lunedì 3 giugno 2013

Michael Mann sul ruolo degli scienziati nel comunicare le implicazioni del cambiamento climatico






Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR




Il libro del climatologo Michael E. Mann porta il sottotitolo di “Dispacci dalla linea del fronte” perché racconta la storia di una vera guerra di comunicazione. Con la sua ricostruzione del clima del passato, nota con il nome “Mazza da hockey”, Mann è stato scelto come obbiettivo di una campagna di disinformazione diretta a screditare la scienza del clima e la scienza in generale. La campagna ha avuto successo solo in parte, anche perché Mann e molti altri hanno resistito e contrattaccato. Questo è compito di tutti, ora: contrattaccare per ristabilire la verità.



Ecco un estratto dal libro di Mann (p. 253)


Da “La mazza da hockey e le guerre del clima” di Michael Mann


Quando abbiamo pubblicato la nostra 'mazza da hockey' per la prima volta alla fine degli anni 90, credevo che il ruolo di uno scienziato fosse, detto semplicemente, di fare scienza. Sentivo che altri avrebbero dovuto valutare e pubblicizzare ogni implicazione della scienza. Prendere qualsiasi cosa anche lontanamente somigliante ad una posizione riguardo alla politica sul cambiamento climatico era, per me, un anatema. Facendo così, pensavo, avrei compromesso l'autorità della mia scienza. Sentivo che gli scienziati dovessero avere una visione completamente spassionata quando discuteva di cose scientifiche – che dovessimo fare del nostro meglio di affrancarci da tutte le nostre tipiche inclinazioni umane – emozione, empatia, preoccupazione. Nelle interviste che mi sono state fatte, sono stato attento a non addentrarmi nelle acque pericolose dell'espressione di un'opinione personale e di evitare totalmente il tema delle implicazioni politiche.

Tutto ciò che ho vissuto da allora mi ha gradualmente convinto che il mio vecchio punto di vista fosse sbagliato. Sono diventato una figura pubblica mio malgrado quando il nostro lavoro è stato messo sotto i riflettori alla fine degli anni 90. Sono rimasto una figura pubblica da allora, ma sono giunto ad abbracciare, piuttosto che rifuggire, quel ruolo. Nonostante le ferite subite in battaglia per aver servito sulla linea del fronte nelle guerre per il clima – e sono numerose – rimango convinto che non ci sia niente di più nobile di sforzarsi di comunicare, in termini che siano contemporaneamente precisi ed accessibili, le implicazioni sociali della nostra conoscenza scientifica. Infatti, molto del mio tempo e sforzo, durante l'ultimo decennio, è stato dedicato a fare questo.

Posso continuare a convivere con i cinici assalti contro la mia integrità e la mia persona da parte della macchina negazionista finanziata dalle multinazionali. Ciò con cui non posso convivere è sapere che sono rimasto immobile e silenzioso mentre i miei simili esseri umani, confusi e sviati dalla propaganda alimentata dall'industria, vengono involontariamente portati giù per un sentiero che ipotecherebbe le future generazioni.