mercoledì 18 dicembre 2013

Curve pericolose con il petrolio.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Cari lettori, il 12 di novembre è uscita l'edizione 2013 del World Energy Outlook (WEO 2013) pubblicato ogni anno dall'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), con la sua relativa presentazione alla stampa. La maggior parte dei quotidiano spagnoli si sono concentrati su aspetti banali di questa presentazione, anche se qualche quotidiano, come il Financial Times ha evidenziato alcuni aspetti inquietanti dai caratteri sottili di questo rapporto. Ho fatto una rapida lettura dello stesso (sono 708 pagine e vi anticipo alcune delle mie conclusioni generali, che sono naturalmente molto diverse da quelle dei media spagnoli e non sono per niente rassicuranti. Se è possibile, nei prossimi giorni o io o qualcun altro faremo un'analisi più approfondita di alcuni dettagli.

Il WEO 2013 è strutturato in tre parti principali. La parte A è dedicata all'analisi dello stato della produzione di energia di tutti i tipo su scala globale; la parte B analizza il caso specifico del Brasile e la parte C è dedicata interamente al mercato del petrolio (pertanto l'analisi del petrolio è separata dalla parte A).

Come è consuetudine, gli scenari che dipinge la IEA per il futuro fino al 2035 sono tre: Politiche Attuali (vale a dire, continuazione delle tendenze osservate in questo momento), Nuove Politiche (se le nuove politiche annunciate dai Governi per lottare contro il cambiamento climatico venissero avviate) e Scenario 450 (nel quale si prendono misure drastiche per evitare che la concentrazione di gas serra nell'atmosfera superi le 450 ppm equivalenti di CO2). Lo scenario centrale (in qualche modo, quello che la IEA considera più probabile) è quello delle Nuove Politiche e quindi i commenti saranno riferiti a questo, salvo se diversamente specificato.

Della parte A richiama l'attenzione varie cose. La prima è che si considera che il vero “combustibile del futuro” sia, nelle parole della IEA, “l'efficienza energetica”. Secondo le sue stime, l'efficienza energetica “fornirà” più energia aggiuntiva del petrolio da qui al 2035. Tale affermazione dimostra una comprensione uguale a zero di ciò che rappresenterà questa efficienza in termini economici (non esiste nemmeno il minimo riferimento al Paradosso di Jevons in tutto il documento), il che non è solo sorprendente ma preoccupante, tenendo conto che i fondamenti teorici del paradosso di Jevons sono ben compresi e spiegati nella teoria economica classica, ma è chiaro che la IEA preferisce evitare di alludere alle sue conseguenze negative sulla crescita economica. Proprio nella discussione sulla crescita economica si enfatizza che la crescita del PIL è sempre meno dipendente dal consumo energetico, come si sta osservando negli ultimi decenni, anche se si riconosce che c'è un forte legame fra le due cose (che di fatto esisterà sempre, come ha brillantemente esposto Tom Murphy).

In realtà, in vista della persistenza della crisi nella OCSE e dei segni di debilitazione di molte economie emergenti, l'impressione è che la minor dipendenza della crescita osservata del PIL dall'energia negli ultimi anni potrebbe obbedire più alla volontà di mascherare le cifre dell'evoluzione del Pil stesso che ad una vera smaterializzazione dell'economia (ma questo sarebbe materia per un'altra discussione che va oltre il contesto di questo post). I lettori più avvezzi troveranno curioso verificare come nei tre scenari che propone la IEA si presume che il tasso di crescita dell'economia mondiale sarà del 3,6% annuo in media per tutto il periodo fino al 2035, cioè, che il PIL arriverà ad essere in quell'anno qualcosa in più del doppio di quello attuale. Nello stesso periodo si presume una crescita del consumo di energia del 1,6% all'anno da qui al 2020 e solo del 1% dal 2020 al 2035, il che porterebbe ad una crescita del consumo di energia accumulato in tutto il periodo del 33%. Pertanto, la IEA presume che continuerà e a buon ritmo il miglioramento dell'efficienza energetica, misurata con l'intensità energetica o rapporto fra il PIL e il consumo di energia, come mostra il grafico seguente, che mostra anche il consumo totale di energia primaria.

Notate la stagnazione nel consumo di energia nella OCSE; da lì viene la necessità del miglioramento dell'efficienza energetica: senza di essa, il PIL non potrebbe crescere. Siccome non c'è una base fisica solida per assicurare che l'intensità energetica debba migliorare sempre, se interpretiamo bene la previsione della IEA che il consumo di energia dell'OCSE non aumenterà più, la faccenda si fa abbastanza cupa. La cosa si presenta peggio se teniamo in considerazione che anche se si presume che la produzione di petrolio possa ancora salire fino a raggiungere i 101,4 milioni di barili al giorno (Mb/g) nel 2035 (un po' di più di quello che stimavano l'anno passato), i paesi dell'OCSE (che attualmente consumano circa 43 Mb/g dei poco meno di 90 Mb/g che si consumano nel mondo) dovranno continuare a perdere accesso al mercato petrolifero, con conseguenze che possono essere soltanto funeste.

E' il caso di aggiungere, a mo' di aneddoto, che il piccolo incremento della produzione di petrolio nel 2035 rispetto alla previsione dello scorso anno proviene dai guadagni di lavorazione, come chiarisce una nota a piè della pagina 73 (molte volte l'informazione chiave si trova nelle note a piè di pagina). Ricordiamo che i guadagni di lavorazione sono quelli che si producono dopo la raffinazione del petrolio: esce un volume di prodotti risultanti superiore a quello del petrolio che entra. Come è logico, la quantità di energia che apporta il petrolio dopo la raffinazione non può essere superiore a quella che aveva prima della raffinazione, anche se i prodotti risultanti possono invece essere un po' più energetici visto che nel processo si usa gas naturale. Ciò che ci indica qui la IEA è che la lavorazione dei petroli di sempre peggior qualità, più pesanti (che comportano grandi investimenti in raffinerie) porta a maggiori aumenti del volume e maggior uso di gas naturale per la sua lavorazione. Questo gas dirottato per la produzione di petrolio non viene sottratto dai grafici di produzione del gas, per cui si produce ancora una volta una doppia contabilità che proviene dal non tener conto di qual è l'energia netta che giunge alla società (cioè, al netto dei costi energetici della mera produzione di energia). Significativamente, la IEA avverte (gli dedica tutto il capitolo 16) che arriveranno tempi turbolenti per il settore delle raffinerie, con un “eccesso di capacità” di circa 10 Mb/g nel 2035, situato fondamentalmente in Europa (visto che qui il consumo di petrolio può solo crollare).

In realtà, questo WEO fa vedere in modo nitido alcuni limiti e non solo per il petrolio. Tenendo conto che la IEA non può accettare che la produzione di nessun combustibile possa scendere, il riconoscimento del fatto che le produzioni di alcuni di essi siano stagnanti è la cosa più simile al riconoscimento dell'arrivo del picco produttivo. Come mostra la figura seguente, secondo la IEA ci si aspetta poca crescita della produzione di energia da petrolio e carbone; i grandi aumenti si affidano al gas naturale (confidando forse nel fiasco del gas da fracking), al nucleare (nonostante che il picco dell'uranio sembri più vicino di quello degli altri combustibili e che il programma Megatons to Megawatts finisca quest'anno), alla biomassa (probabilmente senza tenere conto del fattore di carico delle coltivazioni e del loro basso EROEI) e alle rinnovabili (i cui limiti abbiamo discusso numerose volte su questo blog nella serie “I limiti delle rinnovabili”).

Dal resto della parte A emerge la menzione esplicita a problemi di fornitura di petrolio ed elettricità in molte parti del mondo, le meravigliose prospettive che la IEA vede ancora nel settore del gas, la contraddizione inerente al fatto che il carbone è la risorsa più abbondante ma quella che dovrebbe essere consumata di meno se vogliamo lottare veramente contro il cambiamento climatico, il brillante futuro che attende l'energia rinnovabile e la produzione nucleare (anche se riconosce alcune pietre sul loro cammino e che il nucleare crescerà solo in Cina) e la lode dell'efficienza energetica come la vera salvezza dal problema energetico nel quale ci troviamo. Richiama l'attenzione tanta insistenza quando i guadagni da efficienza presumibili per il 2035 (come si vede nella figura qua sotto, dell'ordine di centinaia di Megatonnellate equivalenti di petrolio, Mtoe) impallidiscono in confronto al consumo di energia primaria prevista per questo anno (circa 17.000 Mtoe, come mostriamo più in alto discutendo della intensità energetica).

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Rispetto alla parte B del WEO 2013, dedicata al Brasile, non farò grandi commenti; sottolineo soltanto che le proiezioni sulla produzione futura di petrolio sembrano altamente sovrastimate, alla luce degli ultimi eventi della OGX e dei problemi che ha persino la compagnia nazionale Petrobras.

Il nocciolo del WEO 2013 sta, in definitiva, nella parte C, in cui si dedica anche un paragrafo alla discussione sul picco del petrolio (pagine 447 e 448). La IEA naviga in acqua turbolente qui. Da un lato continua a parlare del picco del petrolio come una “teoria”, dall'altro cita riferimenti solidi, come Laherrere, e riconosce che il petrolio "tight" (o petrolio da scisti) (che si sfrutta col fracking, come abbiamo già spiegato), non rivoluzionerà il mondo del petrolio; al massimo potrebbe posticipare il picco del petrolio di qualche anno. Osano persino andare più in là, riconoscendo che il profilo di produzione di un pozzo di petrolio tight è molto più scosceso di quello del petrolio convenzionale e che il suo sfruttamento smette rapidamente di essere economico: il grafico seguente, chiarificatore, si trova a pagina 467:


E' significativo anche che si riconosca che le risorse recuperabili dal LTO sono dell'ordine dei 345.000 milioni di barili (che equivale a circa 10 anni al tasso di consumo attuale, se si potessero estrarre a tutta velocità; ciò spiega perché il LTO non comporterà nessun cambiamento pratico). In realtà la IEA qui fa una svolta importante, moderando, e di molto, l'ottimismo espresso nei rapporti precedenti rispetto a questo tipo di tecnologia – fracking – e di risorsa – petrolio leggero di roccia compatta (tight oil). E' altresì chiaro che al di fuori degli Stati Uniti la produzione di LTO sarà abbastanza marginale (probabilmente perché non possono contare sul dollaro per far leva sul cattivo investimento insito nel LTO).

Tutta la parte C sembra un compendio di scuse per cercare di giustificare che il declino sotto accusa della produzione di petrolio greggio proveniente dai giacimenti esistenti oggigiorno (che secondo lo stesso WEO è di un 6% all'anno) non sarà un grande problema su scala mondiale. Pensate che con un 6% di diminuzione annuale i giacimenti attualmente in produzione saranno decaduti nel 2035 di una quarta parte di quanto producono ora, cioè, da 70 MB/g a soli 18 Mb/g – una diminuzione di 52 Mb/g, che viene tradotto con il linguaggio eufemistico al quale ci ha abituati la IEA a “ci si aspetta una caduta di più di 40 Mb/g”.

Nella stessa parte C c'è una lunghissima spiegazione del perché la produzione di petrolio greggio diminuisce col tempo; essenzialmente, spiegazioni tecniche di picco del petrolio e senza usare mai il termine! Tutta questa discussione comprende tavole dei tassi di declino per diversi tipi di giacimento, con dati significativi come, per esempio, che i tassi di declino terminale sono di circa il 6% all'anno per giacimenti a terra e fino al 12% all'anno per i giacimenti in mare, o che il declino al di fuori dell'OPEC (7,8% all'anno) è più rapido che all'interno dell'OPEC stessa (4,5% all'anno). Nessuna menzione, questo sì, a crescenti costi di estrazione, che come sappiamo sono vincolati alla caduta dell'energia netta che ci fornisce il petrolio, aspetto che sembra cominciare ad essere preoccupante. C'è anche un'analisi che mostra che, con l'investimento adeguato, il tasso di declino si può ridurre ad un 2,5% all'anno, senza che, curiosamente, si colleghi il maggior sforzo estrattivo con la redditività. Merita anche menzione, per la sua audacia, la discussione a pagina 514 sul concetto di “picco delle macchine” (peak car) (cioè, che l'uso delle macchine sembra essere giunto al suo massimo e già retrocede).

Ma ciò che sciocca di più di questo WEO è che non si trova da nessuna parte il grafico dell'evoluzione della produzione di petrolio secondo lo scenario centrale che appariva nei WEO degli anni precedenti. C'è solo una tavola a pagina 458 molto meno dettagliata degli altri anni (si distingue solo il petrolio convenzionale, non convenzionale e i liquidi del gas naturale), ma di grafici non ce ne sono, nemmeno nella presentazione alla stampa. Forse hanno paura che qualche analisi come quella che ho mostrato l'anno scorso nel post “Il tramonto del Petrolio”, anche se in realtà credo che il problema sia dovuto dal fatto che è sempre più difficile dissimulare il crollo della produzione di petrolio greggio che sta già cominciando. Per chi è stato sufficientemente perseverante da arrivare a pagina 470 del WEO 2013, lì incontriamo il modo in cui la IEA presenta le cattive notizie. La figura (in basso) mostra come si svilupperà la produzione di tutti i liquidi del petrolio di quasi tutte le fonti possibili (greggio convenzionale, biocombustibili, LTO, pesanti, di alto mare...), con l'unica eccezione dei liquidi del gas naturale (che in realtà non avrebbero dovuto essere mai contati come petrolio), sotto la premessa “se non si fa un investimento”. Tutto uno squillo di allarme.

Sicuramente la frase “se non si fa un investimento” è il modo politicamente corretto che usa la IEA per avvertire che “è necessario fare quest'investimento altrimenti ci mettiamo in guai seri”. Curiosamente, una delle barre si riferisce all'anno 2013, che sta per finire, per cui la diminuzione osservabile rispetto ai livelli del 2012 sembra indicare che la produzione sta già diminuendo in modo significativo.

Per concludere con la mia analisi della parte C, mi piacerebbe evidenziare la seguente figura, che ci mostra come la IEA si aspetta che vari la produzione di petrolio in alcuni paesi del mondo da qui al 2035.

Si vede che tutta la crescita della produzione di petrolio greggio si affida all'Iraq (e sappiamo quanto sia tutto esagerato), Brasile (cosa che sembra poco probabile ad oggi) e Kazakhstan (del quale un giorno parleremo). Per sottolineare che paesi come l'Arabia Saudita o il Kuwait sono giunti al loro massimo di produzione. 

La conclusione di questo rapporto è sintetizzata molto bene nell'ultima frase della presentazione alla stampa: “La transizione a un settore energetico più efficiente e a minore intensità di carbonio è più difficile in tempi di difficoltà economica, ma non meno urgente”. Un fine eufemismo che si definisce con l'ultima parola: urgente.

Saluti.
AMT