venerdì 12 luglio 2013

Un futuro incerto (I): la fuga

Di Antonio Turiel

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto inventate. Qualsiasi riferimento a persone o fatti reali sarà sempre un pura coincidenza]

di Antonio Turiel

- Grazie, eravamo assetati – disse Gianni all'oste

Questi rimase a guardarlo per un attimo, sospettoso, e alla fine disse:

- Questi modi mi sembrano molto raffinati. Non sarai uno di quelli?

Gianni si infuriò, colpì con la pinta di birra il tavolo e tuonò:

- Vaffanculo! Non si può essere un po' educati in questo mondo, per cambiare?

L'oste si ritrasse un po'. Ovviamente, non si aspettava una tale reazione. Gianni aveva fatto molto bene: era un tipo intelligente e nei due mesi che erano passati da quando era iniziata la persecuzione aveva imparato in fretta. L'oste se ne stava già andando, borbottando fra sé e sé, quando pose lo sguardo sul giovane che accompagnava Gianni. 

- E questo fuscello da dove è sbucato? Quanti anni hai, ragazzino, 20? 18?

In realtà Davide aveva 25 anni, ma il suo aspetto infantile, imberbe ed insicuro lo facevano sembrare molto più giovane. Davide si schiarì la voce per rispondere, ma Gianni lo anticipò:

- Ha 20 anni, è mio nipote, figlio di mia sorella, che me lo ha affidato perché ne faccia un uomo. Problemi?

L'oste si grattò il collo, si passò le manacce sul grembiule sporco e se ne andò lentamente, borbottando un “niente, niente...”. Quando si trovo ad una certa distanza, Davide riuscì finalmente a dire un “Grazie” rivolto a Gianni, usando il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.

Gianni non guardava Davide, ma l'oste e nel frattempo lanciava sguardi fugaci tutt'intorno. L'osteria era praticamente vuota a quell'ora del pomeriggio. Erano lontani i giorni di splendore che indubitabilmente il locale aveva conosciuto. Lontani, sì. Lontani forse due o tre mesi, ma nella situazione attuale i giorni erano mesi e i mesi decenni. Alla fine, sempre senza guardare Davide, Gianni parlò con voce bassa e lenta:

- Se non impari a controllare la tua paura ci prenderanno, a te e a me, e potremo anche ringraziare se solo ci uccidono in modo rapido. Tienilo sempre presente. 

- Lo tengo presente, signore – disse Davide, avvilito. 

- Non chiamarmi signore! - il tono di Gianni era imperioso, nonostante parlasse a voce bassa. Proseguì – chiamami Zio Gianni o semplicemente Gianni. Sono Gianni Lopresti e tu Davide Pallavicini. Non dimenticartelo.

- Non lo dimenticherò, sig... Gianni! - si corresse Davide.

Gianni non poteva biasimarlo. Dopo diversi anni di lavoro insieme – tre o quattro, pensò – si acquisivano certi automatismi che non erano tanto facili da cancellare in soli due mesi. Due mesi di orrore e barbarie, sempre a fuggire, inciampando a zig zag verso la frontiera, la frontiera che sarebbe stata la loro salvezza, ormai solo a pochi chilometri. “La frontiera che separa la barbarie di questo paese che sprofonda nella sua miseria da un altro paese, una delle poche roccaforti di civiltà che rimangono”. 

Gianni guardò allora il suo protetto. Davide era un ragazzo intelligente, un po' ritroso, ma con molte possibilità. Avrebbe potuto lasciarlo indietro il giorno dell'assalto; di fatto avrebbe dovuto lasciarlo indietro. In fin dei conti Davide non era nessuno, non era una persona famosa; gli inseguitori cercavano Gianni, solo per la sua notorietà. Era la foto di Gianni quella che era stata distribuita a tappeto per la capitale dalla quale dovettero scappare di notte, correndo lungo la rete fognaria. Sicuramente a Davide non avrebbero fatto nulla, ma Davide era disorientato e Gianni ebbe pietà di lui.  La verità è che Davide non avrebbe resistito nemmeno due minuti nelle mani di quegli energumeni. Gianni, tuttavia, era diverso. Aveva conosciuto molte difficoltà quando era giovane e solo dopo la maturità poté approfittare dei frutti di tanta fatica. 

“Concentrati Gianni”, pensò. Doveva concentrarsi sull'attraversamento della frontiera. Erano anni che non veniva i questa zona, anche se la conosceva piuttosto bene. Gli era toccato fare il militare in una caserma vicina e passava i giorni di permesso a fare l'idiota nei paesi della costa e talvolta anche attraversando per biascicare la lingua del paese vicino. Anni dopo, già con un lavoro degno di questo nome, Gianni aveva passato qualche volta l'estate in quelle zone piene di località naturalistiche e di troppi turisti. La massificazione lo sopraffaceva, ma allo stesso tempo gli piaceva, perché nella massa la sua solitudine di uomo di un certo successo nella vita ma senza compagnia passava inosservata. 

Alla fine, fosse come fosse, la frontiera era vicina. La strada, ora senza macchine, aveva ospitato a suo tempo un traffico insopportabile. Ancora oggi era un punto di scambio frequente di mercanzie. Tuttavia passare di lì era rischioso, le guardie di frontiera potevano riconoscerlo, nonostante la barba folta, nonostante non portasse gli occhiali, nonostante l'aspetto trasandato di stagionale ad ore. Non poteva rischiare che lo prendessero. Era meglio passare per il piccolo sentiero che c'era a un paio di chilometri più ad est della strada principale. Una strada serpeggiante, a zig zag, che prima, quando il petrolio abbondava, si sarebbe considerata un “percorso pittoresco” e che ora veniva vista come una perdita di tempo. Ma quello che pochi sapevano è che un paio di chilometri dopo avere imboccato questa strada, alla sua sinistra si apriva un piccolo sentiero, impraticabile per le macchine e carri, ma transitabile a piedi, che scendeva rapidamente verso la frontiera. In poche centinaia di metri si sarebbero trovati in territorio che sebbene forse non sarebbe stato amico, perlomeno non sarebbe stato nemico. Da lì, dopo un chilometro circa, sarebbero arrivati al primo paese dell'altra sponda della frontiera e sarebbero sfuggiti a questa barbarie. 

Gianni pagò l'oste sospettoso ed uscirono. Mancava poco più di un'ora al tardo pomeriggio, quando le valli diventano ombreggiate ma puoi ancora vedere dove metti i piedi. Da dove si trovavano avrebbero potuto guadagnare la frontiera camminando meno di un'ora. Non era difficile, ma rischioso. Dedicarono alcuni minuti a vagare senza troppo senso, fermandosi a guardare i tabelloni degli annunci, come se cercassero lavoro. Ma quale lavoro, se questa era landa desolata? Forse la mancanza di futuro e di prospettive era ciò che aveva portato alla barbarie. La barbarie... Come aveva avuto inizio tutto questo? 

Gianni ricordava. C'erano già stati 7 anni di crisi economica implacabile e nessuno era in grado di proporre una soluzione. Il Parlamento si era frammentato in mille piccoli partiti e se prima era incapace di prendere decisioni, in quel momento divenne del tutto inoperante. Gli scandali di corruzione erano continui ed arrivavano alle alte magistrature dello Stato; arrivò un momento in cui tutti i partiti politici erano implicati in qualche scandalo: i partiti grandi in scandali grandi e i partiti piccoli in scandali piccoli. Per strada il sentimento di indignazione cresceva sempre di più ed erano sempre più frequenti gli scontri violenti con la polizia in mezzo alla strada. 

Allora iniziarono ad apparire i primi gruppi di azione diretta contro i politici. All'inizio erano solo graffiti e vetri rotti, ma poco dopo si rompevano le ossa e persino si uccideva. Il gruppo di protesta “Corruzione Zero” o CZ, con un'ideologia eclettica costruita con molti residuati ideologici, cominciò a guadagnare popolarità, che cresceva nella misura in cui si incarceravano alcuni dei suoi membri più violenti. L'aver dichiarato CZ come associazione di malfattori non aveva fatto altro che far crescere la sua aura di protettori del popolo e la sua popolarità divenne anche più grande quando, con un colpo ad effetto, cominciarono a svaligiare le case dei politici più o meno corrotti per dividere in seguito il bottino fra i poveri. Molti membri di CZ furono incarcerati, ma venivano rimpiazzati da un numero maggiore di nuovi arrivi. Nei mesi precedenti alle ultime elezioni si costituì il nuovo partito politico, “Cittadini contro la corruzione” (CCC), al quale CZ diede il suo appoggio politico. Questo fatto, insieme alla similitudine delle sigle (in spagnolo sarebbe CC, corrupciòn cero) e delle idee politiche portò il Ministero della Giustizia a dichiarare illegale il CCC, a considerarlo “parte della trama di CZ”. Nonostante che la Giunta Elettorale Centrale non stampasse nessuna scheda elettorale del CCC, queste, stampate e distribuite in modo clandestino, inondarono le urne. Secondo la GEC, il 40% dei voti emessi furono nulli. Vedendo i risultati, annunciati la stessa notte delle elezioni, una moltitudine adirata si catapultò per strada gridando: “vogliamo democrazia”. Alle 11 di sera, il leader del CCC apparve al balcone della sua sede elettorale improvvisata e lo fece tenendo la mano al leader di CZ. Fu quest'ultimo che si rivolse alla moltitudine: “Sono qui. Ho abbandonato la clandestinità per dirvi che la voce del popolo non si può zittire. Oggi il popolo ha dato la maggioranza al CCC; quel 40% di voti nulli sono in realtà il 60%, se contiamo le schede bianche e coloro che non si esprimono. Non possiamo permettere che i corrotti di sempre continuino a fregarci; ci rubano i soldi, ci rubano il futuro e ora ci vogliono rubare queste elezioni. Non lasciamoglielo fare! Marciamo verso il Palazzo Presidenziale!”

Un giorno i libri di storia analizzeranno ciò che successe in quelle ore, pensava Jan, ma quello che era chiaro fu che CZ eseguì con maestria un piano progettato con molto anticipo. In realtà l'appoggio al CCC, anche se considerevole, non avrebbe superato il 20 o il 25%, posto che di sicuro gran parte del voto nullo era voto di protesta, ma i sostenitori del CCC non erano così numerosi. La moltitudine che si riunì quella notte nella capitale era arrivata in autobus da luoghi lontani geograficamente per fare in modo che la messa in scena della presa del potere fosse più completa. Inoltre, il CZ aveva molto appoggio fra la polizia ed i militari, per cui non costò loro troppo ottenere che coloro che stavano di servizio in quella notte scomoda fossero dei loro. Il fatto è che la marcia verso il Palazzo Presidenziale fu trionfale e con il leader di CZ in testa, la moltitudine prese senza resistenza il Palazzo proprio a mezzanotte. Quella stessa notte il Presidente, i leader degli altri partiti democratici e una buona parte dei deputati furono giustiziati dalle forze rivoluzionarie di CZ. Nonostante alcune sacche di resistenza in città lontane dalla capitale, all'alba del giorno seguente era chiaro che tutto il paese si era sottomesso ai dettami di CZ. Venne convocato d'urgenza un Parlamento di Eletti che contava solo membri di CZ. Questi modificò in una settimana un centinaio di leggi fondamentali e proclamò, senza avere la legittimità per farlo, una nuova Costituzione che fra le altre cose il Parlamento “in sé un covo di corruzione e di scambio di prebende costoso ed inutile”. La domenica pomeriggio i deputati eletti e costituenti intonarono l'inno nazionale, riscritto per l'occasione, ed abbandonarono ordinatamente il Parlamento, che venne poi chiuso. Il nuovo Presidente plenipotenziario cominciò a promulgare i suoi nuovi decreti. La democrazia in questo paese era giunta alla sua fine. 

Gianni pensava a tutto questo mentre camminavano fuori dal sentiero verso la vecchia strada che li avrebbe portati verso l'altro lato, verso un paese dove ancora sapevano cosa significasse la parole democrazia. Mentre ricordava quei giorni oscuri, Gianni non poteva evitare di abbozzare un sorriso ironico. Molta gente salutò la nascita del nuovo regime come una speranza di rigenerazione, così la raccontarono i giornali, e così continuarono a dire molto di loro - “una speranza di rigenerazione” - fino al giorno prima di essere chiusi per decreto presidenziale. 

La cosa certa è che il paese era precipitato in una dittatura che in poco tempo dimostrò di essere feroce ed implacabile. Tutte le persone che avevano ricoperto cariche politiche negli anni precedenti furono costrette a lavorare in “campi di rieducazione” dove “avrebbero restituito col sudore tutto ciò che avevano rubato o sperperato”. I tempi di permanenza nei campi dipendevano dall'importanza e dalla durata delle responsabilità che avevano esercitato, secondo un prontuario che il Presidente fece distribuire alla popolazione. Tipicamente, chi doveva restare per più di un anno ai lavori forzati non usciva vivo dai campi di rieducazione e coloro che ci riuscivano raccontavano dei veri e propri orrori. Con tutti questi lavoratori forzati, lo Stato cercava di recuperare lo splendore perduto durante gli anni di crisi economica, ora che l'energia del petrolio e dell'uranio cominciava a scarseggiare nei mercati internazionali. 

L'ombra del versante della montagna si allungava e già copriva le ultime case del paese, praticamente non c'era nessuno per strada. Tre o quattro chilometri ancora e sarebbero stati in salvo. In salvo dalla barbarie, dall'atrocità. A suo tempo, Gianni vide succedere ciò che si aspettava. “Qualsiasi risorsa rinnovabile sfruttata in modo non sostenibile diventa non rinnovabile”, una frase che aveva letto tempo prima e che gli piaceva ripetere. Qualsiasi risorsa rinnovabile. Compresi gli esseri umani, si lamentò. Quindi il nuovo Stato era diventato dipendente dalla energia muscolare umana e quando e quando i nuovi schiavi “rieducati” scarseggiarono, cominciò una vera e propria caccia alle streghe. Cominciarono dapprima coi politici, sì, poi però continuarono coi banchieri, i notai, gli alti funzionari...

- Eh! Davide? Davide Rosi? Sei tu? Sono Filippo Collina!

Gianni Rimase gelato. Un giovincello del gruppo di quattro o cinque che stavano insieme all'ultima casa si era avvicinato e si era posto di fronte al suo pupillo. 

- Hey... Ciao, Filippo, come stai? - riuscì a dire goffamente Davide.

Gianni girò rapidamente intorno ai due ragazzi passando dietro a Davide, avanzando discretamente in direzione della strada che li doveva portare alla salvezza. “Siamo vicini, siamo vicini... per Dio, Davide, non ti distrarre e liberati rapidamente di questo qui”, pensò. 

- Ti credevo nella capitale. Che fai qui? Io sono venuto alla frontiera a cercare lavoro: le cose vanno molto male e in casa si deve mangiare – gli disse Filippo. 

- Sì, be', io più o meno uguale. Quanto tempo, Filippo – gli disse Davide. 

- Mah, neanche tanto; cosa saranno, tre anni? Da quando hai terminato gli studi; mi hanno detto con voti molto alti, non come me, ma tu sei sempre stato un secchione. Te ne sei andato nella capitale a cominciare una tesi, no? Cos'è successo? Non lavoravi con quello scienziato tanto famoso? Su, bastardo! No? - disse Filippo con un gesto di fastidio. 

Forse fu la casualità che fece sì che lo sguardo da animale braccato negli occhi scontrosi di Gianni si incrociasse con quello degli occhi di quel ragazzo, o forse semplicemente il giovane ricordò il nome del direttore di tesi di Davide ed evocò nella sua memoria uno dei tanti cartelli con la sua faccia. Il fatto è che, di colpo, se ne rese conto: 

- E' Gianni Palermo! Ragazzi, è Gianni Palermo, quello scienziato bastardo della capitale!

Gianni afferrò con forza per il braccio un Davide perplesso e gli gridò: corri! Fortunatamente gli amici di Filippo, un po' discosti dalla scena, stavano parlando delle loro cose quando questi riconobbe lo scienziato e da principio non capirono ciò che diceva loro l'amico. Ma pochi secondi più tardi i cinque ragazzi si lanciarono all'inseguimento del professore e della succulenta ricompensa che senza dubbio avrebbe portato loro. 

Gianni Palermo. Professore universitario e direttore di uno dei centri di ricerca ambientale ed energetica più importanti del paese. Diventato nemico pubblico numero uno quando il paese rimase senza altri nemici coi quali giustificare la propria mediocrità, la propria incapacità di “recuperare il sentiero della crescita”. 

Gianni ricordava, in quei secondi di corsa precipitosa, come era scappato dalla capitale. Erano mesi che la stampa favoriva una campagna di discredito contro gli scienziati corrotti che inventavano i risultati per favorire le proprie prebende economiche. Un mese prima della sua fuga aveva visto un “reportage di ricerca” su un quotidiano, prima serio, nel quale confrontavano il bilancio cumulativo speso in ricerca sul cambiamento climatico durante gli ultimi 10 anni con i danni causati dal cambiamento climatico in quello stesso periodo (danni calcolati in modo molto particolare: solo da “eventi estremi chiaramente anomali”). La conclusione: gli scienziati si stavano riempiendo le tasche spargendo la paura di un pericolo inesistente. Il reportage causò un grande scandalo e cattedratici e ricercatori in scienze ambientali si videro obbligati a dimettersi dai loro posti, con grande scherno pubblico, e a passare una stagione nei campi di rieducazione. Quel giorno, Gianni comprese che non sarebbe passato molto tempo prima che lo venissero a cercare se nessuno avesse fermato prima questa follia.   

I ragazzi erano sempre più vicini, nonostante il fatto che Gianni e Davide fossero in buona forma e correvano per le proprie vite. Di tanto in tanto qualche pietra passava rotolando vicino ai loro piedi. “Mentre utilizzano solo questi proiettili...” pensò Gianni. Notò che c'era un certo trambusto in paese, diverse centinaia di metri più avanti e gli parve di intravvedere con la cosa dell'occhio la forma di un fucile da caccia all'interno del secondo branco umano che sia era formato. E' allora che vide la curva. Da quella curva usciva sulla sinistra il piccolo sentiero sterrato che li avrebbe portati alla salvezza, al di là di quella barbarie. Il sentiero doveva essere proprio lì, dovevano essere già quasi arrivati. Dio mio, erano solo dieci anni, un sentiero così non scompare in dieci anni, andiamo, andiamo, andiamo. Arrivò al parapetto ed ecco l'anelato sentiero; ci entrò con un salto, seguito da Davide. Potevano ancora farcela...

Cosa avrebbe potuto fare per evitare questa situazione? Per questo due mesi prima si era preparato seriamente per quella eventualità. Aveva discretamente prelevato una quantità significativa di soldi dalla banca, anche se non più del 10% dei suoi risparmi, per non mettere in allarme coloro che già sicuramente lo stavano controllando. Una parte in soldi, altra in oggetti di valore di poco volume e facili da vendere. Portava ovunque uno zaino con qualche ricambio e questi soldi, perché avrebbe potuto scappare correndo in qualsiasi momento. Dormiva sotto il suo letto per non essere assalito di notte in casa. Viveva in uno stato di massima tensione. 

Il giorno della sua fuga, un quotidiano influente pubblicò un dossier spiegando che il suo istituto non solo aveva dissipato denaro, in più aveva ostacolato sviluppi fondamentali come i dispositivi di energia libera di Tesla. Illustravano la notizia con varie testimonianze. Quella che gli fece più male fu quella del suo compagno Enrico Pozzi, ricercatore del suo centro ma, soprattutto, suo amico da molti anni. Il dottor Pozzi assicurava che alcuni ricercatori avevano fatto rapporti negativi e persino distrutto prototipi fattibili di generatori di Tesla “seguendo gli ordini delle grandi compagnie petrolifere” e faceva i nomi. Accusava cinque o sei ricercatori in tutto il paese, ma fortunatamente non coinvolgeva Gianni, che anzi scagionava. Perché Enrico avrebbe detto tali cazzate ed invenzioni? I polmoni di Gianni gli stavano esplodendo dallo sforzo; erano già arrivati alle prime case, ma i loro inseguitori non mollavano. Perché lo fece Enrico Pozzi? Sicuramente per paura. Ci sono poche cose potenti come la paura. In ogni caso la sua testimonianza non gli servì a nulla, a Pozzi: un paio di giorni prima aveva letto in un settimanale che lo scienziato corrotto Enrico Pozzi era morto cercando di scappare da un campo di rieducazione. 

Ricordava. Ricordava come camminava leggendo le notizie false sulla corruzione nel centro che dirigeva, rosso di rabbia, mentre saliva sempre più lentamente per il promontorio che portava al suo centro. Si fermò a circa 200 metri. Dall'alto della collina dove si trovava poteva scorgere decine di persone che entravano a saccheggiare il suo centro, un branco di uomini simile a quello che ora gli stava alle calcagna, che gettava documenti dalle finestre, dava a fuoco all'edificio e sbatteva fuori a spintoni i suoi poveri colleghi. Gianni aveva lo zaino in spalla, quindi non gli restava altro da fare lì e si allontanò correndo fianco a fianco con Davide, con lo stesso Davide che, accaldato, correva al suo fianco per le strade di quel paese dove sempre più curiosi salivano a contemplare quella caccia all'uomo. La faccia di Davide quel giorno era anche quel supplichevole; signor professore, hanno distrutto tutto, io sono potuto scappare per il rotto della cuffia, dobbiamo fuggire... E Gianni ebbe pietà di lui e se lo portò con sé. Se lo avesse abbandonato lì dov'era, non ci sarebbe stato un Filippo Collina che avrebbe riconosciuto  Davide Rosi e poi Gianni Palermo e non si sarebbe trovato in quella situazione, tanto vicino ed allo stesso tempo lontano dalla sua meta. 

La caccia era giunta alla sua fine; i loro inseguitori erano sul punto di mollare. Forse Davide poteva correre più rapidamente di Gianni, ma per lealtà o per non saper cosa fare senza il professore, continuava a correre al suo fianco. Si rese conto che uno dei ragazzi aveva tirato fuori un coltello; in pochi secondi gli avrebbe dato una coltellata non fatale, ma sufficiente a metter fine a questa folle corsa. 

Si sentì uno sparo in aria e tanto gli inseguitori quanto gli inseguiti si misero al riparo. In quei giorni, non era tanto comune sentire degli spari; le pallottole, come tutto il resto, era da tempo che scarseggiavano. Bene, scarseggiavano all'altro lato della frontiera, nel regno della barbarie, nel paese dove si da cìla caccia agli scienziati perché hanno negato al paese sogni assurdi di risorse infinite. 

Il gendarme abbassò la canna della sua arma e la puntò contro gli inseguitori. 

- Non siete più nel vostro paese. Tornate da dove siete venuti – gridò loro nella sua lingua.  

- Sono scienziati, sono criminali! - Gridò Filippo Collina e gli altri sostenevano.

- Ed ora sono un problema della nostra Repubblica. Come vi ho detto, tornate da dove siete venuti, se non volete avere la ricompensa in piombo anziché in denaro. 

I ragazzi indugiarono un paio di secondi, dopo di che tornarono indietro lamentandosi della loro sfortuna. Poco dopo, scherzavano fra di loro, elaborando l'aneddoto che avrebbero raccontato quella sera ai loro amici, di come erano quasi riusciti a catturare il perfido Gianni Palermo, il distruttore dell'energia libera. Ormai non si distinguevano più le voci dei ragazzi, né si sentivano i rantoli di Gianni, quando questi si diresse verso il gendarme e, stringendogli la mano:

- Sono Gianni Palermo, professore di sistemi energetici, e questo è il mio aiutante Davide Rosi – disse al gendarme nella sua lingua e questi gli strinse la mano con forza – grazie per averci salvato da quei barbari. 

- Professor Palermo, lei è famoso – sorrise il gendarme mentre gli stringeva la mano, molto forte – Sì, sono dei barbari. Non come noi, gente civile – gli disse mentre gli chiudeva le manette intorno ai polsi e altri due gendarmi circondavano Davide. Il gendarme sorrise sotto i suoi ampi baffi neri e facendogli l'occhietto gli disse: qui le avrà un giusto processo. 

Gianni Palermo fece, ancora ansimante, un profondo sospiro di sconfitta.