lunedì 12 dicembre 2011

Diciamocelo Forte e Chiaro: questa crisi non finirà mai!

Guest post di Antonio Turiel apparso su "The Oil Crash" il 19 giugno 2010
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.


Questo post di Antonio Turiel è stato scritto circa sei mesi fa e si riferisce alla situazione in Spagna. Tuttavia, sembra estremamente rilevante per la situazione italiana odierna e pertanto ci sembra il caso di presentarlo qui tradotto. Secondo Turiel, infatti, la crisi economica che ha colpito molti paesi europei non è un fatto congiunturale ma un fatto strutturale dovuto alla stasi della produzione petrolifera e al suo imminente declino. Per questa ragione, la crisi non finirà mai.



Cari lettori,
 
abbiamo parlato di questo argomento in modo frammentario in alcuni post e nei commenti che ne sono seguiti, ma credo che sia importante mettere insieme alcuni pezzi del puzzle e mostrare in modo attendibile quello che è un fatto: questa crisi economica in cui ci troviamo immersi non finirà mai, o perlomeno non all'interno dell'attuale paradigma economico, conosciuto come capitalismo.

Il grafico sulla sinistra (elaborato con dati dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti (EIA) ed estratta dal rapporto mensile Oil Watch di The Oil Drum) mostra la produzione mensile di petrolio greggio degli ultimi otto anni (espressa come la media di milioni di barili giornalieri). Come potete vedere, a parte alcune oscillazioni, la quantità di petrolio greggio estratto dalle profondità della Terra permane più o meno costante dal 2005. Gli anni precedenti (che non appaiono nel grafico), dallo
shock petrolifero dell'inizio degli anni 80, avevano visto una crescita inarrestabile della produzione, ad un ritmo di quasi il 2% all'anno. 

Ma dal 2005 qualcosa si è complicato. La produzione dei nuovi giacimenti che entravano in produzione a malapena erano sufficienti a coprire la perdita di produzione dei giacimenti già in attività. Questo è un fatto: ci troviamo sull'altipiano o plateau estrattivo di petrolio greggio e la discesa potrebbe iniziare in qualsiasi momento, poiché già dagli anni 80 si scopre meno petrolio di quanto se ne consumi e questo significca che prima o poi la produzione comincerà a diminuire. Quando? Secondo ITPOES (think-tank dell'industria britannica di cui abbiamo già parlato qui) la discesa comincerà circa nel 2015. Si deve specificare che il petrolio greggio non è tutto il petrolio che si produce nel mondo, ma la maggior parte sì (circa 75 milioni di barili al giorno – Mb/d). Ci sono altri 10 Mb/d che provengono dalle sabbie bituminose, dai liquidi del gas naturale e dai biocombustibili, ma non bisogna lasciarsi ingannare. In primo luogo perché stiamo parlando di petrolio sintetizzato usando altre fonti energetiche (normalmente gas naturale) con la conseguente perdita di energia durante la conversione. E non abbiamo abbondanza nemmeno di gas naturale, anche se mancano 15 anni al picco. Queste fonti alternative di petrolio sono semplicemente una stupida fuga in avanti, un modo di occultare un realtà nuda e cruda, cioè che sono anch'esse quasi al limite della loro capacità di produzione e non potranno ritardare di molto il declino petrolifero. In secondo luogo, la capacità calorica di questi “petroli” è solo il 70% dell'originale, cosicché, in un certo senso, stiamo chiudendo la stalla quando i buoi sono già scappati. Non avete notato che ultimamente la vostra auto tira di meno? E' normale, per via di una normativa europea i carburanti commercializzati nella UE devono contenere un minimo del 5% di biocombustibile. In qualche modo dobbiamo usare questo “petrolio” scadente che sintetizziamo, ma non è buono come l'originale...
 
Il fatto che la produzione di petrolio non cresca non significa che si fermino i nostri consumi, che di per sé sarebbe già un male. In realtà stiamo decrescendo. Guardate nel grafico a destra. L'ha elaborato Stuart Staniford partendo dai dati della IEA e dell'EIA e li ha pubblicati nel suo blog Early Warning (cercate l'articolo "US economic recovery in the era of inelastic oil"). La linea azzurra in alto rappresenta il consumo dell' area OCSE, quella scura che sale a tutta velocità dal basso rappresenta sostanzialmente la Cina e l'India. Fino alla linea verticale sono dati del passato, verificati; a partire da lì è la proiezione di Stuart Staniford partendo dalla tendenza attuale. La realtà è che la Cina, l'India ed altri paesi con economie più dinamiche e maggior potenziale di crescita stanno aumentando il loro consumo più di noi, poiché, con la loro crescita, costa loro di meno pagare fatture petrolifere più alte. E siccome dal 2005 questo è un gioco a somma zero, dove loro aumentano, noi dobbiamo diminuire. In concreto, a ritmo del 3% annuo. Gli ultimi dati di Oil Watch confermano che i paesi dell'OCSE (anche la Spagna – e l'Italia, ndT) hanno perso più del 15% dei consumi petroliferi rispetto al 2005.
 

Ovvero, siamo fondamentalmente in una situazione di diminuzione rapida del consumo di energia, nè cercata né pilotata, ma forzata e repentina. Secondo i dati dell'EIA, il petrolio rappresenta il 33% dell'energia primaria consumata nel mondo, anche se questa percentuale varia di paese in paese; in Spagna è del 48%, quasi la metà. Pertanto, con la caduta di oltre il 15% negli ultimi 5 anni del nostro consumo di petrolio in Spagna abbiamo ridotto il nostro consumo di energia primaria approssimativamente dell'8%, più dell'1,5% su base annua. Stimare l'impatto sul nostro consumo di energia si fa più complicato nella misura in cui la percentuale di petrolio che perdiamo si fa più grande ed il suo prezzo aumenta, poiché per produrre e mantenere le altre fonti di energia manca il petrolio (per i compressori dei martelli pneumatici che si usano in remote miniere, per il meccanismo che mantiene le dighe e le turbine eoliche, ecc ecc). Di fatto, il petrolio ha influenza su tutto, per la sua grande varietà di usi (plastica, fibre sintetiche, reagenti chimici per farmaci, industria alimentare, ecc) e come fonte di energia fondamentale nel funzionamento di macchine di ogni tipo (auto, camion, gru, aerei, escavatrici, barche, trattori, ruspe, ecc.). La realtà è che tutta l'attività economica dipende dal petrolio in particolare e dall'energia in generale. Per definizione, energia è la capacità di compiere un lavoro. Lavoro utile che serve a trasformare materiali e creare prodotti, spostare merci e persone, produrre luce, calore e fresco, ecc. Anche le economie tecnocratiche basate sui servizi devono alla fine servire a qualcosa di tangibile ed i maggiori costi del petrolio e dell'energia si ripercuotono su di esse in egual misura che sugli altri settori economici. La correlazione fra il consumo di energia e il PIL è così ben conosciuta che la IEA è solita pubblicare un grafico della modalità che seguono queste linee in ogni World Energy Outlook che pubblica (quello di questo grafico è del WEO del 2004). Sull'asse delle ordinate (verticale) si vede il consumo totale di energia nel mondo, espresso in milioni di tonnellate di petrolio equivalente, Sull'asse delle ascisse (orizzontale) si vede il PIL del mondo, espresso in parità di potere d'acquisto. Il bello è che la forte connessione fra le due variabili mostrata da questa curva viene mantenuta anche nei periodi di crisi economica.

Pertanto dobbiamo:
  • Per crescere economicamente abbiamo bisogno di aumentare il nostro consumo di energia. Al contrario, se il nostro consumo di energia diminuisce, il nostro PIL si contrae in egual maniera.
  • A causa della produzione di petrolio stagnante, ad un effetto di sincronizzazione con le altre fonti energetiche conosciuto come La Grande Scarsità e alla crescita di altre economie emergenti siamo condannati in modo inesorabile a ridurre il nostro consumo di energia e anche ad un ritmo piuttosto veloce (nel caso della Spagna, l'1,5% annuo come minimo).
Qual è, pertanto, la conclusione? Che la nostra economia è condannata a decrescere e a ritmo serrato. E' importante comprendere questo punto: è un fenomeno noto, compreso ed inevitabile. Di fatto, è un concetto gestito in ambito governativo, come abbiamo già commentato in numerosi post. Tuttavia, i poteri governativi non possono riconoscere apertamente questo fatto per via delle conseguenze politiche che comporta e per questo la tendenza è quella di provare a cercare soluzioni che non esistono al posto di ripensare il problema.

La domanda non è, pertanto, se continueremo a decrescere economicamente, ma fino a quando. La risposta è che decrescere economicamente, inteso come una diminuzione del PIL, è irrilevante. Abbiamo confuso il fine con i mezzi; il PIL è un'astrazione della ricchezza collettiva di un paese che si suppone essere in qualche modo connessa al benessere della sua gente. Ciò che si dovrebbe cercare è la massimizzazione del benessere, non un indice complesso e spesso assurdo. Pertanto, più rapidamente abbandoniamo l'orientamento economicista e ci focalizziamo su ciò che è veramente rilevante, prima cominceremo a stare meglio. La cosa peggiore che potremmo fare è quella di focalizzarci sul mantenimento di un sistema economico che sarà sempre più disfunzionale, a causa della mancanza di energia e di materie prime, per dare impulso ad un consumo sfrenato che ci immoli sull'altare della crescita economica, sognando una ripresa economica che non arriverà mai e che creerà un'occupazione che non esisterà mai. Non comprendere questo, ostinarsi a seguire questo sentiero, ci porta soltanto in un posto ben noto: il collasso.

Saluti


Antonio Turiel