venerdì 28 agosto 2015

La resa energetica ('EROEI') della guerra

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

Data la situazione di decrescita energetica alla quale ci vediamo inevitabilmente condannati come società, un aspetto antipatico, anche se necessario, da analizzare è quello del rendimento, non tanto economico quanto energetico, della guerra. Poiché di sicuro la guerra è un modo di ottenere risorse e in particolare risorse energetiche, che sono quelle che in ultima istanza muovono tutta l'economia. Inoltre, è importante analizzare ciò che rappresenta la guerra da questo punto di vista, perché senza un cambiamento di rotta deciso dalla politica internazionale (poco probabile in questo momento), il futuro ci riserva una serie di guerre che si andranno concatenando senza soluzione di continuità e senza che i nostri esperti più avvezzi comprendano quale sia il filo conduttore di tutte (proprio il contrario: in questo momento c'è un'autentica offensiva mediatica per negare che il picco del petrolio si stia approssimando, proprio quest'anno che sembra che si verificherà il picco del petrolio in volume – in energia è stato nel 2010.

Di fronte alla moltitudine di conflitti armati che sorgeranno dal collasso dei paesi produttori (oggi l'Egitto, Libia, Siria o Yemen, domani Nigeria, Venezuela e Algeria) e dando per scontato il travisamento mediatico che ci sarà su tutte queste guerre fino a che l'esplosione di qualche produttore (per esempio rivolte in Arabia Saudita nel prossimo decennio) ponga gli orgogliosi paesi occidentali in ginocchio, credo che sia importante analizzare cosa significano le guerre come strumento per garantire che le risorse continuino ad arrivare alle nazioni più ricche e, in ultima istanza, analizzare il loro EROEI, inteso in questo contesto come il guadagno di energia che ottiene un paese che entra in guerra in confronto all'energia che consuma nel fare la guerra stessa. Il fatto è che, analogamente a quello che succede con le fonti di energia, ci sono certi modi di fare la guerra, i più semplici, che hanno EROEI alti, mentre in scenari geopolitici più maturi l'EROEI delle guerre è sempre più basso fino a giungere al punto in cui la guerra non è una sorgente ma un pozzo di risorse.

Dal punto di vista etico, parlare del rendimento o beneficio della guerra sembra di un cinismo insopportabile, poiché innanzitutto la guerra è morte, feriti, distruzione, epidemie, fame, famiglie distrutte, illusioni perdute, caos, perdita di civiltà... Non c'è niente di eroico nella guerra per quanto la propaganda la glorifichi e pensare alla guerra in termini del proprio beneficio è deplorevole. Tuttavia, le guerre si fanno sempre per guadagnare qualcosa e la maggior parte delle volte (se non tutte) il beneficio preteso è abbastanza tangibile e materiale, persino prosaico. D'altra parte, discutere del beneficio materiale della guerra può essere utile se si può dimostrare che tale beneficio materiale non si realizzerà, perché non è raggiungibile o perché semplicemente non esiste. Di fatto, nella misura in cui la nostra civiltà va consumando il suo prevedibile transito di decrescita energetica, le guerre successive saranno sempre meno interessanti dal punto di vista del beneficio. Addirittura, passato un certo punto (quello dei ritorni decrescenti), andare in guerra accelererà il nostro cammino verso il collasso, anziché ritardarlo. La Storia mostra e dimostra, tuttavia, che riconoscere che ci si trova in un punto di ritorno negativo (in qualsiasi attività, non solo nella guerra) è molto difficile e generalmente si continua a fare la stessa cosa che si è sempre fatta, “abbiamo sempre fatto questo”, per inerzia, finché quella stessa inerzia è quella che accelera la nostra caduta. Quanti imperi aggressivamente espansionisti hanno collassato nella Storia ancora più rapidamente di quanto si siano espansi, proprio perché le nuove guerre finivano per porre un carico maggiore dei benefici che apportavano? Il fenomeno si ripete in continuazione nella Storia, dai Maya fino agli Unni, da Alessandro magno ad Annibale, dall'Impero Romano all'Impero ottomano, dall'Impero Austro-Ungarico al Terzo Reich. Comprendere e spiegare come mai la guerra sia materialmente onerosa può essere utile per far riflettere coloro che non vengono toccati dagli argomenti etici, ma che sono sensibili alle variazioni del loro portafoglio.

Distinguerò tre tipi di guerra, a seconda del loro rendimento energetico: le guerre di saccheggio, quelle di dominio e quelle egemoniche. Non è una classificazione molto esaustiva e probabilmente non l'unica possibile, ma personalmente mi quadra abbastanza con le grandi linee delle guerre.

Guerre di saccheggio: E' il tipo più semplice e di base di azione bellica, quello che ha l'EROEI più elevato. L'attaccante assalta un determinato territorio con l'intenzione più o meno dichiarata di prendere tutto ciò che può. Non si tratta di tenere una posizione, ma di prendersi il bottino e scappare di corsa. Questo tipo di conflitti di solito hanno dimensioni limitate, non essendo tipici di stati-nazione ma di bande mercenarie, pirati e simili. Esempi storici di questo tipo di guerra sarebbero su piccola scala, quelle intraprese dai Vichinghi su tutta la costa del nord Europa o quella dei pirati nei sette mari, ma grandi nazioni lo hanno tenuto come forma di finanziamento. Per esempio, la Spagna del XVI e XVII secolo finanziava le proprie armate, praticamente mercenari, col saccheggio delle popolazioni conquistate (in certe parti d'Europa sono ben ricordati alcuni “saccheggi” storici).

Il costo di questo tipo di guerra è molto limitato: un uomo, un'arma e un sacco in cui mettere tutto ciò che si può saccheggiare. Al contrario, il rendimento è molto elevato, soprattutto in regioni dove da tempo non si verificava un saccheggio. Possiamo fare una stima del rendimento del saccheggio in funzione della sua frequenza: più tempo passa fra un saccheggio e l'altro, maggiore è il rendimento del saccheggio precedente. L'EROEI è sicuramente alto, anche se la quantità totale di energia ottenuta è relativamente piccola (pertanto soddisfa una popolazione piccola di saccheggiatori). Le popolazioni di saccheggiatori non possono crescere in modo illimitato, visto che ci sono vari fattori che ne limitano l'espansione: la disponibilità di obbiettivi sufficientemente ricchi da garantire la sopravvivenza del gruppo come tale fino al saccheggio seguente, la necessità di lasciar passare un certo tempo prima di tornare a saccheggiare lo stesso luogo perché si possano riparare i danni e si troni a generare una ricchezza sufficiente che valga la pena di saccheggiare, la difficoltà crescente a saccheggiare se la presenza dei saccheggiatori è molto nota, visto che le città rafforzano le proprie difese, ecc. Le popolazioni saccheggiatrici si uniscono e si possono abbordare obbiettivi più pericolosi ma di maggior ricompensa. Se le circostanze peggiorano, il gruppo saccheggiatore può essere decimato ma la parte che sopravvive potrà sussistere saccheggiando popolazioni più piccola e indifese. Essenzialmente, i gruppi saccheggiatori svolgono il ruolo di predatori nei modelli predatore-preda, con popolazioni molto minori di quelle delle prede e governati dalla dinamica di queste ultime, comprendendo la lotta fra predatori come meccanismo di adattamento della propria popolazione se le prede cominciano a scarseggiare.

Questo modello di guerra ha una certa somiglianza con le società dei cacciatori-raccoglitori (con la differenza che questa non si dedicavano all'uccisione di nessuno), visto che si specializzano nel prendere le risorse dall'ambiente senza alterarlo, lasciandolo evolvere liberamente. Ma, al contrario dei cacciatori-raccoglitori, è molto difficile che i saccheggiatori raggiungano un equilibrio col proprio ecosistema e la cosa più probabile è che alla fine i saccheggiati si organizzino e finiscano per distruggerli, inseguendoli fino alle loro case se necessario.

Guerre di conquista: Questo tipo di guerra è quello preferito dagli stati-nazione. L'obbiettivo della guerra di conquista è mantenere il controllo permanente di un territorio e quindi delle sue risorse. Non basta, quindi, entrare in un territorio, bisogna occuparlo. Pertanto questo implica dispiegare un contingente militare ben addestrato e mantenerlo a tempo indeterminato su un territorio per garantire il flusso di risorse. Anticamente, gli Stati occupanti rimanevano fisicamente al comando dei paesi occupati. Oggigiorno, approfittando del fatto che tutto il mondo è organizzato in Stati-nazione, gli Stati occupanti collocano un'amministrazione locale favorevole ai propri interessi e si rivolgono allo stesso esercito locale come garante della pace e dell'ordine in favore dei suoi interessi. L'unica cosa che l'occupante mette in campo, a lungo termine, sono le imprese dedite all'estrazione delle risorse della nazione soggiogata. Grazie a questo sotterfugio di esternalizzare l'occupazione con “subappaltatori locali” si è riusciti a diminuire di molto i costi di questo tipo di guerra, che in passato era molto onerosa (in passato più di un impero ha ceduto a causa degli alti costi di una sola campagna militare fallita). Per questo motivo, le guerre di occupazione del passato avevano un EROEI molto basso e si occupavano soltanto paesi ricchi di risorse deisderate (un buon esempio di ciò è stata la spartizione dell'Africa alla Conferenza di Berlino del 1884). L'attuale sistema di esternalizzazione ha ridotto i costi per i paesi occupanti a quelli della prima campagna destinata ad annichilire la resistenza locale ed instaurare il governo amico, il che è molto più economico che incorrere in costi continui per anni, compreso quello di una opinione pubblica che di solito finisce per essere contraria, soprattutto quando si organizza una resistenza nel paese occupato che comporta vittime umane per l'occupante che si accumulano (e senza contare gli arruolamenti forzati).

L'esternalizzazione ha funzionato molto bene per tutto il XX secolo, permettendo di dissimulare il motivo della nostra ricchezza. Quando diciamo che l'EROEI del petrolio è di 20, di solito non teniamo conto del fatto che l'alto valore energetico per noi è il frutto del fatto che in origine è sicuramente maggiore (30 o più), ma che lì non si estrae ma viene importato ad un prezzo monetario che non corrisponde al guadagno energetico che ci porta. Tuttavia, col crollo naturale, per ragioni fisiche e geologiche, dell'EROEI dei giacimenti di materie prime energetiche, le aziende occidentali si ritrovano in una situazione compromessa: per mantenere l'alto rendimento energetico delle sue fonti per l'occidente devono ridurre il beneficio netto per la popolazione locale. Nascono così abusi ambientali e di diritti come quelli del delta del Niger o delle sabbie bituminose del Canada, arrivando persino a guerre con alcuni produttori importanti per garantire che il flusso di petrolio a buon mercato continui ad arrivare. Il problema è che la guerra è un metodo pessimo per combattere con la geologia. Un esempio paradigmatico lo troviamo in Libia. Pensate a come si è evoluta la produzione di petrolio in quel paese negli ultimi anni:




Si possono dare molte interpretazioni a quello che è successo in Libia, ma il grafico sopra ci mostra alcuni dati curiosi. Per esempio, che apparentemente è arrivata al proprio picco del petrolio nel gennaio del 2009 e che negli anni successivi, nonostante i prezzi del petrolio alti e i suoi sforzi, la Libia non è riuscita a recuperare i quasi 1,8 milioni di barili al giorno di allora. Nel gennaio 2011 comincia l'offensiva che praticamente ferma la produzione del paese e, una volta “liberato”, si riprendono livelli leggermente inferiori a quelli del 2011 per poco più di un anno, per poi crollare e vivere di continui alti e bassi. La situazione della Libia è talmente instabile che le diverse fazioni lottano fra loro, deteriorando il flusso della sua principale fonte di introiti e, senza un esercito occupante potente che imponga la propria legge, la situazione non si stabilizzerà. Ma i paesi occidentali si sono specializzati in eserciti di azione rapida e fulminante, che causano un grande danno iniziale con poco rischio per le proprie truppe, e non in occupazioni a lungo termine. Per questo le occupazioni a lungo termine, come quella dell'Afghanistan, sono tanto disastrose, perché hanno bisogno di un approccio militare diverso che implica un costo più alto che, semplicemente, non si vuole e non si può pagare. Pertanto, l'EROEI delle moderne guerre di conquista sta diminuendo in perfetto parallelo con l'EROEI delle fonti energetiche che si vogliono controllare. Per questa ragione, imbarcarsi in guerre in paesi che hanno già superato il loro picco del petrolio non è solo eticamente disprezzabile, è anche economicamente ed energeticamente rovinoso. Per questo invadere l'Iran non è solo un errore perché è un paese densamente popolato, con un'orografia che rende difficile le azioni militari sul terreno e una popolazione ed un esercito fortemente consapevoli, è che il premio per ciò per cui si lotta è un petrolio di qualità sempre peggiore, più pesante, di minore EROEI e, soprattutto, la produzione di petrolio dell'Iran è in declino.




Si potrebbero applicare ragionamenti simili, per esempio, al Venezuela e ad altri paesi che a loro volta sono nel mirino di alcune grandi potenze.

Le guerre di conquista hanno alcune analogie con le società agricole: si vuol ottenere il controllo permanente di una risorsa, anche modificando l'ambiente per migliorarne il rendimento. Il problema delle guerre di conquista attuali è che le risorse desiderate non sono rinnovabili, pertanto il rendimento è obbligato a cadere, fino a rendere questo tipo di guerra un pozzo, anziché una sorgente, di risorse.

Guerre per l'egemonia: questo tipo di guerra è quello proprio di un impero o, con una terminologia più moderna, di una superpotenza. L'obbiettivo della guerra per l'egemonia è mantenere lo status quo della metropoli. Queste guerre non hanno generalmente l'obbiettivo di ottenere il controllo di una risorsa, ma di mantenere un controllo che si ha già e a volte non si fa neanche contro il paese che ha le risorse, ma contro uno dei paesi satellite, a loro volta controllati, che danno sostegno logistico alle operazioni. Questo tipo di guerra è sempre un pozzo di risorse. Esempi di questo è il tipo di guerra che ha vissuto l'Afghanistan, sia con l'Unione Sovietica prima sia con gli Stati Uniti poi. Anche qui la tendenza è all'esternalizzazione: sono le guerre in prestito o guerre proxy, guerre fatte da manovalanza appoggiata dalle superpotenze che si disputano l'egemonia sul territorio. Un esempio di questo tipo è la guerra civile che sta avvenendo in Ucraina, col controllo del flusso di gas naturale russo all'Europa sullo sfondo.

Le guerre per l'egemonia, come abbiamo detto, hanno per definizione un EROEI minore di 1 (cioè, che si guadagna meno di quello che si consuma), quando non direttamente uguale a 0 (non si guadagna niente), perché l'obbiettivo molte volte non è tanto guadagnare ma non perdere. Nella misura in cui una superpotenza è più globale e controlla più territori, deve combattere, direttamente o indirettamente, sempre più guerre per mantenere quello che ha già. Essenzialmente sono guerre completamente territoriali, tipiche del maschio alfa, che hanno senso solo quando altri territori provvedono alle risorse necessarie per mantenerle. Sono anche, per il loro EROEI basso, il principale pozzo di risorse di molti imperi, siccome di solito sono ricorrenti nelle fasi di decadenza degli imperi, di solito sono anche la causa della loro perdizione.

Anche se queste guerre sono tipiche degli imperi, nella misura in cui questi si decompongono emergono paesi che si contendono lo spazio ora vacante, anche aspirando a diventare un impero che sostituisce un altro impero. Ma siccome a quel punto sono molti i paesi che si contendono quel luogo, su scala sempre più regionale, queste guerre sono sempre più complicate e in realtà non si possono mai vincere in modo definitivo. Servono semplicemente a dissipare risorse più rapidamente, in un processo frattale che ricorda la dissipazione di energia in un fluido turbolento. Un politico con una visione strategica potrebbe comprendere, a seconda della fase del declino nella quale si trova il suo paese, quali guerre non gli interessa scatenare e quali sono vitali per trattenere la parte salvabile fino fino a quel momento del suo potere. Tuttavia, questo tipo di capo di solito è raro, per cui pochissimi paesi riescono a prosperare a spese degli altri, semplicemente mantenendosi ai margini e senza richiamare l'attenzione né risvegliare l'avidità dei nuovi contendenti.

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Come vedete, a lungo termine non tornano i conti per nessun tipo di guerra e in realtà la più redditizia è la più banale: il saccheggio. Se la nostra società deve fare affidamento sulla guerra come modo di mantenere la propria sopravvivenza (anche se cinicamente negheremo di accettare che è per questo che si fanno le guerre, le nostre guerre), allora sicuramente non vale la pena che il nostro modello sociale sopravviva. Pensa a questo, caro lettore, quando i tamburi della guerra cominciano a rullare, gioiosi, vicino a casa tua.

Saluti.
AMT