar Baltico, il gasdotto North Stream dalla Russia alla Germania è stato in parte distrutto da diverse esplosioni. La scorsa settimana, il pluripremiato giornalista investigativo Seymour Hersh ha pubblicato un articolo, basato su informazioni provenienti da un’unica fonte anonima, nel quale sostiene che ne sono responsabili l’amministrazione Biden e la Cia.

Hersh ha vinto il Premio Pulitzer nel 1970 per il ruolo che ha svolto nel raccontare la storia del massacro di Mỹ Lai, in cui i soldati statunitensi ammazzarono dai trecento ai cinquecento civili disarmati. Ha accettato di parlare con Fabian Schneider delle accuse contenute nel suo ultimo articolo e dell’influenza che la Cia e lo stato di sicurezza nazionale hanno sulla politica estera statunitense.


Per favore, spiegaci le tue scoperte in dettaglio. Cosa è successo esattamente secondo la tua fonte, chi è stato coinvolto e con quali le motivazioni?

Mi sono limitato a spiegare l’ovvio. Era una storia che chiedeva soltanto di essere raccontata. Alla fine di settembre del 2022, otto bombe avrebbero dovuto esplodere; sei sono finite sott’acqua vicino all’isola di Bornholm nel Mar Baltico, nella zona dove l’acqua è piuttosto bassa. Hanno distrutto tre dei quattro principali oleodotti del Nord Stream 1 e 2.

Il Nord Stream 1 fornisce gas combustibile [alla Germania] da molti anni a prezzi molto bassi. E poi entrambi gli oleodotti sono stati fatti saltare in aria: la domanda era perché e chi l’ha fatto. Il 7 febbraio 2022, in vista della guerra in Ucraina, il presidente degli Stati uniti, Joe Biden, in una conferenza stampa alla Casa Bianca con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha sostenuto che poteva fermare il Nord Stream.

La frase esatta di Joe Biden era «Se la Russia invade, non ci sarà più un Nord Stream 2, porremo fine a tutto ciò». E quando un giornalista gli ha chiesto esattamente come intendeva farlo, dato che il progetto era sotto il controllo della Germania, Biden si è limitato a dire: «Prometto che ce la faremo».

La sua sottosegretaria di stato, Victoria Nuland, che è stata profondamente coinvolta in quella che chiamano la Rivoluzione Maidan nel 2014, ha usato un linguaggio simile un paio di settimane prima.

Dici che la decisione di attaccare il gasdotto è stata presa anche prima dal presidente Biden. Esponi la storia dall’inizio, cronologicamente dal dicembre 2021, quando il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha convocato, secondo il tuo pezzo, una riunione della task force appena formata dai capi di stato maggiore congiunti, la Cia, lo Stato e il Dipartimento del tesoro. Scrivi: «Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due oleodotti Nord Stream».

All’inizio, questa task force era stata convocata a dicembre per studiare il problema. Hanno introdotto la Cia e il resto; si stavano incontrando in un ufficio molto segreto. Proprio accanto alla Casa bianca, c’è un edificio chiamato Executive Office Building. È collegato sottoterra attraverso un tunnel. In cima c’è una sede d’incontro per un gruppo segreto, un gruppo esterno di consiglieri chiamato President’s Intelligence Advisory Board. Ne ho parlato solo per far sapere alle persone della Casa Bianca che ne so qualcosa.

L’incontro è stato convocato per studiare il problema: cosa faremo se la Russia entrerà in guerra? Siamo a tre mesi prima, prima del Natale del 2022. Era un gruppo di alto livello; probabilmente aveva un nome diverso, l’ho chiamato «interagency group», non ne conosco il nome formale, se ne ha uno. Erano la Cia e la National Security Agency, che controllano e intercettano le comunicazioni; il Dipartimento di stato e il Dipartimento del tesoro, che finanzia; e probabilmente alcuni altri gruppi coinvolti. Anche i capi di stato maggiore avevano una rappresentanza.

Avevano la missione di fornire raccomandazioni su cosa fare per fermare la Russia, misure reversibili, come più sanzioni e pressioni economiche, o irreversibili, interventi diretti, cose che esplodono, per esempio. Non voglio parlare di un incontro in particolare perché devo proteggere la mia fonte. Non so quante persone c’erano alla riunione, capisci cosa intendo?

Nell’articolo hai scritto che, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della Cia ha riferito all’interagency group di Sullivan e ha detto: «Abbiamo un modo per far saltare in aria gli oleodotti».

Ce l’avevano. C’erano persone lì che conoscevano quella che negli Usa chiamiamo «guerra contro le mine». Nella Marina degli Stati uniti ci sono gruppi che si occupano di sottomarini – c’è anche un comando sull’ingegneria nucleare – e c’è un comando minerario. L’estrazione sotterranea è molto importante e abbiamo minatori qualificati. Probabilmente il posto più importante per l’addestramento dei minatori è in questa piccola località turistica chiamata Panama City nel bel mezzo del nulla in Florida.

Formiamo persone molto brave e le adoperiamo. I minatori sono molto importanti. Ti si apre qualsiasi varco; possono far saltare in aria le cose. Se non ci piacciono gli oleodotti sottomarini di un certo paese, possiamo farli saltare in aria. Non sono sempre cose buone, ma sono molto riservati. Per il gruppo alla Casa bianca era chiaro che avrebbero potuto far saltare i gasdotti. C’è un esplosivo chiamato C-4, che è incredibilmente potente, devastante in particolare con la quantità che usano. Puoi controllarlo e gestirlo a distanza con dispositivi sonar subacquei. Inviano segnali a frequenza molto bassa.

Quindi è stato possibile, e lo hanno detto alla Casa bianca all’inizio di gennaio, perché due o tre settimane dopo, il sottosegretario di Stato Victoria Nuland ha detto che potevamo farlo. Penso che fosse il 20 gennaio. E poi anche il presidente, con Olaf Scholz, ha detto il 7 febbraio che potevamo farlo. Scholz non ha detto nulla di specifico; era vago. Ma una domanda che farei a Scholz, se mi trovassi in un’audizione parlamentare, è questa: il presidente Biden te ne ha parlato? Ti ha detto in quel momento perché era così sicuro di poterlo far saltare in aria? Non avevamo ancora un piano, ma sapevamo di poterlo fare.

Che ruolo ha avuto la Norvegia nell’operazione?

Bene, la Norvegia è una grande nazione di marinai e ha energia fossile. Inoltre, sono molto ansiosi di aumentare la quantità di gas naturale da vendere all’Europa occidentale e alla Germania. E lo hanno fatto, hanno aumentato le loro esportazioni. Quindi, per motivi economici, perché non unirsi agli Stati uniti? Nutrono pure avversione nei confronti della Russia.

Nel tuo articolo, scrivi che i servizi segreti e la marina norvegese erano coinvolti, e dici che la Svezia e la Danimarca sono state informate ma non è stato detto loro tutto.

Il modo in cui mi è stato riportato è: se non glielo abbiamo detto, non avevamo bisogno di farlo. In altre parole, stavi facendo quello che stavi facendo, e loro sapevano cosa stavi facendo e capivano cosa stava succedendo, ma forse nessuno ha mai detto di sì. Ho lavorato molto su questo problema con le persone con cui stavo parlando. La linea di fondo è che, per fare questa missione, i norvegesi hanno dovuto trovare il posto giusto. I sommozzatori che venivano addestrati a Panama City potevano andare a cento metri sott’acqua senza una pesante bombola, solo una miscela di ossigeno, azoto ed elio.

I norvegesi ci hanno trovato un posto al largo dell’isola di Bornholm nel Baltico, profondo solo 260 piedi, in modo che potessero operare. Sarebbero dovuti tornare lentamente. C’era una camera di decompressione e abbiamo usato il cacciatore di sottomarini norvegese. Per i quattro gasdotti sono stati utilizzati solo due sommozzatori.

Un problema era come trattare con coloro che controllano il Mar Baltico. È monitorato molto accuratamente e ci sono molte informazioni disponibili apertamente, quindi ci siamo occupati di questo; c’erano tre o quattro persone che si occupavano di questo. E quello che abbiamo fatto è davvero semplice. Ogni estate da ventuno anni, la nostra Sesta Flotta della marina, che ha il controllo del Mediterraneo e anche del Mar Baltico, ha un’esercitazione per le marine della Nato nel Baltico (Baltops). E porteremmo in giro una portaerei o grandi navi. È una cosa molto esplicita. I russi certamente lo sapevano. Abbiamo fatto pubblicità. E in questa, per la prima volta nella storia, l’operazione Nato nel Mar Baltico ha avuto un nuovo programma. Avrebbe fatto un esercitazione nello sganciare e nel trovare mine per dieci o dodici giorni.

Diverse nazioni hanno inviato squadre di minatori, un gruppo avrebbe abbandonato la miniera e un altro gruppo minerario del loro paese sarebbe andato a caccia e l’avrebbe fatta saltare in aria. Quindi hai avuto un periodo in cui le cose sono esplose, e in quel periodo i norvegesi hanno potuto recuperare i sommozzatori. I due oleodotti corrono a circa un miglio di distanza; sono un po’ sotto terra ma non sono difficili da raggiungere e si erano esercitati in questo. Non ci sono volute più di poche ore per piazzare le bombe.

Questo è accaduto nel giugno 2022?

Sì, l’hanno fatto una decina di giorni a giugno, alla fine dell’esercitazione, ma all’ultimo minuto la Casa Bianca si è innervosita. Il presidente ha detto che aveva paura di farlo. Ha cambiato idea e ha dato loro l’ordine che voleva il diritto di bombardare in qualsiasi momento, di far esplodere le bombe in qualsiasi momento a distanza da noi. Lo fai solo con un normale sonar, costruito da Raytheon. Sorvoli e lasci cadere un cilindro. Invia un segnale a bassa frequenza: sembra il suono di un flauto, puoi creare frequenze diverse. Ma la preoccupazione era che una delle bombe, se lasciata in acqua troppo a lungo, non avrebbe funzionato, e due non lo fecero: avevano solo tre dei quattro gasdotti. Quindi c’era il panico all’interno del gruppo per trovare i mezzi giusti, e in realtà dovevamo rivolgerci ad altre agenzie di intelligence di cui non ho scritto.

E quindi cosa è successo allora? L’hanno posizionato, hanno trovato un modo per controllarlo da remoto…

Joe Biden ha deciso di non farli saltare in aria. Era l’inizio di giugno, cinque mesi dopo l’inizio della guerra, ma poi, a settembre, decise di farlo. Ti dirò qualcosa. Le persone operative, le persone che fanno azioni militari per gli Stati uniti, fanno quello che dice il presidente e inizialmente pensavano che fosse un’arma utile che poteva usare nei negoziati.

Ma a un certo punto, una volta che i russi sono entrati in Ucraina, e poi quando l’operazione è stata portata a termine, è diventata sempre più odiosa per le persone che l’hanno fatta. Sono ben addestrate; sono nel più alto livello delle agenzie di intelligence segrete. Hanno cambiato idea sul progetto. Pensavano che fosse una cosa folle da fare. E nel giro di una settimana, o tre o quattro giorni dopo il bombardamento, dopo aver fatto ciò che era stato loro ordinato, c’era molta rabbia e ostilità. Ciò si riflette ovviamente nel fatto che sto avendo tante informazioni al riguardo.

E ti dirò qualcos’altro. Le persone in America e in Europa che costruiscono oleodotti sanno cos’è successo. Ti sto dicendo una cosa importante. Le persone che possiedono aziende che costruiscono oleodotti conoscono la storia. Non ho avuto la storia da loro, ma ho saputo subito che lo sanno.

Torniamo alla situazione del giugno dello scorso anno. Il presidente Joe Biden ha deciso di non fare la cosa direttamente e l’ha rinviata. Allora perché l’hanno fatto a settembre?

Il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha detto pochi giorni dopo l’esplosione dell’oleodotto, in una conferenza stampa, che a Vladimir Putin è stata tolta una grande forza economica e quasi militare. Ha detto che si trattava di un’enorme opportunità, poiché la Russia non poteva più armare gli oleodotti, il che significa che non era in grado di costringere l’Europa occidentale a non sostenere gli Stati uniti nella guerra. Il timore era che l’Europa occidentale non avrebbe più partecipato alla guerra. Penso che il motivo per cui decisero di farlo allora fosse che la guerra non stava andando bene per l’Occidente, e avevano paura dell’arrivo dell’inverno. Il Nord Stream 2 era stato sanzionato dalla Germania e gli Stati uniti temevano che la Germania avrebbe revocato le sanzioni a causa di un inverno difficile.

Secondo te, guardando il retroscena, quali sono state le motivazioni? Il governo degli Stati uniti si è opposto al gasdotto per molte ragioni. Alcuni dicono che erano contrari perché volevano indebolire la Russia, indebolire i legami tra la Russia e l’Europa occidentale, la Germania in particolare. Ma forse anche per indebolire l’economia tedesca, che, dopotutto, è una concorrente dell’economia Usa. Con gli alti prezzi del gas, le imprese hanno iniziato a trasferirsi negli Stati uniti. Allora, qual è la tua idea delle motivazioni del governo degli Stati uniti, se hanno fatto saltare in aria il gasdotto?

Non credo che ci abbiano pensato. So che suona strano. Non credo che Blinken e alcuni altri nell’amministrazione siano pensatori profondi. Certamente ci sono persone nell’economia americana attratti dall’idea che siamo più competitivi. Vendiamo Gnl, gas liquefatto, con profitti estremamente elevati; ci stiamo facendo un sacco di soldi. Sono sicuro che alcune persone pensavano che questa sarebbe stata una spinta a lungo termine per l’economia americana.

Ma in quella Casa Bianca, penso che l’ossessione fosse sempre la rielezione, e volevano vincere la guerra, volevano ottenere una vittoria, volevano che l’Ucraina in qualche modo vincesse magicamente.

Potrebbero esserci alcune persone che pensano che forse sarebbe meglio per la nostra economia se l’economia tedesca fosse debole, ma questo è un pensiero folle. Penso, fondamentalmente, che abbiano affondato il colpo su qualcosa che non funzionerà. La guerra non andrà a buon fine per questo governo.

Come pensi possa finire questa guerra?

Non importa quello che penso. Quello che so è che non è possibile che questa guerra finisca come vogliamo, e non so cosa faremo andando avanti. Mi spaventerebbe se il presidente fosse disposto a farlo.

Le persone che hanno fatto questa missione credevano che il presidente si rendesse conto di ciò che stava facendo al popolo tedesco, che lo stava punendo per una guerra che non stava andando bene. A lungo termine, ciò sarà molto dannoso non solo per la sua reputazione di presidente, ma anche politicamente. Sarà uno stigma per gli Usa.

La Casa bianca che pensava di avere una carta perdente: la Germania e l’Europa occidentale potrebbero smettere di fornire le armi che vogliamo e il cancelliere tedesco potrebbe riattivare il gasdotto, questa è sempre stata la paura. Farei molte domande al Cancelliere Scholz. Gli chiederei cosa ha imparato a febbraio quando era con il presidente. L’operazione era un grande segreto e il presidente non avrebbe dovuto parlare a nessuno di questa possibilità. Ma lui parla. Dice cose che non vuole.

La tua storia è stata riportata dai media occidentali con una certa moderazione e critica. Alcuni hanno attaccato la tua reputazione o hanno detto che hai solo una fonte anonima, e questa non è affidabile.

Come potrei parlare di una fonte? Ho scritto molte storie basate su fonti anonime. Se facessi il nome di qualcuno, verrebbero licenziati o, peggio, incarcerati. La legge è molto severa. Non ho mai esposto nessuno, e ovviamente quando scrivo dico, come ho fatto qui: è una fonte, punto. E negli anni le storie che ho scritto sono sempre state accettate. Ho usato per questo articolo lo stesso calibro di abili fact-checker che avevano lavorato con me al New Yorker. Naturalmente, ci sono molti modi per verificare le informazioni riservate che ho ricevuto.

E, sai, un attacco personale contro di me non arriva al punto. Il punto è che Biden ha scelto di lasciare la Germania al freddo quest’inverno. Il presidente degli Stati uniti preferirebbe vedere la Germania al freddo [a causa della carenza di energia] piuttosto che la Germania che forse non sostiene la guerra in Ucraina, e questa, per me, sarà una cosa devastante per questa Casa Bianca. Per me, e penso anche per le persone che hanno svolto la missione, è spaventoso.

Il punto è anche che può essere percepito come un atto di guerra non solo contro la Russia ma anche contro gli alleati occidentali, in particolare la Germania.

Restiamo alle cose semplici. Posso dirvi che le persone coinvolte nell’operazione hanno visto il presidente scegliere di lasciare al freddo la Germania per i suoi obiettivi politici a breve termine, e questo li ha inorriditi. Sto parlando di statunitensi che sono intensamente fedeli agli Stati uniti. Nella Cia, come ho scritto nel mio articolo, lavorano per la Corona, non lavorano per la Costituzione.

L’unica virtù della Cia è che un presidente, che non riesce a far passare la sua agenda al Congresso e nessuno lo ascolta, può fare una passeggiata nel cortile sul retro del Rose Garden della Casa Bianca con il direttore della Cia e qualcuno può farsi male a ottomila miglia di distanza. Questo è sempre stato il punto di forza della Cia, che mi crea problemi. Ma anche quella comunità è sconvolta dal fatto che abbia scelto di lasciare al freddo l’Europa a sostegno di una guerra che non vincerà. E questo, per me, è atroce.

Nel tuo articolo hai scritto che la pianificazione dell’attacco non è stata riferita al Congresso, come è necessario con altre operazioni segrete.


Inoltre, non è stato segnalato a molti livelli nell’esercito. C’erano altre persone in altre istituzioni che avrebbero dovuto sapere ma non sono state informate. L’operazione era molto segreta.

Ci sono state alcune critiche al tuo articolo da parte di persone impegnate nella valutazione dell’intelligence open source (Osint) su navi e aeroplani nella regione del Mar Baltico, affermano che nessun aereo norvegese è stato rilevato direttamente nel punto delle esplosioni il 26 settembre o giorni prima.

Qualsiasi operazione segreta seria prende in considerazione Osint e aggira il problema. Come ho detto, c’erano persone in missione che si occupavano di questo problema.

Che ruolo ha il coraggio nella tua professione?


Cosa c’è di coraggioso nel dire la verità? Il nostro compito non è avere paura. A volte diventa brutto. Ci sono stati momenti nella mia vita in cui… sai, non ne parlo. Le minacce non vengono fatte a persone come me; sono fatte ai figli di persone come me. Ci sono state cose orribili. Ma non ti preoccupi, non puoi. Devi soltanto fare quello che fai.

*Seymour Hersh è un giornalista investigativo americano vincitore del Premio Pulitzer. Fabian Scheidler è un giornalista berlinese, ha scritto The End of the Megamachine: A Brief History of a Failing Civilization (Zerobooks, 2020). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

mercoledì 4 gennaio 2023

2023: Quando è che finiamo il gas?

 



Da "Il Fatto Quotidiano"

di Ugo Bardi


In Francia è uscito qualche giorno fa un rapporto interessantissimo dello “Shift Project” sull’approvvigionamento di gas naturale in Europa (lo trovate a questo link, al momento disponibile solo in francese). In Italia, mi sa che nessuno abbia gran voglia di accorgersene, ma ignorare certe notizie è una cosa che facciamo a nostro rischio e pericolo. Lo “Shift Project” è un think tank francese ben noto e rispettato che lavora da anni in campo energetico. Il loro rapporto è molto dettagliato perché ci da un quadro della situazione ben più approfondito e utile di quello che ci arriva da quelli che ci raccontano che il problema si risolve con una nuova ricetta per cucinare gli spaghetti.

Allora, come siamo messi? Decisamente non bene e la situazione potrebbe farsi drammatica in un futuro non lontano. Il rapporto richiede una lettura attenta, ma la sostanza la trovate nell’introduzione dove dice che “L’Unione Europea (Ue) rischia di essere esposta a una severa competizione di approvvigionamenti fra paesi importatori di gas naturale, ovvero a dei deficit cronici sul mercato mondiale di Gas Naturale Liquefatto (gnl) a corto, medio, e lungo termine”. Dice anche che: “La situazione del mercato mondiale del gas naturale liquido (gnl) sarà molto precaria entro il 2025, con un possibile evidente disallineamento tra l’offerta disponibile e la domanda prevista oggi. Nell’eventualità di un arresto prolungato delle forniture russe all’Ue, la domanda globale di gnl potrebbe portare a carenze di approvvigionamento endemiche e gravi”. In altre parole, rischiamo di finire al buio a breve.

E l’Italia? Trovate nel rapporto una sezione specificamente dedicata al nostro paese a pagina 55. In sostanza, anche per noi la situazione è delicata, per non dire di peggio. Anche ammesso che riusciamo a mettere in campo i nuovi impianti di rigassificazione in tempi brevi, siamo comunque di fronte a un deficit di forniture. E, notate, che i consumi di gas in Italia NON sono diminuiti nel 2022, nonostante i vari provvedimenti del governo Draghi.

Guardando i dati dello Shift Project, il deficit italiano di gas può non sembrare molto grande. Ma non è una questione che si risolve mettendosi al tavolino con un pallottoliere e sommando il gas che in teoria ci potrebbe arrivare da questa o quell’altra sorgente. Il problema è che, avendo rimosso il gas russo dal mercato (o pianificando di rimuoverlo), entriamo in competizione diretta con gli altri paesi consumatori di gas sul mercato mondiale. Il che vuol dire che, se lo vogliamo, lo dovremo pagare caro, probabilmente più di quanto ci possiamo permettere. Questo in aggiunta al fatto che il gas naturale liquido ha costi di trasporto e gestione che lo rendono comunque più caro di quello portato via gasdotto. I costi del gas si riflettono poi sui costi dell’energia elettrica e il tutto rende l’industria italiana meno competitiva sul mercato mondiale. Il risultato? Recessione, come minimo. Ancora non abbiamo capito esattamente cosa sta succedendo, ma i nodi potrebbero arrivare al pettine già la prossima primavera. E le cose non miglioreranno negli anni a seguire.

Come ci siamo messi in questo pasticcio? Beh, è una lunga storia che non è certamente cominciata con il conflitto in Ucraina. In sostanza, abbiamo traccheggiato con il discorso che il gas naturale doveva essere un “combustibile ponte” che ci aiutava a ridurre le emissioni di gas serra. Ma non è vero: il gas naturale ha “emissioni fuggitive” che lo rendono forse anche più dannoso del carbone in termini di effetto serra. Questo ve lo dicono quelli dello Shift Project, ma se volete uno studio dettagliato su questo argomento, lo potete trovare a questo link che vi porta al gruppo tedesco “Energy Watch”. Avremmo dovuto investire di più e molto prima sulle rinnovabili, ma non l’abbiamo fatto.

Cosa possiamo fare, allora? A breve scadenza, fare tutto il possibile per far finire la guerra in Ucraina e ripristinare le forniture di gas dalla Russia. Se non facciamo così, non ne usciamo fuori. A media e lunga scadenza, dobbiamo potenziare il più possibile le rinnovabili, come minimo eliminando la burocrazia che le frena. Dai dati dello Shift Project si vede chiaramente che quasi tutti i produttori mondiali di gas sono in difficoltà a mantenere la produzione attuale, e molti sono già in declino – succede lo stesso anche con il petrolio. Dovremo abituarci a un mondo in cui i combustibili fossili saranno sia rari che cari. E prima ce ne rendiamo conto, meglio sarà.

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Roma, 4 Gennaio 2023

BOLLETTE IMPAZZITE - COSA C'E' DIETRO LE NUOVE IMPENNATE TRA FEBBRAIO E MARZO

Febbraio e marzo saranno mesi decisivi per i prezzi energetici. Nuove impennate possono mettere in forte crisi soprattutto le imprese

Come ci spiega Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia, infatti, «negli ultimi mesi il costo industriale dei carburanti si è ridotto per via di una diminuzione delle quotazioni del greggio, ma ci sono elementi che fanno pensare che ci sarà un’inversione di tendenza».

Per parlare di emergenza finita bisognerebbe avere una stabilità del prezzo, con oscillazioni contenute in un range di 5-10 punti percentuali, per un periodo di almeno tre mesi.

Il Gas non solo rischiamo di perderlo a favore di altri Paesi europei, ma renderemmo evidente al mercato un gap infrastrutturale che porterà l’Italia a nuove difficoltà di approvvigionamento.

E per il riempimento degli stoccaggi la questione chiave è reperire il prodotto. Il fatto è che nei prossimi mesi non ci sarà maggior quantità di gas disponibile. Anzi, con quello che sta succedendo con il Qatargate potrebbe essercene di meno

Diciamolo chiaramente, il mercato è ben lontano dal temere il price cap sul gas.

Leggi l'intervista: https://www.ilsussidiario.net/news/gas-petrolio-cosa-ce-dietro-le-nuove-impennate-tra-febbraio-e-marzo/2466191/

 

 

 

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