sabato 10 gennaio 2015

I finti tonti del cambiamento climatico

Da “New York Times”. Traduzione di MR (h/t Luca Pardi)

Oliver Munday 
Di Naomi Oreskes

Cambridge, Massachussets. -  Gli scienziati sono stati spesso accusati di esagerare la minaccia del cambiamento climatico, ma sta diventando sempre più chiaro che dovrebbero essere più enfatici sul rischio. L'anno appena conclusosi sta per essere dichiarato il più caldo mai registrato e in tutto il globo il cambiamento climatico sta avvenendo più rapidamente di quanto avessero previsto gli scienziati.

La scienza è conservativa e le nuove affermazioni di conoscenza vengono salutate con alti gradi di scetticismo. Quando Copernico ha detto che la Terra orbitava intorno al Sole, quando Wegener ha detto che i continenti andavano alla deriva e quando Darwin ha detto che le specie si sono evolute per selezione naturale, l'onere della prova è spettato a loro, per mostrare che fosse così. Nel 18° e 19° secolo, questo conservatorismo ha assunto la forma di una richiesta di grandi quantità di prove. Nel 20° secolo, ha assunto la forma della richiesta di significanza statistica. Abbiamo tutti sentito lo slogan “la correlazione non è causalità”, ma questo è un modo fuorviante di pensare il problema. Sarebbe meglio dire che la correlazione non è necessariamente causalità, perché dobbiamo escludere la possibilità che stiamo semplicemente osservando una coincidenza. Tipicamente, gli scienziati applicano un limite del 95% di sicurezza, il che significa che accetteranno una dichiarazione causale solo se possono mostrare che le possibilità che la relazione avvenga per caso non sono più di 1 su 20. Ma ciò significa anche se che c'è anche più di uno scarso 5% di possibilità che l'evento si è verificato per caso, gli scienziati rifiuteranno la dichiarazione di causalità. E' come non scommettere a Las Vegas anche se si avesse circa il 95% di possibilità di vincere.



Da dove proviene questo severo standard? Il 95% di livello di sicurezza viene generalmente accreditato allo statistico britannico R. A. Fisher, che si è interessato al problema di come essere sicuri che l'effetto osservato di un esperimento non fosse solo il risultato del caso. Mentre ci sono state discussioni infinite fra gli statistici su cosa significhi realmente una sicurezza del 95%, gli scienziati al lavoro la usano di routine. Ma il livello del 95% non ha nessuna base reale in natura. E' una convenzione, un giudizio di valore. Il valore che riflette è uno che dice che il peggior errore che uno scienziato possa fare è pensare che un effetto sia reale quando non lo è. Questo è il tipico “Errore di tipo 1”. Lo si può pensare come credulità, autoinganno o fede eccessiva nelle proprie idee. Per evitarlo, gli scienziati pongono l'onere della prova sulla persona che fa un'affermazione. Ma ciò significa che la scienza è propensa al “Errore di tipo 2”: essere troppo prudenti e non riconoscere le cause e gli effetti che esistono realmente.

L'errore di tipo 1 è peggiore di quello di tipo 2? Dipende da punto di vista e dai rischi inerenti all'avere la risposta sbagliata. La paura dell'errore di tipo 1 ci chiede di fare i finti tonti. Di fatto ci chiede di cominciare dal nulla e di comportarsi come se non sapessimo nulla. Ciò ha senso quando davvero non sappiamo cosa succede, come nelle prime fasi di una ricerca scientifica. Ha senso anche in un tribunale, dove presumiamo l'innocenza per proteggerci dalla tirannia del governo e da accusatori troppo zelanti – ma senza dubbio ci sono accusatori che sosterrebbero uno standard più basso per proteggere la società dal crimine. Se applicata alla valutazione di pericoli ambientali, la paura di credulità ci può portare a sottovalutare le minacce. Pone l'onere della prova sulla vittima piuttosto che, per esempio, sul produttore di un prodotto pericoloso. La conseguenza è che potremmo non proteggere le persone che si farebbero davvero male. E se non fossimo tonti? E se avessimo le prove per sostenere la relazione causa-effetto?  Diciamo che sappiate che una particolare sostanza chimica è pericolosa; per esempio, che è stato dimostrato che interferisce con la funzione della cellula in topi di laboratorio. Potrebbe quindi essere ragionevole accettare una soglia statisticamente più bassa quando si esaminano gli effetti sulle persone, perché si ha già ragione di credere che l'effetto osservato non sia solo una coincidenza.

Questo è ciò che ha sostenuto il governo degli Stati Uniti nel caso del fumo passivo. Siccome i fumatori passivi inalavano le stesse sostanze chimiche dei fumatori e quelle sostanze chimiche erano riconosciute cancerogene, era ragionevole che il fumo passivo sarebbe stato a sua volta cancerogeno. E' per questo che l'EPA ha accettato un onere di prova (leggermente) minore: 90% la posto di 95. Nel caso del cambiamento climatico, non siamo affatto tonti. Sappiamo che il biossido di carbonio è un gas serra, sappiamo che la sua concentrazione nell'atmosfera è aumentata del 40% dalla rivoluzione industriale e conosciamo il meccanismo col quale riscalda il pianeta. PERCHE' gli scienziati non scelgono lo standard appropriato al caso in questione, al posto di aderire ad uno assoluto? La risposta si può trovare in un posto sorprendente: la storia della scienza in relazione alla religione. Il limite del 95% di sicurezza riflette una lunga tradizione nella storia della scienza che valorizza lo scetticismo come antidoto alla fede religiosa. Anche quando gli scienziati hanno rifiutato la religione come base della conoscenza naturale, hanno mantenuto certe presunzioni culturali su che tipo di persona avesse accesso alla conoscenza affidabile. Una di queste presunzioni comportava il valore di pratiche ascetiche. Oggigiorno gli scienziati non conducono vite monastiche, ma praticano una forma di auto-negazione, negando a sé stessi il diritto di credere a qualsiasi cosa non abbia superato ostacoli intellettuali molto alti.

Inoltre, mentre negano vigorosamente la propria relazione con la religione, la scienza moderna conserva vestigia simboliche di tradizione profetica, quindi molti scienziati si ritraggono per evitare queste associazioni. Una grande maggioranza di scienziati non parla affatto in pubblico e coloro che lo fanno di solito lo fanno in termini altamente protetti e qualificati. Spesso rifiutano di usare il linguaggio del pericolo anche quando il pericolo è esattamente ciò di cui parlano. Qualche anno fa, gli scienziati del clima hanno offerto un aumento di 2°C (o 3,6°F) come il limite “sicuro” o tetto per il riscaldamento a lungo termine del pianeta. Ora stiamo vedendo effetti pericolosi in tutto il mondo anche mentre ci avviciniamo ad un aumento di solo 1°C. Stanno aumentando le prove che gli scienziati  hanno sottostimato la minaccia. Forse questa è un'altra ragione – insieme alla nostra politica polarizzata e l'effetto della lobby dei combustibili fossili – per cui abbiamo reagito debolmente alla realtà, che ora si dipana di fronte ai nostri occhi, di un cambiamento climatico pericoloso.

Naomi Oreskes è professoressa di storia della scienza ad Harvard e l'autrice, insieme a  Erik M. Conway, de “Il collasso della civiltà occidentale: una visione dal futuro”.