domenica 24 marzo 2013

Fracking: rendimento energetico, economico ed ecologico

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Vignetta pubblicata da Ramón su El País.com il 31 gennaio 2012.


di Antonio Turiel

Cari lettori,

mentre si stanno notando di fatto (anche se ancora non vengono riconosciuti) gli effetti del fatto che ci troviamo nel tramonto del petrolio e probabilmente vicini al picco dell'uranio, il mondo occidentale si appresta ad una folle corsa allo sfruttamento di risorse di qualità tanto bassa e di scarso rendimento che decenni fa non si prendevano nemmeno in considerazione. Ma in una situazione di strangolamento continuo dell'economia per mancanza del suo reale motore ultimo, l'energia, sta portando a misure davvero disperate, la cui portata non è stata probabilmente valutata con la dovuta serenità.

Il caso di cui ci occupiamo oggi, perché bussa con forza alla porta dei paesi europei, è quello dello sfruttamento di idrocarburi mediante la tecnica della fratturazione idraulica (hydrofracking in inglese, chiamato anche fracking per abbreviare). In realtà le risorse sfruttabili in questo modo sono diverse, ma dato che il fattore che unisce l'opposizione popolare a queste estrazioni è centrato sulla tecnica di estrazione, qui darò una visione d'insieme degli idrocarburi relativi più importanti, segnalando i fattori comuni e quelli di differenza, sperando di contribuire a fare chiarezza su questo dibattito, a volte interessatamente aggrovigliato.

Dall'altro lato, quando si denuncia questo tipo di estrazione si enfatizzano soltanto i fattori ambientali. Terribili, autentici disastri ambientali, ma simili a quelli delle altre risorse che vengono sfruttate per il vasto mondo. Finora queste atrocità avvenivano lontano dai paesi occidentali, ma l'attuale penuria non ci permette tali finezze. L'amara lotta della classe media di qua per non cadere nella Grande Esclusione la porta a mantenere un certo orgoglio di indipendenza e a resistere al fracking in quella che, in sintesi, può essere la sua ultima battaglia, la difesa dell'ultima risorsa che alla fine ci resterà: la sostenibilità del nostro habitat. E questo fa sì che il dibattito appaia quello di sempre: fra sognatori ecologisti che vogliono preservare l'ambiente e imprenditori pratici che generano ricchezza  e posti di lavoro. Con questo approccio, il dibattito è perso in anticipo, nonostante la brutalità dell'impatto ambientale associato al fracking.

Tuttavia, risulta che se si analizzano altre variabili, come il rendimento energetico o netto di queste fonti o il loro rendimento economico, emerge una prospettiva completamente diversa. Tanto diversa che mi sembra incredibile la campagna di pubbliche relazioni che si sta facendo a favore del fracking, visto che non regge alla minima seria analisi. In questo contesto, ridurre la discussione sul fracking al solo problema ambientale risulta conveniente per l'industria, poiché permette di ridurre il problema ad un campo di battaglia noto, in cui è noto che la normale retorica (essenzialmente, la creazione di posti di lavoro) ha successo. Ragione in più per allargare la prospettiva ed esporre la cruda realtà del problema. Cominciamo quindi, la nostra analisi.

Geologia delle risorse non convenzionali e loro rendimento energetico.

Il seguente diagramma è tratto da un eccellente articolo (ne raccomando vivamente la lettura) di Aitor Urresti e Florent Marcellesi:



I giacimenti di petrolio e gas convenzionale di solito si trovano in formazioni di roccia sedimentaria (solitamente arenaria o calcare). Si tratta di rocce porose (piene di buchi, come una spugna) e permeabili (i buchi formano canali lungo i quali il fluido può circolare, attraversando tutta la pietra) e così, quando si perfora in un punto, si accede a tutto il gas o il petrolio circostante, fino a che la pressione interna si abbassa tanto che, per l'azione del peso della roccia che c'è sopra, i canali, per i quali fluiscono gas e petrolio, cominciano a collassare e arriva un momento in cui si otturano. Per evitare o ritardare questo problema si usano varie tecniche, consistenti per la maggior parte nel fare pozzi ausiliari in cui si inietta liquido o gas in pressione per frenare il collasso della roccia e spingere l'idrocarburo verso il pozzo di estrazione.

Siccome la roccia è permeabile, gas e petrolio finirebbero per arrivare in superficie e così è accaduto in qualche caso (è come hanno avuto origine le sabbie bituminose del Canada). Perché ci sia un giacimento ci dev'essere una roccia sigillo, non permeabile (per esempio salina), che impedisca la migrazione degli idrocarburi verso la superficie. I giacimenti di petrolio sono soliti avere in cima delle sacche di gas naturale, si tratta essenzialmente di metano e il metano si forma dalla decomposizione di altri idrocarburi (il metano è l'idrocarburo più semplice, con un solo atomo di carbonio). Tuttavia, è possibile trovare gas naturale senza petrolio associato (risultato del fatto che tutta la materia organica si è decomposta). In realtà, e come poi discuteremo, c'è molto gas naturale in tutto il mondo, anche se non sempre sfruttabile economicamente. Perché vi facciate un'idea, un scherzo abituale dei geologi petroliferi è: “Abbiamo già terminato di realizzare esplorazioni del blocco X. La cattiva notizia è che non c'è petrolio: La buona notizia è che non c'è gas”.

Nel caso degli idrocarburi non convenzionali, la situazione è molto diversa. Ce ne sono di vario tipo, ma oggi ci concentreremo sul caso delle ardesie o scisti e sulle risorse associate.

Le ardesie sono rocce metamorfiche (modificate dall'azione del calore e della pressione) che formano lamine. Non tutte le ardesie sono associate alla presenza di materia organica e di idrocarburi, ma solo alcune di tipo speciale. La più conosciuta è l'ardesia bituminosa (propriamente, lutite), che contiene i resti di materiale organico che è rimasto intrappolato nelle argille che hanno dato luogo all'ardesia. Il materiale contenuto si chiama Cherogene ed è una specie di petrolio poco cotto (poiché la materia organica non è stata sottoposta alle condizioni di temperature e pressione adeguate). Le lutiti bituminose sono conosciute da millenni (i romani le sfruttavano, per esempio, nella miniera di petrolio di Riutort) e le sue risorse su scala planetaria, valutate decenni fa, sono gigantesche: in termini di barili equivalenti di petrolio (conversione per energia) si stima che in tutto il mondo ci siano fra i 2,8 e i 3,3 miliardi di barili, più della metà dei quali negli Stati Uniti (per che vi facciate un'idea, in tutta la storia dell'Umanità si sono consumati poco più di un miliardo di barili di petrolio convenzionale). Tuttavia, risorse, non riserve: le risorse sono ciò che si trova sul posto, mentre riserve sono quelle che si possono sfruttare, il che dipende da fattori economici e, in realtà, dal fatto di avere un buon ritorno energetico (EROEI), tipicamente superiore a 10 perché la cosa sia redditizia economicamente. E il problema è che lo sfruttamento del cherogene, con tutte le tecniche utilizzate, ha un EROEI molto basso, da 2 (Cleveland & O'Connor) a 4 (Rapier), compreso lo sfruttamento di cherogeni di più alto contenuto energetico (a parte il fatto che hanno altri problemi, ma che non commenteremo ora). Il fatto è che da decenni si cerca di sfruttarli commercialmente senza successo, ma la loro mera esistenza e l'enormità delle risorse di cherogene servono per estrapolare di tanto in tanto notizie brevi di taglio ottimista nei quotidiani, una nuova tecnica di sfruttamento che dovrebbe essere rivoluzionaria, l'opinione di un esperto di petrolio, ecc. Anche il fatto che molti americani abbiano sentito parlare del petrolio da scisto (si chiamano così le ardesie cherogeniche) e della grandiosità delle risorse serve per incoraggiare una confusione interessata che ora spiegheremo.

Da poco meno di un decennio, negli Stati Uniti si sta vivendo un boom dello sfruttamento del gas di scisto, conosciuto anche come shale gas. Si tratta delle bolle di metano che sono incastrate fra le lamine dell'ardesia e generalmente sono associate alla presenza di cherogene. Posto che l'ardesia non è una roccia permeabile, anche porosa, estrarre questo gas da lì costituisce una sfida enorme. Il metodo più economico per il suo sfruttamento, già conosciuto da decenni, è quello della fratturazione idraulica o fracking. Questo metodo si basa sul perforare prima un pozzo verticale e, a partire da esso, estendere una o più diramazioni più o meno orizzontali, che penetrano fra le lamine dell'ardesia grazie all'iniezione di sabbia e acqua in pressione fratturandole e rendendo accessibile il metano. Siccome il metano è ancora agganciato al materiale, per recuperarlo si inietta un cocktail chimico che favorisce il suo distacco. La produttività di questi pozzi è molto bassa, circa di 200 volte inferiore di quella di un pozzo convenzionale. Inoltre, la produzione decade molto in fretta e un tipico pozzo di gas non convenzionale produce l'80% di tutto il gas della sua vita utile in un anno. I ritmi di decadimento sono tanto rapidi che si deve perforare continuamente e a gran velocità nuovi pozzi per mantenere la produzione e questo ritmo cresce quando si cerca di produrre più gas con questo metodo, il che pone un limite assoluto alla produzione totale annua.

Non esiste nessuno studio che valuti seriamente quale sia l'EROEI del gas di scisto, ma deve essere abbastanza basso, dati i costi di produzione alla bocca del pozzo negli Stati Uniti: fra i 2,25 e i 9 dollari ogni 1.000 piedi cubici (tfc) e questo è circa 8 volte più caro dei pozzi convenzionali in Russia. Tenendo conto che l'EROEI del gas russo si trova intorno a 20, possiamo stimare che il gas di scisto si collochi fra 2 e 3, e c'è anche chi sostiene che possa essere inferiore a 1. Un EROEI tanto basso rende incomprensibile la montatura mediatica che si sta facendo, che in Spagna è iniziata da un paio d'anni, quando per forza di cose la sua fattibilità è nulla – altro su questo più avanti.

Le risorse di gas di scisto su scala globale non sono in realtà tanto grandi. Al culmine dell'euforia per lo shale gas, nell'aprile 2011, la Energy Information Administration (EIA) valutava le risorse globali in 6.622 miliardi di piedi cubici di gas di scisto, pertanto il gas di scisto, se si potesse produrre alla velocità che vogliamo, e sappiamo già che non è possibile, durerebbe circa 60 anni. Tuttavia, alcuni mesi più tardi, l'USGS  (United States Geological Service) ha tirato una secchiata d'acqua fredda su queste prospettive meravigliose: una revisione delle riserve della formazione di Marcellus ha rivelato che erano gonfiate di 5 volte (!), proprio per le trappole contabili che denunciavamo su questo blog, cosa che ha dato luogo a commenti molteplici. L'impraticabilità economica del gas polacco – eccesso di azoto, come commentava Dmitri Orlov – ed altri “problemi” che sono emersi, suggeriscono che il potenziale reale delle riserve di shale gas equivalga come massimo a pochi anni di consumo e non ha il potenziale di modificare l'arrivo del picco del gas naturale. In realtà, il gas di scisto è una risorsa molto più scarsa del cherogene, ma il marchio “shale” vende nell'inconscio americano e da lì dire “shale gas” emoziona il cittadino comune, specie quando viene surclassato continuamente dagli assurdi proclami sull'indipendenza energetica degli Stati Uniti, i quali non resistono a nessuna analisi minimamente rigorosa.

L'ultima risorsa di cui parlerò oggi, per il suo collegamento al fracking, è quella del tight oil (petrolio di roccia compatta). Si tratta di formazioni di arenaria convenzionale che contengono petrolio convenzionale, ma che sono intrappolate (in formazioni allungate, come lenti) dentro una roccia non permeabile. Si tratta in realtà di petrolio convenzionale, ma il suo sfruttamento con mezzi convenzionali risulta non redditizio data la piccolezza dei giacimenti, quindi si ricorre alla tecnica del fracking causando una frantumazione massiccia del sottosuolo per aumentare artificialmente la permeabilità della roccia e permettere che il petrolio fluisca. Anche qui si iniettano acqua e sabbia in pressione e anche qui si usa un cocktail chimico per favorire il flusso. E, come nel caso dei pozzi di gas di scisto, si devono perforare pozzi senza tregua per compensare il rapido declino della produzione.

Anche per il petrolio di roccia compatta non ci sono stime dell'EROEI. Secondo l'Oil Depletion Analysis Centre, il costo produttivo del tight oil è fra 83 e 86 dollari, il che permette di ipotizzare che il suo EROEI sia di circa 12. Non eccellente, ma sufficientemente buono perché l'avventura sia redditizia, soprattutto con i prezzi attuali.

E, come no, come in molti casi la roccia sfruttata è l'ardesia. Indovinate come come viene chiamato a volte questo tipo di petrolio? Di fatto shale oil, il che aumenta di vari gradi in più la confusione, perché anche il petrolio sintetizzato dal cherogene che si estrae dalle ardesie bituminose, o oil shales, a volte è stato chiamato anche shale oil. La confusione è servita, a beneficio della creazione di un'immagine completamente falsificata del potenziale della risorsa, visto che le riserve mondiali di tight oil sono 100 volte inferiori a quelle del petrolio da cherogene.


Redditività economica

A questo proposito conviene distinguere l'estrazione dei tre tipi principali di risorsa di cui abbiamo parlato.

Rispetto al cherogene, ci sono poche cose da dire. Non si sta sfruttando e ci sono solo alcuni impianti sperimentali. Al momento non è sostenibile commercialmente, nemmeno con il sussidio di altre fonti di idrocarburi più economici di quelli di cui ancora usufruiamo.

Rispetto al gas naturale, c'è stata una campagna di disinformazione molto intensa sulla sua realtà economica che è opportuno chiarire e affrontare alla radice: cioè, esaminando quello che è successo negli Stati Uniti. La versione ufficiale dice che il prezzo del gas naturale si è mantenuto basso negli Stati Uniti grazie alla grande abbondanza di gas propiziata dall'estrazione di shale gas mediante il fracking. Questo farebbe pensare che il consumo di gas negli Stati Uniti sia aumentato molto rapidamente con il boom del fracking, data l'abbondanza di una risorsa economica e sfruttabile, ma che la disponibilità dello stesso sia andata ancor più rapidamente aumentando e per questo il prezzo si è mantenuto basso. Niente di più lontano dalla realtà.



Come mostra il grafico della EIA del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, si è mantenuto piuttosto piatto dalle medie degli anni 90 del secolo passato fino al 2009, approssimativamente, con una piccola caduta fra il 2005 e il 2007. Gli ultimi 2 anni della serie mostrano una leggera salita ma cha ancora non è troppo significativa, fra le altre cose perché è simile agli incrementi in capacità di immagazzinamento di quegli stessi anni.

Abbiamo, peraltro, lo storico dei prezzi del gas naturale, espressi in dollari costanti del 2012, grazie a Gail Tverberg:


Se confrontiamo questo grafico col precedente, ciò che si vede è che perché il consumo di gas aumenti il prezzo dello stesso (in dollari per milioni di unità termiche britanniche, MTBU) non può superare il limite dei 4 dollari del 2012. Risulta, tuttavia, che il prezzo minimo per non avere perdite in un pozzo di gas convenzionale sia di 7-8 dollari per MBTU. Ogni volta che il gas non convenzionale ha aumentato il suo peso nel panorama energetico americano, il consumo si è ridotto e solo ora che le compagnie dedite al fracking hanno accettato di abbassare i prezzi al di sotto dei costi, il consumo ha recuperato, ma solo moderatamente. La realtà è che queste compagnie, nella loro fuga in avanti, sono incorse dal 2010 in deficit trimestrali congiunti di 10.000 milioni di dollari, dando priorità all'aumento delle riserve di gas (migliorando così la loro capitalizzazione in borsa) anziché alla redditività dell'estrazione. Finché la situazione è stata sostenibile (nelle parole di Rex W. Tillerson, amministratore delegato della Exxon Mobile: “Qui abbiamo perso anche la camicia”) e il numero di nuovi pozzi in funzione crolla a velocità vertiginosa (il grafico è di questo articolo):

Numero di pozzi operati dalla Cheasepeake



I promotori dell'avventura dello shale gas in Europa sostengono che questo qui non avverrà. A causa degli alti prezzi del gas in questa regione, essendo indicizzato al prezzo del petrolio.

Il grande errore con il gas naturale è la sua sostenibilità. Al margine degli usi che già si fanno del gas (principalmente, forni industriali, raffinerie e calore domestico) il gas naturale ha il potenziale di sostituire il petrolio in alcune applicazioni. Tuttavia, potenzialità non significa che tale sostituzione si stia portando a termine. E non si porta a termine perché l'investimento in infrastrutture che si devono realizzare è smisurato. Trasportare e immagazzinare gas è più costoso e complesso che trasportare e immagazzinare petrolio, per il quale già esiste l'infrastruttura. Si deve capire che in un momento di crisi economica come quello attuale, intraprendere investimenti multimilionari che impiegheranno decenni per essere ammortizzati è qualcosa di troppo rischioso e sul quale ovviamente gli investitori non stanno scommettendo. Questo fa sì che credere che il gas naturale sia una buona opzione per il futuro del Vecchio Continente sia una pericolosa forma, finanziariamente, di auto inganno. Fra le altre cose perché il mercato potenziale da penetrare col nuovo flusso di gas è quello automobilistico, ma in Europa la flotta di utilitarie è principalmente diesel e non possono essere adattate a gas. E in un momento in cui le vendite di auto sono ai minimi (e senza la minima speranza di ripresa) è impensabile che i privati si decidano ad una sostituzione del parco su grande scala, il che pone a maggiore rischio l'investimento nella infrastruttura. E pensare di esportare  è ugualmente una cattiva opzione: senza gasdotto di collegamento fino ai potenziali compratori, i costi degli impianti di liquefazione e rigasificazione sono proibitivi e non si stanno semplicemente facendo.

Non ci serve gas, ci serve petrolio. Il gas segue soltanto il petrolio: in Spagna, dal 2008 al 2011, il consumo di petrolio è crollato a causa dei prezzi più alti del 19%, ma quello del gas naturale è anche crollato e non meno del 10%. Non è solo che la crisi riduce il consumo, è che abbiamo una società petrolio-dipendente e senza petrolio il gas è inutile, per esso non abbiamo l'infrastruttura di sfruttamento adeguata. E' tanto così che un 20% di tutto il gas che si estrae nel mondo si brucia direttamente in situ, visto che disperderlo in aria crea il rischio di esplosioni (come è successo, per esempio, l'anno scorso con la piattaforma marina Elgin, che è bruciata per mesi) e sfruttarlo economicamente ha senso in luoghi vicini ai punti di consumo o ben collegati ai gasdotti. Anche nei siti dove si pratica il fracking per estrarre petrolio (tight oil) il gas viene bruciato senza tante esitazioni:

Immagine dal blog di Kjel Aleklett: aleklett.wordpress.com. La formazione di Bakken, durante la notte,  produce più luce di Minneapolis.


Infine, rispetto al petrolio convenzionale di roccia poco porosa e impermeabile (tight oil), è l'unico che sembra avere una certa redditività economica, perlomeno finché il prezzo del petrolio si mantiene al di sopra degli 80 dollari al barile. Siccome in realtà ci sono molte buone ragioni per pensare che sarà così (oppure soffriremo pene ancora peggiori, alcune delle quali le abbiamo già commentate), questo petrolio, comunque caro, si potrà sfruttare e si sfrutterà. Questo sì, il suo impatto su scala globale sarà ridotto dati i limiti del suo potenziale massimo ed il suo rapido raggiungimento del picco e declino. Come commentava Matthieu Auzzaneau, i giacimenti di tight oil del Nord Dakota tarderanno solo pochi anni ad imitare il corso dei suoi gemelli che lavorano sulla stessa formazione di ardesia dello stato del Montana, dove lo sfruttamento è iniziato prima.


Di fatto, nemmeno la stessa Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA) si aspetta, nelle proprie previsioni di futuro, che la produzione di questo tipo di petrolio superi i 2 milioni di barili al giorno (Mb/g; in confronto ai 90 Mb/g che si consumano nel mondo oggi) e questo nonostante l'operazione di maquillage contabile. Di fatto, se si guarda l'evoluzione dei pozzi petroliferi perforati negli Stati Uniti, si vede che hanno iniziato a declinare, il che anticipa un rapido declino dell'estrazione di tight oil:



Redditività ecologica

Propriamente, per parlare di “redditività ecologica” dovremmo essere capaci di quantificare il valore dei servizi ecologici sacrificati (distrutti) o il costo della loro sostituzione. Tale quantificazione è assai complicata, perché in alcuni casi implica un aumento della mortalità e la mortalità di esseri umani (come in realtà fanno molte attività industriali). Non pretendo di entrare in questa parte del dibattito, soggetta alla reazione emozionale. Mi limiterò ad elencare i danni ambientali constatati in determinate situazioni.

- Consumo di acqua: l'uso della fratturazione idraulica implica un consumo di acqua per ogni pozzo molto significativa. Nel caso del gas di scisto, ogni tfc prodotto richiede 0,40 barili di acqua (circa 64 litri). In termini di barili di acqua per ogni barile equivalente di petrolio, la proporzione è 2,33 a 1 e presumibilmente la quantità è simile nel caso del tight oil. E' una quantità di acqua simile a quella dell'estrazione convenzionale del petrolio, soltanto che si fa in zone dove non c'erano mai stati questi usi e in alcuni casi comporta gli stessi problemi di qualsiasi altra industria che fa un uso intenso dell'acqua, come l'aumento dello stress idrico, la salinizzazione e l'inquinamento da metalli pesanti nei pozzi, ecc.

- Inquinamento diretto della falda: per accedere alle formazioni di scisto si deve perforare la roccia sigillo, ma la falda acquifera si trova sopra di essa, quindi inevitabilmente la si deve attraversare. Basandosi sui brevetti (ma i brevetti non funzionano così, curiosamente) le compagnie non rivelano la composizione dei loro cocktail. Analisi in situ fatte da attivisti, rivelano che i cocktail usati frequentemente sono composti da sostanze cancerogene, mutagene e tossiche (compresi benzene, toluene, etil-benzene, xilieni...). E' ben illustrato nella infografica del New York Times sull'inquinamento associato al fracking. In molti casi si sono trovate quantità molto significative di queste sostanze, e dello stesso gas naturale infiltrato, nelle forniture di acqua che provengono dai pozzi delle zone adiacenti (come denunciano documentari come Gasland). Non c'è da stupirsi: in ogni pozzo entrano 4.000 tonnellate di cocktail chimico. Il problema dell'inquinamento normalmente è quello che preoccupa le popolazioni circostanti, soprattutto perché nessuno è stato in grado ancora di stimare quanto tempo ci vuole perché la falda si ristabilisca. In alto, c'è una tendenza all'allentamento delle norme di protezione ambientale per favorire il fracking, pratica comune negli Stati Uniti che si sta copiando anche in Spagna.

Oltre all'inquinamento della falda, si produce l'emissione di diversi gas, come composti organici volatili e, in alcuni casi, di radon. E questo senza contare che è un'industria con un impatto significativo nell'emissione di gas serra, non solo di CO2, ma anche dello stesso metano.

- Terremoti: non è una leggenda urbana ma una cosa certa e preoccupante: la frattura delle lamine di ardesia e la lubrificazione con acqua può favorire lo spostamento di masse di terra e causare terremoti. A Blackpool c'è stato un terremoto di magnitudo 2,5 della scala Richter il primo aprile del 2011 ed un altro di magnitudo 1,7 il 27 di maggio dello stesso anno. La stessa compagnia che realizzava i lavori di prospezione dello shale gas, Cuadrilla, ha riconosciuto che i suoi test erano la causa probabile dei terremoti, anche se ha aggiunto “la configurazione geologica era inusuale” (si noti che stiamo parlando di “prospezioni”, non di “estrazione”, il che rende i fatti ancora più allarmanti). Negli Stati Uniti si sono prodotti una serie di terremoti collegati al fracking in Ohio durante il 2012 (il più grave, è stato uno di magnitudo 4,0 vicino a Youngstown il 31 di dicembre del 2011).

- Uso del suolo: stiamo parlando di un'industria pesante, che richiede un traffico costante di materiali e personale, infrastruttura, logistica, trasporti, alloggi, ecc. L'impatto è tremendo: vedete, per esempio, le file ininterrotte di camion che portano forniture e prodotti chimici,  e riportano via il petrolio prodotto, nella formazione di Bakken nel Nord Dakota:



Siccome stiamo parlando di un'industria che richiede una grande logistica ma che ha una vita molto breve, l'impatto sul territorio è molto grande e la fretta può portare a distruggere in poco tempo ciò che può impiegare decenni per recuperare.

Conclusione

Non è audace dire, dopo tutto ciò che si è detto, che lo sfruttamento di risorse di idrocarburi estremi col fracking è un completo controsenso, da qualsiasi punto di vista, senza nemmeno una praticabilità economica e molto marginale nel caso del Tight oil (risorsa che in Spagna non si conosce né ci si aspetta di conoscerla). Il sacrificio energetico per questo sfruttamento, in un momento che richiederebbe un miglior utilizzo delle risorse in declino, ci pone in una situazione molto peggiore di fronte al futuro. E gli impatti ambientali associati son talmente crudi da fare di questa scommessa semplicemente un suicidio.

Il vero problema di fondo, ora e sempre, è l'incapacità da parte delle istanze politiche di accettare che il modello attuale, basato sulla crescita economica inarrestabile ed esponenziale, sia semplicemente non più praticabile di fatto. Quanto più tempo tarderemo ad accettare, e a far accettare, che c'è bisogno di un cambiamento di sistema economico, più profondamente transitiamo su una strada che ci porta dove in realtà non vogliamo andare.

Saluti.
AMT