lunedì 7 settembre 2015

La gestione della cacca urbana

Dafromfilmerstofarmers”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)


Un impianto di trattamento fognario ad Amburgo, in Germania: la cacca non è mai stata così bella (foto: Mark Michaelis)

I saggi del dottor Merdaiolo ("pooper" in originale), numero 3:

Proprio la settimana scorsa la Città di Toronto è stata informata dal Ministro dell'Ambiente che ora deve avvertire la popolazione ogni qualvolta gli impianti di trattamento delle acque vengono bypassati e gli scarichi vengono mandati nel lago Ontario. Si dice che queste evenienze siano dovute alle forti piogge che chiedono il loro pedaggio sul “vecchio sistema fognario” di Toronto, una cosa che si dice che avvenga circa 3 volte al mese, per tutto l'anno. Secondo Mark Mattson, direttore della onlus Lake Ontario Waterkeeper, le strade e i porti di Toronto sono state inondate da più di un miliardo di litri di liquami nel luglio 2013, quando sono caduti più di 90 mm di pioggia sulla città in sole due ore. Ciò, tuttavia, non sembra essere un'avvenimento straordinario, visto che lo stato di New York quest'estate ha analogamente promulgato leggi che richiedono di avvertire la popolazione entro quattro ore degli scarichi inviati nei loro bacini. “Penso che ci sia una vera richiesta di questa informazione”, ha detto Mattson, un punto difficile da confutare visto che “diportisti, canoisti ed escursionisti su molti fiumi e sentieri” menzionati da Mattson probabilmente non vogliono imbattersi in un'invasione di roba marrone galleggiante nelle loro passeggiate del sabato pomeriggio.

Ma la cosa che Mattson sbaglia, penso, è la sua valutazione del problema. Come dice lui, “le persone non si rendono conto che a Toronto abbiamo queste tubazioni di 70 anni basate su una concezione del tutto antiquata di come funziona la città”. E come spiega ulteriormente l'articolo del Toronto Star, “le fognature attuali sono state costruite con in mente richieste diverse e... l'infrastruttura vecchia non riesce a tenere il passo”. In altre parole, Mattson (e forse anche il Toronto Star) non afferrano come “funzionano” le città, né si rendono conto cosa c'è al centro delle richieste delle “attuali fognature”.


La civiltà industriale potrebbe presto cagare mattoni?

Prima di tutto, la grande espansione delle città, esemplificata da Londra all'inizio del 1800 in seguito alla privatizzazione dei beni comuni, è stata invariabilmente resa possibile da copiosi input per alimentare e fornire le masse, input distribuiti attraverso il trasporto ferroviari alimentato dal carbone. Tuttavia, l'enorme quantità di acque reflue umane create da popolazioni aumentate in modo massiccio, doveva essere affrontata in qualche modo e il solo modo per farlo è stato creando dei sistemi fognari – sistemi fognari che a quei tempi richiedevano milioni di mattoni per la loro costruzione. E creare quei mattoni richiedeva una conseguente enorme quantità di calore per cuocerli. Prossimi alla distruzione delle foreste inglesi, ciò non sarebbe mai stato possibile se non per il recente accesso alla fornitura del combustibile fossile carbone. In altre parole, i combustibili fossili sono necessari per creare le condutture fisiche dei sistemi fognari (i mattoni ed ora il cemento e i tubi metallici), senza contare tutta l'energia necessaria per interrare (e fare manutenzione a) quei sistemi, così come a far funzionare gli impianti di trattamento centralizzati. (Prima degli impianti di trattamento a combustibili fossili, ed in alcuni casi fino ai giorni nostri, gli scarichi venivano semplicemente mandati negli oceani ed in altri grandi bacini d'acqua). Ma ecco il punto debole: supponendo che la Città di Toronto (o qualsiasi altra città) abbia i centinaia di milioni, se non miliardi, di dollari per rimodernare la sua vecchia infrastruttura fognaria, non è possibile che che avrà le risorse per rifarlo dopo 70 anni, più o meno, quando la sua infrastruttura sarà di nuovo vecchia. Perché questo?


Pale eoliche e pannelli solari non saranno in grado di alimentare questo (foto: Washington State Dept of Transportation)

Il mondo ora è all'apice del picco del petrolio, il che significa che in 70 anni più o meno sarà molto probabilmente impossibile fare un rifacimento di un ampio sistema fognario di una città. Avremo superato da tempo il picco di Hubbert e semplicemente non ci sarà l'energia necessaria ad alimentare i macchinari per svolgere tutto il lavoro pesante né per fare manutenzione a tutto. Solo come esempio, nel 2008 è stata scoperta una crepa nei tunnel delle fogne di Toronto, un problema che potrebbe aver prevedibilmente comportato la fuoriuscita delle acque reflue di 750.000 abitanti di Toronto nel vicino fiume Don. Anche se sono seguiti tre anni di ritardi, le riparazioni alla fine sono state completate e rimanendo al di sotto dei 40 di dollari di budget. Ciononostante, visto che tali avvenimenti sono destinati a verificarsi in futuro, vale la pena chiedersi quanto a lungo tali riparazioni saranno energeticamente sostenibili. Questo quindi pone la domanda: se l'infrastruttura sottostante alle più grandi città metropolitane dell'industrialismo (così come le sue città più piccole) è basata su un sistema che necessita di copiose quantità di combustibili fossili, come si gestirà quando il sussidio dell'energia comincia a contrarsi? In altre parole, dimenticatevi tutta la bella storia del cibo locale per un momento e considerate questo: visto che la città moderna ed il suo popolino compresso come le sardine (che produce quantità oscene di acque reflue umane in concentrazioni storicamente mai viste) è dipendente da dee di porcellana alimentate da combustibili fossili per sciacquare via le sue acque reflue (con acqua potabile!), le nostre megalopoli (ed anche le città piccole) come affrontano tutte quelle acque reflue se la super struttura diventa sempre meno funzionale? Tenendo in considerazione le forniture di energia, dovrebbe essere subito evidente che le preoccupazioni miopi riguarda a roba che galleggia il sabato pomeriggio è il modo sbagliato di vedere le cose. Ma mentre la situazione a Toronto evidenzia un particolare aspetto del problema sistemico che abbiamo di fronte, abbastanza stranamente, Toronto ci fornisce anche un suggerimento verso la direzione che dovremmo prendere . Sfortunatamente solo un suggerimento.


Cob in the Park (foto: A Great Capture) 

Appena in fondo alla strada dove abitavo, al Dufferin Grove Park, è stato messo insieme un progetto di comunità chiamato Cob in the Park. Si tratta di una bella struttura di argilla e paglia con anche una compost toilet per i bambini che giocano nel vicino parco giochi e piscina per bambini. Quindi un giorno ho fatto una passeggiata per vedere il gabinetto. Ma dopo un'infinita ed infruttuosa ricerca ho poi scoperto che anche se il progetto aveva il sostegno pieno del locale assessore, l'aspetto della compost toilet è stato bocciato grazie ad una piccola minoranza di residenti vicini che hanno asserito che il gabinetto non sarebbe stato (probabilmente) mantenuto in modo appropriato e quindi avrebbe posto un pericolo sanitario. Di conseguenza, un'eccellente opportunità per gli abitanti di Toronto di imparare qualcosa sui cicli dei loro stessi scarichi è andata perduta.

Ma visto che adesso possiamo subito vedere che un approccio industriale nell'affrontare i nostri scarichi non può essere mantenuto all'infinito, dovrebbe essere ovvio che il problema non riguarda argomenti fittizi riguardo alle compost toilet che (probabilmente) non verranno mantenute, ma che il vero problema è che il sistema industriale dello status quo non può essere mantenuto. In altre parole al posto di rinviare bottoni, leve e altri progressi ingegneristici (”progresso”), dovremo letteralmente imparare come gestire la nostra cacca e dovranno essere ideati dei metodi per riportare i nutrienti contenuti in quella cacca alla terra.

Per aiutarci a fare la transizione, dovrebbe esserci utile prendere nota di come siamo arrivati qui, per prima cosa. Le ragioni dietro a ciò sono naturalmente ampie e variegate, forse a cominciare dal nostro uso dei combustibili fossili che ha reso possibile l'approccio su larga scala agli scarichi umani, per prima cosa. Mettete insieme questo coi burocrati e gli ingegneri che spesso hanno un'inclinazione ad applicare approcci tecnici ad ogni problema (e persino ai non-problemi!) ed ottenete il sistema centralizzato che abbiamo attualmente, un vero e proprio casino che aspetta di succedere (ed ora succede!).

Isolare i burocrati e gli ingegneri è però un po' ingiusto, visto che c'è anche un diffuso perbenismo vittoriano fra la popolazione: le cose più importanti vengono sorvolate continuamente da sofisticazioni che importano solo a sé stesse e cose del genere, mentre ciò che sta dalla parte opposta viene rapidamente portata via tirando una leva, lontano dagli occhi e lontano dal cuore.
Per vedere tutto questo all'opera bisogna solo guardare lo strumento che ci ha molto aiutati ad giungere dove siamo oggi, che è il nostro linguaggio. Come già detto, esiste una giusta quantità di consapevolezza sulla necessità di proteggere i nostri bacini idrici e, fra buone forchette e simili, una preoccupazione (che sia o meno superficiale) circa le nostre aree agricole. Tuttavia, la triade non è completa e il nostro linguaggio manca così della necessaria struttura per comprendere pienamente il problema. Questa necessità di affrontare finalmente i nostri scarichi in un modo ecologicamente sensibile implora quindi un suggerimento.

La prossima volta che vi trovate ad una cena o a un cocktail e la conversazione diventa piuttosto arida, non abbiate paura di rivolgervi al vostro vicino e con estrema gioia, chiedete con eccitazione, “Allora, le piacerebbe che le raccontassi del mio deposito di cacca!?”